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lunedì 27 giugno 2011

[Allenamenti] Sospensioni

Cari Fratelli, Amici ed Allievi,
mercoledì 29 giugno, in occasione della festività dei patroni di Roma, SS. Pietro e Paolo, la palestra New Freestyle rimarrà chiusa. Ci vedremo, come di consueto, venerdì primo luglio, in sala. 

In vista dei lavori di ammodernamento della New Freestyle, il corso sarà sospeso dal 12 luglio ai primi di settemebre. Avremo una sala più grande, un nuovo tatami, tutto il centro climatizzato e tutti macchinari di allenamento targati Panatta. Niente male, no?

Nel frattempo, tutti quelli che avranno voglia e tempo di praticare la nostra amata Arte Marziale potranno continuare a farlo individualmente o in gruppo insieme a me. Troveremo sicuramente luoghi idonei per i nostri scopi. 

Vi abbraccio!

lunedì 16 maggio 2011

Perché allenarsi con me? (Seconda Parte)

Da qualche mese sto portando avanti un programma strutturato su cicli di allenamento, che possa permettere a tutti i praticanti di avere un'infarinatura di tutto il sistema di Wing Chun Gōng Fu (永春功夫) che insegno già nel primo anno. Dopo il primo programma orientativo ci si addentra nelle diverse abilità da acquisire, attraverso addestramenti tradizionali ed allenamenti più moderni.


Sin dal primo anno, però, gli Allievi possono imparare gran parte del bagaglio tecnico del Wing Chun Kuen, avendo modo di saggiare i propri limiti e gli obiettivi da conseguire durante e con la pratica. Sicuramente nessuno riuscirà a padroneggiare tutto quello che sarà allenato durante il primo anno, ma almeno avrà modo di capire se la disciplina è adatta a lui o meno.

Il mio programma di studi è organizzato in modo tale da permettere a tutti di avere un metodo di allenamento individuale per pugni, calci, gomitate, ginocchiate, palmate, colpi di taglio, un buon footwork e, in generale, le abilità che possono essere per avanzare nel cammino di questa Via. Alcune volte il ritmo con cui procedono le lezioni può sembrare un po' troppo intenso, ma nessuno deve preoccuparsi, perché il percorso di studi prevede periodi di allenamento di ciò che si è imparato, in modo da portare la classe ad un livello omogeneo e permettere ai possibili assenti di recuperare il tempo perso.

Molte scuole di Arti Marziali tendono ad isolare il "nuovo arrivato" oppure a buttarlo subito nella "mischia". Penso che entrambe le soluzioni non siano valide. Per questo sin dal primo giorno cerco di far ambientare il nuovo praticante, in modo che possa conoscere a poco a poco il percorso da svolgere, altrimenti si rischia di non riuscire ad arrivare al cuore della persona, non capendone i sentimenti e, di conseguenza, avere la possibilità di accettare un Allievo che potrebbe rovinare il clima sereno del Kwoon (la Scuola). Nessuno viene messo in disparte, ma il rapporto di fiducia reciproca va costruito di giorno in giorno.

Una delle peculiarità della mia Scuola riguarda l'ambiente di allenamento. A parte le palestre che ospitano i miei corsi, penso che sia importante il clima che si respira in sala. Non c'è competizione, se non quella sana, che spinge i più a migliorarsi di giorno in giorno. Non sono pochi i casi di persone fuori forma che hanno deciso di tornare al meglio della propria condizione, spinti dal resto dei compagni di allenamento.

Il modo migliore per gli Studenti per ottenere i massimi risultati nel minor tempo possibile rimane sempre e comunque l'allenamento costante e duraturo. Lo scrivo perché alcune persone pensano che sia tutto merito o demerito dell'Insegnante se un Allievo riesce o meno a destreggiarsi nell'Arte Marziale. In realtà, se l'Allievo non pratica con la dovuta concentrazione e per il tempo necessario, non ci sarà mai un Maestro in grado di trasmettergli l'Arte. L'Arte si apprende con il sudore e la fatica, non con le parole.

martedì 10 maggio 2011

Perché allenarsi con me? (Prima Parte)

Perché la mia Scuola potrebbe essere il posto giusto per imparare il Wing Chun Kuen e per raggiungere gli obiettivi che di volta in volta concorderemo? Sicuramente perché prendo sempre sul serio il percorso formativo di ogni Allievo, costruendo con ognuno un rapporto umano che va ben al di là della lezioncina in palestra. Il percorso di crescita marziale è costantemente monitorato, perché dedico ad ogni Studente una scheda per tenere bene a mente gli obiettivi da raggiungere e quelli conseguiti.

Ottenere delle capacità in campo marziale è una conquista, ma se il vostro scopo è quello di avere una cintura nera, una maglia nera o un attestato inutile, sarà necessario cercare altrove, perché la mia Scuola non ha gradi da vendere. Avere una cintura nera non è di alcun aiuto in una situazione di pericolo, così come è inutile ai fini della comprensione di un sistema di combattimento. Le abilità devono essere sviluppate attraverso il duro lavoro, la dedizione, l'impegno e la giusta mentalità. La vera conoscenza di un artista marziale non si vede dai colori che indossa.

Il nostro stile può essere visto come una specie di "scienza marziale", che fonda i suoi principi motori sulla corretta gestione dello scheletro umano, della meccanica del corpo e dell'energia che siamo capaci di sviluppare al momento giusto e nel posto giusto. La realtà ci insegna che la legittima difesa consiste nel trovare il modo per fermare l'attacco di un avversario utilizzando il mezzo più diretto ed economico possibile con la minor quantità di tempo, spazio ed energia, mettendosi in salvo. Ma come?

Ci sono alcuni concetti fondamentali nel Wing Chun Kuen che ci permettono di capire l'essenza della lotta - dopo secoli di esperimenti nel Tempio di Siu Lam del Sud.-, che permettono ai praticanti di esprimersi senza fare affidamento sulla sola massa muscolare, senza un eccessivo utilizzo della forza o della velocità, tentando di imparare centinaia di tecniche. Il meno è più.

Sicuramente chi si allena insieme a me non ha una percezione falsata della realtà, perché tutto viene provato e sperimentato, per non avere poi brutti risvegli in una situazione ben meno sicura della palestra. Chiaramente nessuno può garantire che tutto quello che si allena funzioni in un contesto reale, ma è certo che facciamo di tutto per riprodurre il caos della lotta anche in palestra.

Il percorso di studi che ho progettato nasce dall'esigenza di mantenere gli Studenti motivati​​, stimolati e, soprattuto, in grado di capire il concetto fondamentale: le tecniche non esistono senza una corretta gestione corporea. Il programma di formazione che seguo obbliga tutti a sudare, comprendere le proprie possibile (per superarle) e, sicuramente, divertirsi... Niente è lasciato segreto, né dal punto di vista tecnico/formale, né dal punto di vista del metodo di allenamento, perché l'amore per quest'Arte Marziale non potrebbe permettermi di nascondere qualcosa a qualcuno.

Ho notato che chi segue assiduamente il corso vede aumentate l'autostima e la sicurezza in se stesso, dando sempre maggior valore alla propria persona ed ai piccoli gesti. Il (功夫) Gōng Fu è uno stile di vita e, proprio per questo, cercheremo di realizzare il vostro obiettivo insieme, tenendo sempre bene a mente che l'esperienza  cambia la vita rendendoci una persona migliore nell'esistenza quotidiana.

martedì 3 maggio 2011

L'operatività

Accolgo l'invito alla pubblicazione dell'articolo che segue del buon Fabio Rossetti, che ringrazio per essere uno dei pochi a partecipare alla redazione di questo blog. Buona lettura a tutti!

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Vi è un aspetto della pratica che è chiamato operatività: essa consiste nella reale applicazione in combattimento di quello che si è imparato, praticando e studiando. La difficoltà è inerente all’adattamento in un piano senza schemi, ove non si è più all’interno di un esercizio propedeutico e funzionale, che, per quanto reale, rientra in uno schema ancora ben definito e preciso.

Negli esercizi sull’operatività si prende coscienza delle applicazioni, in un contesto senza schemi prefissati ove tutto quello che si è appreso viene messo alla prova. Nella realtà occorre aver ben assorbito e fatto proprio il principio dell’adattamento, al fine di essere realmente efficaci, esprimendo i principi tramite le tecniche (movimenti naturali unitivi di energia e geometria tattica).

Inoltre, si comprendono gli aspetti di reattività, e quindi può sembrare abbastanza impegnativo, aprendo dubbi e svelando ciò che va migliorato; ricordando che anche lì vi è il principio olistico, cioè tutto l’essere è impegnato nei sui aspetti fisici, emozionali, mentali ed intuitivi.

Negli esercizi operativi è messa alla prova la sintesi delle conoscenze pratiche acquisite, visto che nulla è predefinito, quindi si entra nell’ambito pieno della mutevolezza e della continua trasformazione. Nell’operatività si partirà con gli aspetti del combattimento al minimo, per poi aumentare l’intensità procedendo di pari passo con la padronanza della sintesi in applicazione dei principi. 

Chiaramente coloro che si addestrano entrano in uno stato interno di realtà, dimenticando chi hanno di fronte, il suo livello, le sue conoscenze, cosa sa fare e non fare: in sintesi, occorre entrare in uno stato per il quale l’altro è uno sconosciuto, poiché il migliore risultato è quello per il quale si pratica il principio del Wu Wei. Questo aspetto è quello più impegnativo da realizzare.

I parametri del combattimento reale sono espressi nei principi e negli esercizi, ma nella realtà, pur mantenendo la sostanza identica, la qualità e la quantità cambiano e sono infinitamente variabili. Le abilità e le capacità tecniche non sono tutto; esse hanno un’importanza ed una funzione chiaramente fondamentale, ma sono sempre una parte del tutto. 

In un combattimento ove le capacità sono nettamente differenti, il margine di sopravvivenza di chi è ad un livello meno espanso è sottile; ma laddove le capacità sono simili di livello, i fattori importanti e determinanti sono altri e rivestono una parte fondamentale. Ma questa non è una regola assoluta, come lo riprova una persona che non ha paura di morire, che significa molto di più di quanto l’espressione letterale dica, poiché le parole sono descrittive, ma non sono la realtà e poiché nel combattimento tutto cambia.

Ciò vuol dire che vi è una serie di aspetti da sviluppare, i quali vanno coscienzialmente compresi e intuiti, con il metodo fornito basato su principi e movimenti (forme di Chi Kung - rilassamento, respirazione, vuoto mentale, meditazione - adattate per il combattimento e le tecniche di cui sono composte). 

Nell’operatività lo stato guerriero e le capacità sue proprie sono realmente praticabili. Nella realtà pura del combattimento nulla è definito, ma soggetto a mutazione e a cambiamenti fluidi, continui e senza previsione. È come entrare in un pieno-vuoto, quindi vivere l’arte marziale unendo gli opposti, fornisce la base essenziale per percorrere la Via.

giovedì 21 aprile 2011

Una proposta

Da questo blog, così come da tutti social network ed i vari forum ai quali ho preso parte, ho sempre tentato di far partire un appello all'unità dei praticanti di Arti Marziali. In particolar modo, ho sempre tentato di incontrare altri praticanti, per condividere il mio percorso marziale con loro, in modo da poter crescere insieme. Pochi hanno risposto ai miei appelli. Stavolta ci prova Fabio Rossetti, un amico che viaggia sulla mia stessa linea di pensiero. A lui la parola, speriamo che stavolta vada meglio...

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Leggendo i forum marziali, che vertono su centinaia di argomenti, mi fa sorridere quanta poca costruttività ci sia negli scambi tra coloro che scrivono. 

L’Arte Marziale è come una Madre che vede continuamente i suoi figli litigare e sente ognuno sostenere che lui è il figlio prediletto, quando dovrebbero unirsi ed amarsi per percorre bene e seriamente quella Via che percorrono. 

Scrivo in questo blog poiché chi lo ha creato e lo mantiene ha espresso una serie di principi marziali e li porta avanti. Con lui mi sono incontrato di persona e ci siamo guardati faccia a faccia. Da lì è nata una nuova collaborazione, che è uno stimolo bello ed utile non solo per noi, avendo l’idea di espanderlo a chi vuole e segue lo stesso iter.

Faccio una proposta: organizziamo degli incontri con un tema e nella pratica facciamo dei confronti costruttivi. Il primo tema propongo sia il rilassamento con le sue valenze nel combattimento e nella pratica.

Qualora ci sia un qualcosa da pagare, dovrà essere solo per contributo verso una struttura ospite, a meno che non li svolgiamo all’aperto. La gratuità del servizio e degli incontri è la regola da rispettare in questo caso.

Un saluto, 
Fabio Rossetti

mercoledì 20 aprile 2011

Free yourself from your opponent's force - Second principle of power

My Friend and Student Pasquale "Guido" Mazzotta translated and adapted another article for his blog's readers. I invite my followers to go on this link to read our work about the first principle of http://siulamboxing.blogspot.com/2011/04/free-yourself-from-your-opponents-force.html. I thank Guido for his hard work to study, train and spread our great Martial Art!

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If our force is a kind of matter that is projected from the inside out, on the other side the opponent's strength tends to follow the opposite way, to enter into us, in our spine, our center. Therefore, these two forces going in opposite directions, mine from the inside out, the other from outside to inside.

By the term "to free", we mean in this case "avoid this force being released into our body"; it will be necessary to prevent the entry of the opponent force while continuing to project our own (to not violate the first law of force).

However, if the two forces collide in a direct way we could hardly apply the first principle: it is as if a person wants to leave a room and the other one wants to enter, if ythey try to do both frontally and at the same time, probably none of them succeed in his goal, just they keep pushing one each other, using the raw strength - that we want to refine at least -. So it is necessary that the opponent's strength does not affect us without this being a result of a confrontation between the forces.

domenica 17 aprile 2011

Free yourself from your own force - First principle of power

My Friend and Student Pasquale "Guido" Mazzotta translated and adapted one of my article for his blog's readers. I invite my followers to go on this link to read our work about the first principle of power: http://siulamboxing.blogspot.com/2011/04/free-yourself-from-your-own-force-1st.html. I thank Guido for his hard work to study, train and spread our great Martial Art!

"Free yourself from your own force" seems to be one of the main points to face Chi Sao ("sticky hands", one of the typical exercises of the style), but not only this. Let' s go deep inside the topic.
First, we have to consider that the energy is not the force. Energy is an internal concept, that can be expressed externally without the use of the force. Often, it' s the absence of force to give us the energy we need to face a fighting. When we create a bridge (Kiu) between us and the opponent, we create also an energetic pressure. When we use the force instead of pressure, we give the opponent a signal, so he will have more opportunities to free himself from us and from our force. That's why we need do not use force during the contact, but instead we need to create the right tendon and muscle tension, in order to control and manage our won balance as well as the incoming forces.

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venerdì 15 aprile 2011

入馬步法 - Yap Ma Bou Faat

Alcuni dei miei Studenti hanno chiesto di vedere qualche foto del Gran Maestro Yip Man in azione. Sebbene ce ne siano molte, a me piace questa, mentre entra nella guardia dell'avversario. Guardate questa foto (a lato). 

La tattica che utilizza qui il Gran Maestro è chiamata Yahp Mah Bouh Faat ("entrare nella posizione dell'avversario con il gioco di gambe", tradotto liberamente), che (guarda caso...) è proprio quella che stiamo utilizzando in quest'ultimo periodo, accorciando la distanza, in accordo con l'altro metodo, Bik Bouh Tip Da.

Perché combattiamo così vicino al nostro avversario? Vogliamo avere la possibilità di inceppare i movimenti di gambe ed i possibili calci dell'avversario, ecco il punto. 

Conosciamo già 馬步. Analizziamo gli altri due ideogrammi:

- 入 [rù] significa 'entrare' (lo ricordate lo Yahp Geuk che abbiamo "smascherato"?). Probabilmente si riferisce alle radici che entrano nel terreno. In Cantonese è, appunto, /Yahp/.

- 法 [fǎ] è la 'legge' o il 'metodo'. Viene da 氵 (o 水) [shuǐ], l'acqua, e da 去 [qù], 'andare'. In Cantonese è /Faat/. 步法 è solitamente tradotto con "footwork" o "gioco di gambe".

venerdì 8 aprile 2011

[Allenamenti] 9 aprile con il vostro SiHing Pasquale "Guido" Mazzotta!

Guido in azione
Carissimi Fratellini,
domani, come alcuni di voi sanno, il nostro mitico Pasquale "Guido" Mazzotta guiderà il consueto allenamento del sabato mattina, condito, come sempre, dall'allenamento con il bastone (Luk Dim Boon Kwun), il solito circuito "cardio" ed il lavoro dedicato al Mang Geng Sau (il "clinch"), nonché sul rompere il ponte (Saat Kiu) e pressare (Bik e Hup Kiu). Forza e coraggio, tutti in sala a godervi il vostro SiHing Guido!!!
Un grazie di cuore al caro Guido da parte mia, ovviamente!

venerdì 25 marzo 2011

La mia Scuola non è il "Cobra Kai" di "Karate Kid"

Sul famoso più famoso luogo d'incontro virtuale dei praticanti italiani di Arti Marziali, il Forum Arti Marziali, mi è capitato di leggere un'affermazione di un Insegnante di Wing Chun di questo tenore: "un artista marziale deve essere capace di ammazzare qualsiasi persona con un pugno solo. [...] Lo Sport ti rende incapace di fare queste cose, nello Sport non puoi ammazzare nessuno e quindi non lo imparerai mai. Wing Chun non è uno sport". Chiara l'affermazione, no? Ora, in qualità di praticante di Wing Chun, mi sono prontamente dissociato ("In qualità di praticante di Wing Chun mi dissocio totalmente dalla visione di quest'Arte Marziale come tesa all'eliminazione fisica di un altro essere umano"). Ne è nato, come immaginerete, un dibattimo molto interessante sulla nostra visione dell'Arte e su quali siano i motivi per cui la pratichiamo.

Nonostante sia stato detto da molti che la palestra non dovesse essere il Cobra Kai, a me è parso di essere in perfetto clima da Karate Kid - Per vincere domani (titolo originale: The Karate Kid), un film del 1984 diretto da John G. Avildsen, con Ralph Macchio (nel ruolo del protagonista, Daniel Lo Russo) ed il mai abbastanza compianto Noryuki "Pat" Morita, il Maestro Miyagi. Perché dico questo? Semplicemente perché la maggior parte dei Maestri italiani ha ritenuto opportuno ribadire che la Arti Marziali sono nate proprio per sopraffare gli avversari... Benissimo, ma se dovessimo praticare tutti con questa idea di fondo, cosa ne uscirebbe fuori?

Per quanto mi riguarda, il Wing Chun, come qualsivoglia Arte Marziale o Sport da Combattimento, non serve solo per imparare a difendersi per strada o sul ring, perché, per quanto ci si possa avvicinare alla realtà, essa non sarà mai riproducibile nella sua totalità, in quanto il caos dello scontro e l'imprevedibilità degli eventi non potranno mai essere messi negli allenamenti. Qualsiasi cosa si pratichi deve servire per star bene con se stessi e con gli altri, in qualunque situazione, abituando il corpo ad un utilizzo più intelligente ed efficace della forza, coltivando la mente, imparando a  migliorare la respirazione e molto altro.

Praticare significa ricercare uno strumento per migliorare se stessi, il proprio corpo come la propria mente, essere in grado di difendere se stessi ed i propri cari. Per me non va praticato il Wing Chun - come nessuna delle altre Arti - per uccidere. Se fosse quello l'obiettivo, consiglierei a tutti i Rambo di dotarsi di ben altri strumenti e di arruolarsi in qualche corpo speciale... Se lo studio di un'Arte Marziale si riducesse al solo "saper picchiare", allora dovremmo tutti andare ad allenarci per strada, per fare esperienza... Oppure sarebbe bene dotarsi del porto d'armi....

Studiare un'Arta Marziale per me significa percorrere una strada fatta di sudore e, alcune volte, lividi e sangue per migliorare il proprio modo di muoversi durante la vita di tutti i giorni, avendo maggiore sicurezza in se stessi, per via del continuo duro allenamento che si fa in palestra. Per me non si può dividere lo stile interno da quello esterno, perché voglio lavorare su entrambe i lati della persona. Tutta la mia comunità marziale mi conferma che con la pratica costante del Wing Chun sono diminuite le possibilità di incorrere in risse per strada, è diminuita la voglia di far male agli altri e c'è più gioia nel confronto duro, ma sicuro, in palestra. La violenza va rifiutata, per questo pratichiamo in sicurezza in palestra. Ribadisco, per i Rambo c'è la strada.


Come ha scritto e detto più volte il mio Amico, Fratello e Allievo Pasquale Mazzotta, "le arti marziali per retaggio antico tendono anche alla capacità di eliminare l'avversario, a maggior ragione quando si introducono armi.non si prende un'arma se non con un intento ben preciso. A differenza della tigre, l'uomo non dispone in sé di un vero e proprio corpo da predatore, con denti e unghie affilate. Può, perà, usare una spada e una lancia. Prendere una spada e una lancia in mano significa che o l'uno o l'altro, altrettanto armato, dovrà morire.


La mano nuda significa che non abbiamo un'arma e in quel momento non siamo predatori o militari. I nostri pugni possono anche essere molto potenti, ma possono essere usati anche per difesa. Siccome non ha senso oramai parlare di tecniche segrete e potenzialmente letali, giustamente, se interpreto bene il pensiero di Riccardo, e concordo, si prova in modo realistico, simile, per certi versi, a quello sportivo, l'efficacia in sicurezza di una certa gamma di colpi. Come uno sportivo. Ma in queste condizioni, non si parla di uccidere un essere umano e non ci si allena per questo. Piuttosto attraverso un allenamento in sicurezza si cresce tutti insieme (citazione) e, di conseguenza, si migliora anche nell'autodifesa, senza praticare ogni giorno con l'idea di essere dei potenziali assassini, ma divertendosi, piuttosto".

Ha perfettamente reso l'idea. Se dovessi praticare un'Aarte Marziale per ricercare il modo di uccidere una persona, perderei del tempo, perché potrei allenarmi meglio al poligono di tiro, come scelgono di fare anche alcuni maestri italiani di WingTsun, impensieriti dalla civiltà violenta che ci circonda. Sarebbe entusiasmante vedere gli allenamenti di tutti quelli che si addestrano ad uccidere le persone, magari con i coltelli o con altre armi alla mano. Chissà che tipo di protezioni potrebbero essere usate per l'incolumità dei partner di allenamento...

Io ho notato che nei miei allenamenti più intensi, alcune volte si rende necessario il casco protettivo con la grata per allenare le gomitate a potenza piena. Per i pugni, invece, quello senza grata, anche da pugile, con guanti da diverse once a seconda del peso del praticante e dalle capacità di chi si allena. Sarebbe molto interessante veder allenare le tecniche di attacchi alla gola che troviamo nella sequenza della forma "classica" all'uomo di legno, per esempio, oppure i calci al ginocchio, le varie "dita neglio occhi", etc. su "bersagli" umani. Chissà, forse si ridurrebbe in un sol colpo - è il caso di dirlo - il numero dei praticanti, magicamente...

Praticare Wing Chun in questa Scuola significa intraprendere un cammino insieme a me, non sotto di me, per raggiungere la comprensione dei Tre Tesori di Siu Lam, 禪 [chán] (Sim in cantonese), 武 [wǔ]  (Mouh in cantonese) e 醫 [yī] (Yi in cantonese): la meditazione, l'Arte Marziale e la medicina, intesa come quella tradizionale cinese. Sono indissolubilmente unite, come recita il motto Saam Bou Sih Yat (三寶是一) [sān bǎo shì yī], "i Tre Tesori sono uno", tanto per rendere l'idea. Tutto questo non significa che noi siamo arrivati alla comprensione, ma che ci siamo incamminati in questa Via e saremo grati a tutti quelli che vorranno camminare assieme a noi.

Penso che siano molte, ormai, le cose che mi dividono dalla gran parte dei praticanti di Wing Chun, ma in questo contesto penso che mi divida principalmente una considerazione. Io mi alleno quotidianamente per raggiungere alcuni obiettivi che mi sono imposto, migliorando la mia tecnica, così come le mie capacità generali. Alleno quotidianamente alcuni amici per permettere loro di arrivare ai medesimi obiettivi e per far sì che il gap tecnico sia sempre minore, in modo da avere altri amici per divertirsi assieme, scambiando serenamente...

Ora, in tutti gli allenamenti che faccio e guido il minimo comun denominatore è migliorare le capacità combattive, imparando il Wing Chun Kuen, ma una cosa chiarisco sempre a chi si allena insieme a me: io non colpisco alla gola se non al 2-3% di potenza, così come non colpisco gli occhi, i genitali, i punti di pressione, etc. Porto l'allenamento fino al massimo, ma rimanendo in un contesto di sicurezza.

Se dovessi insegnare ad uccidere, così come allenare me stesso per farlo, mi arruolerei in qualche corpo speciale. Io sono contro la violenza ed ho ucciso gran parte dell'ego anni addietro. Proprio per questo la mia pratica marziale è dura quanto lontana da qualsivoglia spinta verso la violenza contro gli altri. Chiaramente insegno quello che so sul controllo degli aggressori, ma, ribadisco, non metto in mano ad alcuno dei miei ragazzi un sistema di combattimento predisposto all'omicidio, semmai un sistema di combattimento che prevede il massimo del controllo del proprio corpo in qualsiasi contesto. Chiudo qui, è tutto.

mercoledì 9 marzo 2011

La respirazione 2

Continuiamo il discorso di ieri. Durante l'espirazione, l'aria viene espulsa dal corpo mediante la centrazione dei muscoli del ventre e del petto, che contraiamo verso l'interno ma senza inclinare il corpo in avanti.

Nell'inspirazione, al contrario, inaliamo aria fresca precisamente grazie alla distensione della contrazione dell'addome e, di seguito, della zona costale e quella toracica.

La respirazione completa (inspirazione) consta, quindi, di tre fasi che possono essere regolate volontariamente in modo indipendente, anche se - tanto nell'inspirazione quanto nell'espirazione - si deve sempre cominciare dalla regione bassa dell'addome, allo stesso modo di quando si svuota una pompetta di gomma, premiamo la base, che poi lasciamo libera affinchè si riempia dal basso verso l'alto.

Vediamo fase per fase. Nella prima, eseguiamo la respirazione addominale o diaframmatica. L'espirazione si effettua attraverso il movimento del ventre dal basso verso l'alto, mentre l'inspirazione si realizza facendo discendere il diaframma; la parete addominale si muove quindi verso l'esterno, riempiendo d'aria anche la parte inferiore dei polmoni. Il torace deve rimanere immobile. Solo l'addome si muove, realizzando movimenti ondulatori. Questo modo di respirare, permette un rapido controllo del ritmo cardiaco e la normalizzazione dello stesso attraverso un notevole sforzo in un lasso di tempo molto scarso. Questo tipo di lavoro è molto utilizzato nella nostra pratica del Wing Chun.

Nella seconda fase abbiamo una respirazione media. Si respira per contrazione delle cestole e si aspira lentamente allargando il torace verso ambedue lati. Così, riusciamo a riempire d'aria la parte centrale dei polmoni, mantenendo immobili l'addome e le spalle.

Nella terza fase si ha la respirazione superiore. L'espulsione dell'aria si effettua abbassando lentamente le spalle, mentre l'inspirazione si realizza alzando le clavlcole e le spalle con la massima lentezza, mantenendo immobile la parte centrale del petto e dell'addome.

Logicamente, queste fasi o tipi di respirazione possono essere eseguite in modo isolato o con un solo movimento (totale), in accordo con la necessità o la finalità che desideriamo dare alle stesse.

Nella pratica del nostro Wing Chun Kuen si utilizzano tutte le varianti precedentemente descritte secondo il tipo di tecnica, la forma, il momento del combattimento, il recupero, la concentrazione o il rilassamento. Anche se non esiste una norma rigida, di solito si utilizza la respirazione media nella pratica di tecniche, l'addominale in esercizi di concentrazione e recupero, la totale in esercizi di rilassamento, recupero e distensione.

Ciò che bisogna tenere sempre presente è non solo il fatto che respiriamo per un terzo della nostra capacità funzionale minima, ma che la nostra schiena ed il nostro corpo devono rimanere eretti e rilassati per facilitare il flusso dell'aria tanto nell'inspirazione quanto durante l'espirazione. Questo bisogno si riflette perfettamente nelle posizioni tradizionali di tutti gli stili di Arti Marziali Cinesi (中国武), nelle quali si può apprezzare non solo la naturale posizione eretta della schiena, ma anche come la zona pelvica avanzi leggermente con la doppia finalità di facilitare l'entrata e l'uscita dell'aria dall'addome, così come per mobilitare il Ch'i, il prāṇa o l'energia vitale.

Ho fatto riferimento precedentemente al ruolo dell'ossigeno nella conservazione e nello sviluppo dei tessuti, del metabolismo cellulare. In questo senso, conviene aver presente che la carenza di ossigeno ad intervalli di tempo estremamente corti - inferiori a cinque minuti - può causare la nevrosi e la distruzione di cellule che, come nel caso del tessuto cerebrale, provocano mali irreversibili nella fisiologia, nella condotta e nella personalità dell'individuo, persine la demenza ed addirittura la morte. È necessario eliminare il rischio derivante dai colpi alla testa e i possibili KO che avvengono nelle competizioni o negli allenamenti le cui conseguenze, alla lunga, non ossigenando il cervello anche per pochi secondi, possono risultare drammatiche per il praticante.

La bioenergetica si basa, come la maggior parte delle discipline orientali, sul controllo e sullo sviluppo della respirazione con il fine di risolvere le disfunzioni e le alterazioni corporali ed emozionali. Naturalmente, tanto il mezzo quanto gli obiettivi mi sembrano assolutamente corretti. Nonostante ciò, mi assale un dubbio d'impostazione concettuale.

Per la bioenergetica l'uomo, passando alla posizione eretta, curvò la colonna vertebrale e modificò le strutture muscolari dell'addome, rendendo difficile la respirazione a causa del soffocamento. In questo modo, per via dell'impoverimento della respirazione e dell'apporto d'ossigeno, derivarono la maggior parte dei mali che lo affliggono, tanto metabolici quanto strutturali ed emozionali. La mancanza d'ossigeno è quindi la causa principale delle anomalìe.

Secondo la teoria dell'evoluzione, l'uomo, passando alla posizione eretta, sviluppò progressivamente la sua capacità cranica ed il tessuto cerebrale divenendo più intelligente. La contraddizione si trova nel fatto che se la teoria della bioenergetica è corretta, nella posizione eretta vi è minore apporto d'ossigeno e dato che questo è imprescindibile nella conservazione e nello sviluppo dei tessuti ed in particolar modo di quelli cerebrali, il cervello degli ominidi sarebbe dovuto degenerare, divenendo più piccolo con il passare del tempo invece che maggiore, secondo quanto afferma la teoria dell'evoluzione.

D'altra parte, conviene pensare anche al fatto che gli animali a quattro zampe corrono meglio in salita che in discesa, dato che per la forza di gravità la pressione dell'addome e delle parti intestinali sul diaframma genera affaticamento con principi di asfissìa. Con questo voglio dire che, fino a quando non conosceremo più profondamente il codice genetico e come si originano e si modificano le informazioni che esso racchiude, è abbastanza insensato sostenere la superiorità di una posizione o dell'altra.

La prova, a livello funzionale, si trova nel migliore impiego del meccanismo della respirazione, indipendentemente dalla teoria che elaboriamo su questa innegabile realtà. Nel campo dei fatti concreti, le Arti Marziali e allo stesso modo lo Yoga ed altre discipline, svolgono alla perfezione questo ruolo.

Infine, la respirazione ci fornisce informazioni sull'ambiente e sugli altri attraverso gli odori, che percepiamo nell'atto di inspirare l'aria dalle narici. Nell'aria si trovano sostanze volatili che incidono sul nostro comportamento e sulla nostra condotta in maniera diretta. Così, esistono odori rilassanti e suggestivi, come quelli delle rose e di tutti i tipi di piante aromatiche; odori stimolanti, come quelli delle numerose essenze naturali (rosmarino, timo, etc.); odori afrodisiaci, in linea di principio quelli provenienti dalle secrezioni degli organi genitali, il sandalo, l'incenso, etc., ed odori aggressivi, originati dalle ghiandole sudoripare in situazioni di stress, angoscia e paura, per citarne solo alcuni esempi.

Naturalmente, tutta questa gamma di odori incide sul nostro comportamento e sulla nostra condotta cosciente, così come sul nostro incosciente, dato che numerose sensazioni intense, piacevoli o spiacevoli, si associano ad un odore. Naturalmente, ogni volta che respiriamo dal naso.

martedì 8 marzo 2011

La respirazione 1

Nell'epoca degli psicofarmaci e dello "stress", noto con sempre maggior incidenza una certa dimenticanza ed un vero e proprio abbandono della nostra realtà corporale. In certi casi estremi vedo che alcune persone non conoscono una cosa tanto elementare e vitale come il meccanismo della respirazione!

Dal momento in cui il bambino nasce e con una sculacciata si apre al mondo e comincia a respirare, inizia  l'apprendistato che la cultura nella quale è immerso imprime su di lui. La vita caotica in cui sono immersi i nostri figli incide in maniera tanto negativa sulla loro esistenza che, poco a poco, giorno dopo giorno, va facendosi più chiusa, più ermetica ed isolata, fino a respirare in modo sempre peggiore auto-intossicandosi a tutti i livelli, per via delle tensioni sociali, familiari e lavorative della vita quotidiana.

Nel neonato è fantastico contemplare come il torace e l'addome si dilatino, aprendosi all'estero nell'ispirazione e contraendosi nell'espirazione: egli si trova in comunicazione con l'ambiente esterno. Nell'adulto è ancora più incredibile la rigidità, l'inibizione e la chiusura: il suo isolamento dall'ambiente rompe in maniera marcata l'equilibrio individuo-mondo esteriore. La maggior parte degli esseri umani respira normalmente per un terzo della sua capacità minima, avendo un'ossigenazione incompleta, il metabolismo deficiente e, sotto tutti i punti di vista, la depurazione dell'organismo insufficiente. 

La questione va più in là del fisiologico e del biochimico dato che, se basta una semplice respirazione cosciente e rilassata per eliminare tossine, tensioni ed aggressioni - che sovraccaricano l'organismo di energia negativa e gli impediscono di rifornirsi di energia positiva -, il fatto che l'essere umano non ricorra a qualcosa di tanto istintivo, semplice e naturale, racchiude un'innegabile tendenza distruttiva a livello più o meno incosciente, confermata dal consumo di tabacco, alcool, droghe di tutti i tipi, etc. La respirazione è vitale per l'essere umano non solo a livello fisiologico, ma a livello intellettivo ed emozionale. È la via di comunicazione, di apertura tra l'individuo e l'ambiente. 

Se analizziamo più profondamente il contenuto e il meccanismo della respirazione, troviamo diversi aspetti della stessa che possiamo riassumere in modo semplice. La respirazione fornisce all'organismo: ossigeno,  energia, movimento muscolare, cominciando dal basso addome fino alle clavlcole, informazioni relative all'ambiente attraverso gli odori.

Per quanto riguarda l'ossigeno, il ruolo è sicuramente collegato al metabolismo. Permettendo e potenziando il metabolismo, è uno dei responsabili della liberazione dell'energia contenuta negli alimenti, così come del controllo del peso. Simultaneamente, agisce come purificatore sostituendo l'anidride carbonica e facilitando l'eliminazione di tossine dal corpo.

Bisogna inoltre sottolineare la sua positiva incidenza nello sviluppo dei tessuti e dei muscoli, così come la sua funzione di "potenziatore" del lavoro fisico. Ricordiamo che per un maggior sforzo muscolare si richiede un maggiore consumo energetico, il che è possibile accelerando il metabolismo, cioè, apportando un maggior volume d'ossigeno per unità di tempo per mezzo di un incremento della capacità o del ritmo respiratorio.

Naturalmente, il lavoro muscolare, l'incremento di energia, suppone anche un maggiore consumo del materiale energetico che viene fornito attraverso gli alimenti, con il quale si può diminuire il peso corporeo, tenendo conto inoltre dell'acqua che si elimina attraverso il sudore, come conseguenza dell'incremento di temperatura che l'attività fisica, il movimento, originano sul corpo.

Il cosiddetto prāṇa, termine sanscrito per "vita" o "respiro", rigenera l'energia vitale perduta o consumata dallo stress e dalle emozioni o sentimenti nocivi (odio, invidia, etc.), incrementando l'armonia dell'equilibrio corpo-mente-ambiente quando l'individuo sa come goderne attraverso il controllo cosciente della respirazione.
Il movimento muscolare dell'addome e del torace fornisce numerose sensazioni piacevoli, oltre a diminuire il nervosismo, l'irritabilità, lo stress. Ci fornisce una gradevole sensazione di pace interiore, permettendo il controllo del ritmo cardiaco, così come la regolazione della tensione arteriosa e di altre costanti vitali.
Come conseguenza di una respirazione adeguata, si fortificano i muscoli intercostali ed addominali e questo, a sua volta, si traduce in un raddrizzamento della schiena e della colonna vertebrale, correggendo così numerosi problemi funzionali.
La respirazione corretta consta di un meccanismo più complesso di quello che a prima vista può sembrare, quale conseguenza della mancanza di pratica nel corso della vita di un essere umano.
In primo luogo, è necessario che il corpo ed il petto siano distesi, ma senza essere contratti, in uno stato di completo rilassamento, per permettere che l'aria fluisca liberamente tanto in un senso come nell'altro, senza soffocamenti di nessun tipo.
La respirazione deve essere silenziosa e profonda ma senza sforzi muscolari: si deve respirare normalmente attraverso il naso, il quale non solo ha il compito di filtrare l'aria che si inspira, ma anche quello di scaldarla affinché arrivi ai polmoni ad una temperatura adeguata per evitare così possibili alterazioni, la maggior parte delle quali causano conseguenze gravi alla salute.
Per crisi corporali con scopi terapeutici, la bioenergetica consiglia la respirazione orale, che è corretta in quanto si riferisce a stati emozionali intensi, come quando si fa l'amore o si praticano alcuni tipi di forme, dato che così si vede favorita e stimolata la comunicazione di emozioni, ma non nelle restanti circostanze. Basta immaginare un corridore in inverno che respira a bocca aperta, per avere la certezza dell'inadeguatezza del sistema e delle sue conseguenze negative.
Altro aspetto importante all'interno del meccanismo della respirazione è il ritmo respiratorio, che comprende quattro tempi perfettamente differenziati: (1) svuotare i polmoni al massimo per eliminare tutta l'anidride carbonica; (2) tenere i polmoni vuoti normalmente, fino al momento in cui si avverte il bisogno dell'aria che inspiriamo; (3) riempire i polmoni d'aria nuova, ricca d'ossigeno e  prāṇa; (4) tenere i polmoni pieni.

Generalmente, il tempo di mantenimento dei polmoni vuoti o pieni deve essere lo stesso e specifico per ogni individuo secondo le sue peculiarità. Continua...

lunedì 21 febbraio 2011

Psicologia e Arte Marziale

La formazione marziale è un cammino lungo e costante nel tempo, che possiamo paragonare ad un'altalena, se osserviamo le improvvise accelerate e gli inattesi rallentamenti: può durare anche tutta una vita. È come una lunga escursione, il cui panorama cambia continuamente sec­ondo il livello d'ascesa. Colui che pratica le Arti Marziali, coinvolgendo in eguale misura corpo e mente, avrà ripetutamente l'occasione di scoprire continue novità in se stesso, grazie alla pratica e all'approfondimento di un'Arte che, prima ancora di essere un'attività fisica, è una disci­plina di vita.

L'Arte Marziale, infatti, in qualunque disciplina si esprima, è in primo luogo un sistema di vita ed occa­sione di formazione alla vita stessa. È qualcosa che por­tiamo sempre con noi, anche - o soprattutto? - fuori dai contesti d'allena­mento. È per questo che la formazione marziale, se con­dotta con criterio e cura, non può limitarsi all'apprendi­mento sterile di un elenco di tecniche, utile solo a gratifi­care un bisogno di collezionismo insoddisfatto, deve piuttosto consentire la crescita psicologica e fisica dell'indi­viduo, utilizzando come strumento formativo il movimento. Esso, infatti, sintesi dell'espressione fisica ed emotiva (psicosomatica) dell'essere umano, è il veicolo attraverso il quale l'Arte Marziale, come l'arte psicoterapeutica, pro­nuove l'evoluzione creativa dell'individuo.

La valorizzazione delle qualità psicosomatiche deile Arti Marziali, già note al mondo orientale, è oggi sostenuta e rinforzata in Occidente, dai recenti studi di psicologia dello sport, applicata alle Arti Marziali. Questi studi hanno messo in risalto il potere formativo e terapeutico delle Arti Marziali, garantito dalla specificità del loro metodo di for­mazione. Ad avvalorare tale tesi sono stati i risultati, inno­vativi e rivoluzionari, ottenuti dai recenti studi internazionali, che ogni anno vengono presentati al "Congresso della Federazione Europea d'Analisi Bioenergetica e Psicoterapia Corporea".

Credo che da almeno dieci anni sia avvenuto un sostanziale e significativo cam­bio di rotta con lo scambio tra le due arti, marziale e psicoter­apeutica. Si tratta di uno scambio bidirezionale, perché non è più la psicologia che invade il settore marziale, ma finalmente anche l'Arte Marziale si propone in un contesto psicoterapeutico. L'Arte Marziale ha tutte le carte in regola per proporsi come soluzione di sostegno a ter­apie già avviate per i casi più complessi, mentre potrebbe divenire una nuova soluzione, in alternativa alla terapia "classica", nei casi di nevrosi meno gravi e sufficiente­mente adattati alla realtà.

Un istruttore marziale che sia responsabile del proprio ruolo e consapevole che l'oggetto del proprio lavoro è "materiale umano", sa bene di non poter prescindere da una formazione adeguata che vada di là dal diplomino, dalla magliettina o dalla cintura. La formazione marziale, per essere completa ed efficace, deve rispettare alcune condizioni specifiche: deve essere formativa e costante, cioè coinvolgere concretamente nel corpo e nella mente l'intero individuo ed avere cadenza costante nel tempo; deve promuovere la conoscenza, in termini psicologici e fisici, delle qualità e dei limiti d'ogni singolo individuo per ampliare le prime e superare i secondi; deve consentire, attraverso lo studio delle tecniche, la gestione di parametri psicosomatici quali postura, respiro e movimento energetico; deve analizzare in termini sia teorici sia esperenziali quali siano le doti utili ad un leader, secondo i contesti, i gruppi d'allievi e le doti d'ogni singolo istruttore; deve trasmettere i principi base dell'arte dell'insegna­mento ed informare sulle condizioni necessarie perché avvenga l'apprendimento.

Questi sono alcuni degli argomenti che dovrebbero essere alla base di un vero e proprio corso di formazione in psicologia del corpo per diventare istruttori d'Arti Marziali. Purtroppo in Italia questa componente è spesso lasciata in secondo piano, se non completamente rimossa dai corsi di studi. Secondo me, invece, rimane un punto forte da affrontare, soprattutto per una disciplina come il Wing Chun Kuen, dove la psicologia dovrebbe essere sempre messa in primo piano, visto che la si considera spesso un'Arte Marziale "da strada", stando almeno alle pubblicità presenti sul territorio e su internet. Pensare di mettere in mano ad una persona decine di tecniche, senza lavorare sulla sua psicologia è folle.

lunedì 14 febbraio 2011

Equilibrio corpo-mente: 禪 in movimento

So per esperienza personale che non si possono fare teorie sul corpo né tantomeno insegnare tecniche di dinamica corporea, senza prima renderlo oggetto di ricerca. Il corpo, al contrario dei limiti che gli sono imposti dal contesto sociale, è capace di ricorrere ai cinque sensi comandati dalla mente - vista, udito, olfatto, gusto e tatto - per giocare, esprimersi o realizzare funzioni più insospettabili come ascoltare, vedere, sentire, pensare e comunicare con altri corpi. 

Il nostro corpo è in grado di percepire il mondo e la vita nel loro contesto, tanto a livello interpersonale che intrapersonale, come a livello semplicemente animale, servendo come mezzo di ricezione ed emissione di sensazioni gradevoli o sgradevoli, sotto un prisma differente a quello fornito dai sensi dell'attività mentale cosciente, più sereno e più ricco di sfumature. 

Basta assistere ad una lezione di Wing Chun Kuen per percepire l'onda, quel qualcosa di speciale che sembra fluttuare nell'ambiente e che permette la comunicazione senza parole. Questo, che per me attualmente è una realtà scontata, non era così chiaro quando cominciai a lavorare con il mio corpo, né le mie motivazioni furono inizialmente la ricerca di questa bella percezione della realtà della vita. 

Sono cosciente di quanto possa sembrare semplice parlare del corpo umano come unità, così come di quanto risulti complesso analizzare ciò che realmente è: un equilibrio energetico-dinamico, somma di innumerevoli equilibri parziali e sul quale qualsiasi modifica di uno di loro si traduce in una alterazione più o meno sostanziale dei restanti con lo scopo di compensare la modifica esterna e minimizzare i suoi effetti.

Se a ciò sommiamo la continua e reciproca interazione mente-corpo, ci troviamo davanti all'impossibilità di determinare la soglia di separazione psico-somatica, nel caso in cui esistesse, di fronte a un campo di esperienze sia intuitive che appassionanti, ma dove la realizzazione di tecniche di dinamica corporea adeguate, come ad esempio la pratica del Wing Chun, fornisce dei risultati sorprendenti nella personalità di chi le realizza.

ll corpo è un libro aperto - per chi conosce il suo linguaggio e i suoi simboli - dove si può leggere non solo la struttura corporea e da essa il carattere e la problematica dell'essere, ma anche quella psichica che, se modificata, si ripercuote sullo stesso atteggiamento corporeo, cambiandolo.

Nel caso concreto del nostro Wing Chun concorre, oltre ad altri aspetti che si svilupperanno a suo tempo, la circostanza di essere una delle discipline corporee che si basano fondamentalmente sull'utilizzo dell'aggressività in modo creativo, approfittando di quell'energia accumulata generata dalle nostre continue frustrazioni nello scorrere quotidiano dell'esistenza e che normalmente si riversa su di noi in modo negativo, rompendo il nostro fragile equilibrio corpo-mente-ambiente esterno.

Tale energia, mediante delle tecniche corrette, può essere concentrata nel basso addome e canalizzata dalla nostra volontà, riversando l'eccesso verso l'esterno e approfittando del resto come energia utilizzabile e creativa, sia per comunicare con gli altri, sia per prendere coscienza di noi stessi. Nella pratica del Wing Chun si impara a sentire e a riconoscere la nostra aggressività attraverso il nostro corpo - così come quella degli altri - a giocare e controllarla; tutto ciò produce una pace interiore e una discreta sicurezza nella vita quotidiana. Non parlo solo in termini di autodifesa, ma, soprattutto, di una capacità di razionalizzare  i problemi che ci vengono incontro.

L'uomo è, in apparenza, una dualità contraddittoria e sorprendente: animale e razionale allo stesso tempo. Questa dualità è stata storicamente dissociata in un modo cosi semplicista come opportuno, aggiudicando alla mente, in esclusiva, il ruolo razionale, e al corpo, sofferta e fastidiosa materia, il ruolo animale che spesso ci spaventa e ci inquieta. Non solo per la mia esperienza personale, ma anche per le osservazioni che ho effettuato su compagni di allenamento e studenti, posso affermare che la distribuzione di questi due ruoli è tanto scorretta quanto arbitraria e opportunista. 

Il corpo e la mente formano un'unità coerente ed indivisibile, si trovano in continua e costante interazione giacchè, in fin dei conti, la materia è energia, pensare e camminare è utilizzare energia che ricaviamo dal corpo o che percepiamo coscientemente o incoscientemente dall'ambiente che ci circonda. Perché allora, quel continuo occultare e negare il nostro corpo, quella tendenza storica che lo rende depositario e responsabile di tutta la nostra mediocrità, quel desiderio di autodistruzione che sembra animarci nei nostri momenti depressivi, quando il corpo può fornirci un numero esagerato di sensazioni gradevoli, oltre a quelle più elementari come sono il sentirsi sano, pulito e bello? Questa lunga domanda, naturalmente, conseguenza dell'arbitraria distribuzione dei ruoli a cui prima ho fatto riferimento, ha una risposta molto semplice, ma allo stesso tempo fastidiosa: lascia libero il tuo corpo, sviluppa tutte le sue possibilità percettive e comunicative, prendi coscienza di lui così come è, non classificarlo nella definizione che ci hanno tramandato, generazione dopo generazione, diamogli in definitiva, quella parte di divinità che gli corrisponde e che gli abbiamo negato, rompiano una volta per tutte, l'assurda dissociazione di una dualità che, se è caratterizzata da qualcosa, non lo è dalla disparità, ma dalla simbiosi. 

Per me il Wing Chun è uno dei modi idonei per il raggiungimento e la restaurazione dell'equilibrio psico-somatico, anche se è necessario dire che non è fondamentalmente un processo terapeutico, ma una profilassi nell'armonia tra energia e materia, che lavora principalmente dal corpo, pur senza dimenticare la mente, né i rapporti interpersonali. 

Il Wing Chun è qualcosa di più di un semplice procedimento di dinamica corporea, è l'essenza del Sim (禪 [chán], meglio conosciuto come Zen, in giapponese) in movimento, poiché nella sua pratica la mente, il corpo e l'azione convergono nello scopo e nel tempo.

sabato 12 febbraio 2011

Strategie

Per il praticante di Wing Chun la parola strategia dovrebbe essere molto importante, ma, spesso, essa si riduce al solo "contro attacco", cioè all'attesa della mossa dell'avversario. Eppure abbiamo una cultura cinese ormai millenaria che ci insegna ad utilizzare le varie Mau Gung (謀攻), le strategie di attacco: basti pensare all'Arte della Guerra di Sūnzǐ (孫子兵法) oppure al testo "I 36 stratagemmi", nuovamente edito in italiano a cura di Gianluca Magi, per esempio.

Leggendo questi testi viene il sospetto che la bellissima Arte del Wing Chun Kuen sia arrivata monca qui da noi, perché pare che sia funzionale soltanto nella corta distanza, a contatto e, soprattutto, come risposta agli attacchi dell'avversario. Eppure sappiamo bene che non è così, visto che ci sono parecchi lineage che studiano la lunga distanza, la presa di contatto, il corpo a corpo (grappling), la media distanza (quella dello striking), la fuga e l'inseguimento dell'avversario.

I punti cardine della strategia dovrebbero essere anzitutto tre: attenzione, adattabilità e fermezza. Mi sembra importante il punto sull'attenzione, perché spesso è unidirezionale, può essere diretta solo in un'unica direzione alla volta. Nonostante la velocità di movimento ci possa indurre ad altre conclusioni, un'attenta osservazione sull'attenzione del praticante durante il combattimento non lascia spazio a dubbi: esistono vari livelli di attenzione non cosciente, come l'attenzione meccanica o l'attenzione automatica, che sono supporti essenziali all'attenzione cosciente. Il primo lavoro da fare se si vuole avere una chiarezza mentale sulle strategie da adottare è l'attenzione. La concentrazione sullo spazio circostante può essere il primo passo.

Una questione importante per capirci è anche avere bene in mente la differenza tra strategia e tattica. La  strategia rappresenta le considerazioni globali di un problema che devono coniugare gli obiettivi politici con gli obiettivi militari La tattica è l'ottimizzazione delle formule per applicare la suddetta strategia. Per ciò che si riferisce all'artista marziale le considerazioni globali si devono intendere come lo sviluppo dell'attitudine. Per tal motivo, nel combattimento o nell'azione la riflessione e l'atto devono essere una cosa sola. Questo perché l'artista marziale deve incorporare in se stesso la perfetta attitudine come la maggiore delle strategie.

Sul modello della perfetta attitudine, i Maestri hanno elaborato differenti formulazioni, sebbene si possano trovare spazi comuni ed elaborare, di conseguenza, le seguente sintesi: attenzione (atteggiamento sveglio e rilassato); adattabilità (non avere schemi d'azione rigidi, flessibilità, trarre il massimo da qualsiasi circostanza, etc.); fermezza (temperamento, serenità, decisione, etc.). Anche se la maggior parte delle Scuole è concorde nel definire queste virtù come le più adeguate, in alcuni stili si insiste su di altre che hanno a che vedere più con le peculiarità culturali che con la ricerca di un modello di sistema efficace. La maggior parte dei Maestri è concorde nel sostenere che la formula ideale è quella che presenta una struttura resistente con funzioni duttili.

Questa capacità di resistenza della struttura deve risiedere in un centro forte e stabile: finisce per essere la condizione indispensabile affinché l'adattabilità possa avere luogo. La maggior parte dei sistemi la distinguono chiaramente dalla rigidità, che rende il corpo e la mente totalmente passivi, in attesa degli eventi. Con una buona struttura e con un centro forte e stabile si può pensare di rapportarsi all'altro senza il timore di essere spazzati via.

È la serenità, il temperamento dello spirito ed il corpo del praticante quello che ci interessa. Da questi tre elementi proviene il prudente utilizzo della bravura, il naturale contenimento dell'energia, che traspare e si manifesta nel potere che fluisce, che emana dalla presenza del praticante. Lo sviluppo di queste virtù è una delle conquiste dell'allenamento cosciente dell'atleta; un allenamento che richiede sia l'azione che la riflessione critica sul proprio lavoro.

L'ottimizzazione dell'attenzione consiste nel concentrarsi in un punto che agirà come referente e che permetterà di liberare l'attenzione cosciente affinché si mobiliti rapidamente dove può essere richiesta. Esempi per l'applicazione di questa formula li possiamo sin dalla Siu Nim Tau, nella quale si raccomanda di fissare lo sguardo orizzontale, per poter avere una visione d'insieme (anche periferica) del corpo dell'avversario - ovviamente dopo il proprio, allo specchio -.

Pensiamo alle armi da taglio: non bisogna prestare attenzione alla punta, ma all'impugnatura, poiché questa indica la possibile direzione degli attacchi, etc. Si rischia, altrimenti, di guardare il dito e non la luna... Per ciò che concerne l'adattabilità, possiamo constatare che tutti gli stili tendono a sottolineare la sua importanza, alla sua applicazione, le distanze crescono in maniera particolare.

Il fatto di non avere schemi d'azione rigidi entra, in molti casi, in contraddizione con l'applicazione eccessivamente rigida delle formule che ogni stile prepara per reagire di fronte alle differenti possibilità di difesa-attacco, anche se l'adattabilità, in questo caso, si può interpretare più come un'attitudine o una disposizione dello spirito del praticante che gli permettono di trarre il massimo da qualsiasi circostanza si presenti. 

venerdì 21 gennaio 2011

La finalità della pratica del Wing Chun Kuen

Parto dalla fine, tanto per chiarire subito la mia posizione. La finalità ultima della pratica del Wing Chun Kuen è quella di ottenere un perfetto equilibrio fra il corpo e la mente attraverso la pratica (sul Tatami o altrove) di un'ampia gamma di tecniche fisiche e di movimenti a corpo libero. 

Uno può arrivare stanco e preoccupato all'allenamento, ma ne esce sempre stimolato, sia fisicamente che psicologicamente, soprattutto per il lavoro svolto per scaricare la propria aggressività. Raggiungere tale scopo implica tutta una serie caleidoscopica di obbiettivi intermedi, con una trascendenza umana e sociale che è alquanto bella e sconosciuta. 

Anzitutto dobbiamo prendere coscienza del nostro corpo, per poterlo accettare, con la rottura di tutti gli impedimenti ossessivi sia a livello individuale che di gruppo, che possono impedire il nostro sviluppo. La presa di coscienza comincia quando si sentono i primi indolenzimenti muscolari, allo stesso modo di quando si percepisce l'irrigidimento muscolare o il rilassamento.

Stare a sentire il corpo e il modo in cui lavorano i muscoli, in accordo con il principio della massima stabilità e del risparmio energetico è un altro punto molto importante per la nostra pratica. Nello stesso momento è fondamentale rieducare la capacità corporea al gioco, con i vari esercizi di Chi Sau e Lat Sau, per esempio. 

Se ci pensate bene, durante gli allenamenti rivitalizziamo la sfera sensitiva e sensoriale attraverso il lavoro della colonna vertebrale, del basso addome e della zona pelvica, per avere una percezione sempre migliore del movimento di questa macchina perfetta ed imperfetta allo stesso tempo chiamata corpo umano.

Il controllo del corpo è un obbiettivo assai difficile da raggiungere. In tutti gli anni di pratica ho conosciuto solo due o tre persone in grado di muoversi con estremo controllo di ogni singola parte del corpo. La conoscenzadel proprio asse corporeo, del volume (dimensione corporea) e del movimento con il massimo risparmio energetico permette un utilizzo corretto del corpo nello spazio; parlo sia del corpo individuale che di quello del gruppo, il che significa che il rapporto con gli altri nonché i movimenti si addolciscono e si fanno meno convulsi.

Attraverso la pratica dobbiamo riuscire ad acquisire la capacità per passare dal rilassamento totale all'esplosione del Ch'i per ritornare subito al rilassamento, come fanno gli animali in natura. Con un serio allenamento è possibile migliorare i bioritmi e l'utilizzo della propria energia vitale, sia per la conoscenza interna del corpo che per l'ottimizzazione del respiro, riuscendo a fare in modo che le costanti vitali - ritmo respiratorio, flusso sanguigno, etc. - raggiungano un valore più equilibrato.

Sin dall'inizio, attraverso la pratica delle forme, il praticante viene stimolato a sviluppare la volontà, la costanza, il desiderio di superarsi, l'umiltà nell'accettare le proprie limitazioni e la capacità per sopportare il dolore fisico (con le pratiche connesse al condizionamento - 打三星 (Da Saam Sing), etc. -. Con lo stesso lavoro e con quello in coppia, si sviluppa un'armonica coordinazione muscolare, in sequenza progressiva, per dare potenza all'istante del possibile impatto, il che obbliga il praticante a controllare il suo sistema nervoso, impiegando soltanto quei muscoli che richiede la tecnica e mantenendo rilassati gli altri per evitare di disperdere la forza. Questa coordinazione ha il vantaggio immediato di dare all'allievo una vera sensazione di piacere fisico, il sentirsi completamente padrone del proprio corpo.

Eppure i benefici non finiscono qui. Il Wing Chun Kuen facilita la iberazione ed il controllo dell'aggressività nella pratica normale nel combattimento senza KO, grazie a un rigoroso autocontrollo psicosomatico.  Ricordiamo che l'adrenalina si libera con il grido e l'esplosione violenta della tecnica, ma per questo bastano un paio di minuti. Mantenere quella tecnica più a lungo ha un effetto negativo che annulla la liberazione ottenuta.

Mi spiego meglio: l'allievo arriva alla lezione con la dose di adrenalina accumulata durante la sua attività giornaliera (lavorativa, familiare, sociale, affettiva). Quella quantità si libera facilmente nel tempo suddetto, ma se persistiamo nello stimolare la sua aggressività, arriva un momento in cui la stanchezza e l'imposizione cominciano di nuovo ad agire su di lui, attivando ancora la secrezione di adrenalina. Ci sono casi di comparsa di vero e proprio odio per l'istruttore che pungola in modo ingiustificato l'allievo, che lo considera una figura onnipotente, al contempo amata e temuta. Un esempio chiaro, come nelle terapie, di rapporto
asimmetrico.
La liberazione di energie negative, come gli eccessi di calorie, le angosce e le paure fisiche e psichiche attraverso il movimento corporeo aiutano ad ottenere un perfetto equilibrio e controllo del respiro e, di conseguenza, della concentrazione e del rilassamento, nonché un adeguato sfruttamento dell'energia che immettiamo nel corpo durante l'inspirazione.

Pian piano si genera una gradevole sensazione di sicurezza che facilita in grande misura il vivere sociale. Quando dedichiamo tempo a sufficienza alla pratica, viene fuori un'eccellente flessibilità, elasticità, forza muscolare e ringiovanimento del corpo, nonché una grande resistenza muscolare per tutti i tipi di sport o lavori fisici.
In merito alla comunità con la quale si vive e si entra in simbiosi, troverete una calda sensazione di solidarietà dovuta alla pratica collettiva, al frequentarsi stabile e duraturo. In questa famiglia ci si potrà sentire davvero a casa, però, solo se saranno chiariti sin dall'inizio i punti fondamentali per la convivenza, altrimenti si rischierà sempre di cadere in un clima da sètta o in una collettività impersonale o, peggio, spersonalizzata, dove ci si sentirà solo numero tra numeri.

giovedì 20 gennaio 2011

Le limitazioni fisiche: conoscere le proprie possibilità

Generalmente la cultura fisica si fonda sul presupposto della competenza del proprio corpo e della rivalità rispetto agli altri. Si suppone che questo costituisca uno stimolo al superamento dei propri limiti, ma si dimentica che è precisamente questa concezione quella che inibisce molte persone ad utilizzare il loro corpo ed a sperimentare cosa siano in grado di fare con lo stesso. A nessuno piace sentirsi inferiore, ovviamente, men che meno si vuole provare la sensazione di essere ridicolo o non "servire" a niente. Proprio per questo bisogna conoscersi per valorizzare i punti di forza.

Il proposito che mi sono imposto quando ho iniziato ad insegnare si fonda sul fatto che ciascuno deve avere come punto di riferimento se stesso, prima di tutto, proprio come io ho messo al centro della mia ricerca il mio corpo. Sarebbe bene abituarsi ad accettare i nostri limiti, senza considerarli un peso, senza mascherarli o prendersi in giro da soli pensando di non averne. Analizzarsi ed accettarsi significa iniziare a scalare una montagna, per raggiungerne la vetta, la quale non è altro che la corretta percezione di sé.

L'ideale della perfezione è un'ottima spinta a migliorarsi, sempre che non supponga l'autodistruzione sotto forma di un atteggiamento di rifiuto di noi stessi, nel momento in cui percepiamo che è impossibile essere perfetti. L'unico strumento di cui ognuno dispone è il suo stesso corpo e con lui deve lavorare, esprimersi e comunicare. Non c'è via di scampo. Proprio per questo continuo a studiare ed a sperimentare, perché vengono fuori sempre miglioramenti nella percezione di me stesso.

Esistono differenze individuali, come esistono differenze di statura, peso, colore dei capelli, etc.,  ma ciò che è comune a tutti è la capacità di imparare, anche se, naturalmente, il tempo richiesto ed il livello massimo al quale ognuno può arrivare è diverso. Per questo motivo bisogna sempre fare propria l'Arte Marziale, perché non si tratta solo di scimmiottare dei movimenti vuoti, ma di capire il limite del proprio corpo e della propria mente, dove si possono spingere insieme, coordinati.

Rendersi conto delle proprie limitiazioni è quindi molto importante tanto quanto lo sforzarsi nell'apprendistato delle tecniche, delle forme, delle varie combinazioni. Se sin dal principio esigiamo la perfezione da noi stessi, il cammino sarà pieno di dispiaceri e di frustrazioni: molto probabilmente finiremo con l'abbandonare, come è successo a tantissimi e come ho rischiato di fare io più volte, anche nel corso degli ultimi mesi. Bisogna accettarsi e tentare di migliorare. Anche se non ci sarà una notevole evoluzione, avremo fatto la cosa giusta, perché avremo speso delle energie per noi stessi, per conoscerci meglio e per tentare di crescere.

Ci sono tre condizioni necessarie che sono antecedenti all'accettazione dei nostri limiti fisici. Queste condizioni non vengono date per diritto divino, si acquisiscono e si sviluppano con la pratica. In primis, le attività proposte vanno dirette verso la presa di coscienza del proprio corpo e, insieme a questo, al riconoscimento dei suoi limiti. Ecco perché la maggior parte degli esercizi di base dei primi mesi servono per percepire lo spazio, per sondare il proprio equilibrio e per coordinarsi. Non a caso le basi vanno ripetute sempre e comunque, senza mai abbandonarle.

In secondo luogo, ci si deve indirizzare verso la coordinazione nelle sue due modalità: in quella che si riferisce alla relazione pensiero-azione e in quella che ha per oggetto l'interazione delle distinte parti dell'organismo in un'unità attiva. Mi pare evidente che esista una relazione dialettica tra i due termini della relazione: non si può giungere ad accettare il proprio corpo se prima non si è sperimentato cosa si possa fare con lo stesso e viceversa. 

Quanto meglio si conoscere il corpo, più forte è la disposizione a metterlo in gioco, a sperimentarsi. Di conseguenza, non esiste auto-coscienza se questa si appoggia esclusivamente sulla passività e sulla riflessione concettuale. Bisogna provare, sperimentare e sentire sulla propria pelle per poter prendere coscienza delle possibilità del corpo.

Fondamentale è capire i limiti del proprio corpo durante tutte le nostre attività quotidiane, con un sincero spirito di miglioramento, senza voler esagerare e forzare le proprie capacità. Infatti, uno degli scopi dell'apprendimento del Wing Chun Kuen è quello di eseguire le posture tenendo conto delle proprie possibilità individuali, poiché i benefici effetti della pratica non dipendono dalla perfezione della postura stessa, perché siamo tutti diversi. Di sicuro, ci dobbiamo allontanare dalla pratica che ci costringe a tenere posizioni che accentuino lordosi o cifosi, perché la nostra schiena e le nostre articolazioni ne risentirebbero sicuramente.

martedì 28 dicembre 2010

劈肘 - Pai Jaan

Oggi voglio parlare di una delle gomitate che si trovano lungo il cammino del Wing Chun Kuen, sin dalla pratica della Siu Nim Tau. Si tratta del 劈肘 - Pai Jaan -, la "gomitata che divide" o, tradotta in modo più libero, la gomitata orizzontale. Purtroppo lo studio delle tecniche di gomito è spesso lasciato al periodo - spesso breve - in cui si studia la forma Biu Ji, come se fossero appannaggio di una piccola classe dirigente. Eppure nella prima forma del sistema già si incontra nelle due versioni, avanti e indietro (Hau Pai Jaan). Misteri della fede...

Veniamo alle applicazioni. Non sempre è utilizzata per colpire parti del corpo dell'avversario. In alcuni casi serve per aprire la guardia, per poi proseguire in altri modi l'attacco. Può essere una valida difesa, a corta distanza, da attacchi di rettilinei (ricordate la questione dell'arco e della corda dell'arco?). 

In ambito "difesa personale", è uno dei validissimi attacchi che permette di concludere lo scontro nel modo più violento e veloce. Attenzione, però, perché il gomito colpendo può tagliare, se impatta su tessuti duri (sopracciglio, mascella, etc.), o può provocare gravissime lesioni, se arriva su tessuti morbidi o poco rigidi (tempia, trachea, etc.).

All'interno del sistema Leung Ting, troviamo la gomitata espressa in più modi, sia con l'avambraccio teso - come nella foto che ritrae SiFu Iadarola, qui accanto -, sia con l'avambraccio morbido, come la si allena solitamente nella Biu Ji. Questo dipende dalla distanza dalla quale si tira la gomitata e dall'angolo, spesso, nonché dalla reazione dell'avversario.

Nella maggior parte delle dimostrazioni visibili su internet, la si trova come conclusione del combattimento, con l'avversario totalmente inerme e passivo. Ci può stare, ma questo denota un fatto assodato: l'allenamento delle gomitate è spesso relegato a rotture o sezioni di Chi Sau, non dando fiducia a chi le tira, perché non viene mai aumentata la potenza e la precisione del colpo.

Ecco perché da un po' di tempo a questa parte ho iniziato a far allenare questa ed altre gomitate ai miei Allievi, sin dai primi mesi di pratica. Ci si deve mettere in testa che il gomito è una delle armi più importanti per i praticanti di questa Arte Marziale e, proprio per questo, va allenata la velocità, la resistenza e l'impatto della gomitata. 

Indispensabile, in questo contesto, è la gomitiera, uno strumento dal basso costo, ma dal valore inestimabile se lo rapportiamo all'uso che se ne può fare. Ce ne sono di vari tipi in commercio, ma le migliori che ho sperimentato sono quelle tondeggianti, che ci permettono di lavorare anche a corta distanza, senza rimanere impigliati ed impacciati dall'ingombro della protezione. Non si può fare a meno di tirare queste gomitate durante gli allenamenti sulla corta distanza, ripeto, perché sarebbe come tarpare le ali all'aquila.

Per quel che concerne la forza d'impatto, essa è generata dalla forza di rotazione dell'anca, dall'utilizzo di un lavoro di gambe che permetta di conservare l'equilibrio mentre si scarica il colpo sull'obbiettivo, oltre ad una gestione della colonna vertebrale che prepari sempre il secondo colpo. In questo senso è indispensabile rimanere sempre carichi con il secondo arto superiore, altrimenti si rischia di regalare l'angolo cieco a chi ci sta di fronte. Non è un caso che mi sgolo spesso per sottolineare che questa gomitata non deve sorpassare la linea centrale tra noi e l'avversario, pena il dover ricorrere alle tecniche d'emergenza per uscire da una situazione imbarazzante.

Nella forma Chum Kiu si allena in modo rigoroso questa gomitata (in connessione con quella posteriore, Hau Pai Jaan), con la potenza della forza di rotazione, più, in alcuni lineage, del passo conseguente. Mi pare davvero importante sottolineare come le forme siano un libricino, un promemoria, che tutti i praticanti di questo stile dovrebbero avere nelle proprie tasche, ma non una Bibbia. Perché? Semplice, non bisogna farsi imbrigliare dalla storia, dalla tradizione e dal malcostume. Con tutto il rispetto che possiamo conservare per i Grandi Maestri del passato, dobbiamo assolutamente adattare il lavoro che facciamo nelle forme alle nostre esigenze. Mi innamorai per il Wing Chun perché mi dissero che era "lui" a venire da me e non io da "lui"; poi non è stato così, perché l'estrema codificazione l'ha un po' messo a terra, ma penso che possiamo essere ancora in grado di porre un freno alla degenerazione...

Con la Biu Ji la gomitata 劈肘 (Pai Jaan) assume un altro valore, che va dalla tecnica d'emergenza in contesti ravvicinati e corpo a corpo allo studio di tecniche di Qin Na (Kam Na) attraverso l'uso dei gomiti. Non a caso, in questa forma viene usata insieme a tecniche di mano, ma è un'altra storia...

Con l'allenamento al pupazzo di legno essa assume tutta la sua potenzialità, andando a rinforzare avambraccia (soprattutto l'ulna) e la nostra capacità di prendere l'angolo rispetto alla "guardia" del pupazzo. Ci sono altri lavoretti da fare, ma per ora me li tengo per me.

Attraverso l'allenamento delle armi tradizionali, la gomitata 劈肘 assume altri valori, perché diventa una tecnica nascosta dietro all'attacco con i coltelli, oppure un modo per colpire l'avversario durante le fasi di disarmo...è tutta una storia da vedere e da allenare!

Gli ideogrammi utilizzati dalle varie Famiglie sono due: 劈 o 批, a parte 肘, che rappresenta il gomito. Vediamoli.

批 [pī] in questo contesto significa "colpire". Di solito è usato per i commenti su dei documenti (criticare), ma in questo contesto è colpire in senso fisico. Deriva da 扌(o 手) [shǒu], la 'mano' e dall'uso fonetico di  比 [bǐ]. In cantonese è /Pai/.

L'altro ideogramma, che uso anche io, è 劈 [pī], che significa "tagliare", "dividere", "colpire". Deriva da 辟 ([bì], "aprire" o "eliminare") e da 刀 ([dāo], il "coltello"). In cantonese è spesso scritto come /Pik/, ma lo si trova anche come /Pai/.

肘 [zhǒu] è il "gomito", lo sappiamo, e deriva da 月 (肉) [ròu], la "carne", e da 寸, la 'mano'. In cantonese: è solitamente scritto come /Jau/ o /Jaan/. Nel sistema Leung Ting viene spesso scritto /Jarn/.

lunedì 8 novembre 2010

Intervista a Lino Paleari

Oggi incontriamo il Maestro Lino Paleari, discendente della Scuola di Wong Shung Leung.

Innanzitutto ti ringrazio per l’onore che mi concedi di essere presente nel tuo blog assieme a tanti altri appassionati di questa stupenda arte. Detto questo ci tengo a precisare che non mi ritengo un discendente della scuola di WSL, in quanto pur avendo studiato lo stile con più di un suo allievo diretto, ho conosciuto anche altre realtà, dalle quali ho appreso molto di quello che attualmente conosco.

Ci puoi dire qualcosa sulla tua vita? Quando hai iniziato a praticare Arti Marziali?

La mia principale attività è stata, sino a poco tempo fa, quella di ricercatore chimico e quindi mi sento “particolarmente” portato alla ricerca, nel senso più generale di questo termine. Ho praticato arti marziali sin da piccolo, ma solo verso i 30 anni, e quindi piuttosto tardi, è esploso questo amore che ancora adesso mi accompagna.

Con chi iniziasti a studiare lo stile Wing Chun? Quali sono stati i tuoi Maestri nel passato? E chi è il tuo attuale Maestro?

Ho iniziato nei primi anni novanta in modo sporadico e discontinuo, dal novantadue in poi mi sono dedicato intensamente allo studio di questo stile.
Sono passato, in modo discreto, attraverso varie associazioni: la persona che ricordo più volentieri è Franco Regalzi e, anche se è molto tempo che non lo vedo più, lo considero un ottimo insegnante ed un fraterno amico.
Da circa sette/otto anni non faccio riferimento a nessun Maestro in particolare, se non agli “scritti” che un grande Maestro cinese ha lasciato in eredità ai posteri.

Come si può diventare SiFu nella tua associazione?

Assieme agli allievi più anziani, nel modo più onesto e democratico possibile, proclamiamo sifu quegli studenti che dimostrano di possedere le doti umane e tecniche che riteniamo idonee per ottenere questo riconoscimento.

Quante ore ti alleni al giorno?

Oserei dire 24 ore al giorno, ormai è diventato un “modo di vivere”

Hai mai combattuto in contesti sportivi? Quando, dove e con quali risultati?
Non mi interessano i contesti sportivi, le arti marziali cinesi non sono nate per questo scopo.

Quante ore a settimana dovrebbe praticare uno studente per progredire in maniera seria?

È un discorso molto soggettivo, dipende da troppi fattori diversi tra loro e quindi non me la sento di fare una simile quantificazione. Mi sento di dire tuttavia che il motore ed il carburante principale è la passione, senza la quale non si va molto lontano.

Cosa ne pensi degli altri SiFu e dei loro metodi di insegnamento, nelle altre associazioni e Famiglie di Wing Chun?

Posso parlare solo per quelli che ho conosciuto personalmente, ed in verità devo ammettere che nessuno mi ha entusiasmato in modo particolare, anche se da tutti, indistintamente, ho sempre trovato qualcosa da imparare.

Possiamo sapere la differenza tra il tuo Wing Chun e le altre interpretazioni?

Rispetto ad altre realtà, o meglio rispetto a quelle che ho avuto modo di conoscere girovagando in lungo e largo per l’Italia e non solo, - e quindi non posso escludere che ne esistano altre a me ignote, - siamo molto più focalizzati sull’aspetto “mentale” delle arti marziali e meno sugli esercizi fisici.

Quali sono i concetti di combattimento su cui è focalizzata la tua Scuola?

Il principale concetto di combattimento su cui ci basiamo è quello del rilassamento e della conoscenza direi quasi maniacale delle meccaniche motorie del nostro corpo; poichè corpo e mente sono indissolubili ne consegue che lo studio dei processi mentali è ugualmente importante.

Ci puoi dire qualcosa sui 'Bart Cham Dao'?

Su questo “strumento” di allenamento si potrebbe, a mio modo di vedere, parlare per intere pagine: per ovvi motivi non lo farò e mi limiterò a citare solo alcuni aspetti del loro uso, consapevole che, così facendo, ne tralascerò sicuramente altri altrettanto importanti.
Considero i doppi coltelli, assieme al wodden dummy e al lungo palo, un ottimo strumento per migliorare le tecniche a mani nude. In particolare con essi si possono efficacemente lavorare alcuni importanti principi tra i quali:
- i passi: sia per trovare il cosiddetto angolo cieco che per attaccare frontalmente l’avversario;
- le rotazioni: le quali permettono, utilizzando i pivot, di velocizzare tutti i movimenti, sia di difesa che di attacco;
- la coordinazione: migliorano la coordinazione dell’intero corpo, in particolare quella tra bacino, gomiti e polsi.

Ci puoi dire qualcosa sul ‘Luk Dim Poon Kwan'?

Vale lo stesso discorso fatto per i doppi coltelli, a differenza di quest’ultimi però tutti i movimenti vengono però eseguiti in modo molto più “corto”, seguendo i dettami della terza forma.