sabato 22 dicembre 2012

Confusione nel mondo del Wing Chun. Dubbi sul concetto di autodifesa

Ospito con il solito orgoglio le riflessioni del mio ToDai Pasquale "Guido" Mazzotta. Spero che possa essere uno spunto per l'autocritica da parte di tutti.

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Prendo spunto per il presente articolo da una discussione portata avanti su facebook sulle discipline tradizionali. Poiché i miei interlocutori sono interessati all'aspetto autodifesa, e seguono pertanto metodi moderni volti a garantirla o, se non altro, permetterla nei limiti del possibile, può apparire chiara la piega presa dalla discussione. 

Benché io abbia già trattato il tema su queste pagine, probabilmente il parlarne con loro ha fatto emergere nuovi sviluppi. Come sempre conversare è un buon modo per approfondire ciò che si fa e ciò che si cerca. Nel susseguirsi della discussione, mi si è fatto notare come nelle arti tradizionali, in particolare "nel wing chun nei forum, i praticanti ti dicano tutto e il contrario di tutto". Vero. 

La prima cosa che mi verrebbe voglia di rispondere è che la democratizzazione della conversazione ha portato chiunque a parlare di ciò che non solo non sa, ma non ha mai praticato, mettendo gente impreparata al pari di gente esperta. Certamente sui forum di discussione si dovrebbe essere tutti solo utenti. Tuttavia la persona ignara che legge non riesce in alcun modo a fare dei distinguo, prestando praticamente fede a tutto quello che viene scritto da tutti, cioè sia una cosa che il suo contrario. 

L'ignaro lettore non può così farsi alcuna idea di quello che il wing chun sia, prendendolo dunque come un'accozzaglia di principi e tecniche senza capo né coda. Non a caso suggerivo di seguire solo un parere, quello che sembra più ragionevole (che assolutamente non deve per forza essere il mio), riservandosi poi la possibilità di correggere il tiro man mano, possibilmente in base anche ad esperienze reali o attraverso la pura sperimentazione personale. 

Una delle domande per capire in cosa questa benedetta/maledetta arte consista è stata: "Cosa faresti se un pugile ti mitragliasse?". Una domanda del genere che risposta potrebbe mai avere? Ma soprattutto questa domanda la faremmo a un praticante di thai boxe? E che risposta penseremmo di avere? Una combinazione classica da studio ai pao? Perché in entrambi i casi se si viene aggrediti da un pugile (o da un pinco pallino qualunque, perché in strada mica lo sappiamo se chi abbiamo di fronte è un pugile o un campione di judo o di scala 40) o si fugge o si combatte, in mancanza d'armi, con pugni, calci e atterramenti. Quindi da questo punto di vista il wing chun è un'arte marziale come un'altra. Non esistono risposte preconfezionate in nessuna disciplina. 

Chi offre delle risposte in tal senso (per esempio rispondendo che al pugile che incontri per strada rispondi sempre e comunque coi calci frontali e i mitici pugni a catena) è chiaro che mente e che chi crede a una cosa tanto stupida sarà il primo a diventare allievo di insegnanti senza scrupolo e, soprattutto, senz'arte. La verità è che è evidente che i principi che vengono sbandierati come wing chun quasi mai corrispondano a ciò che si fa in pratica, e questo dovrebbe mettere una persona attenta già in allarme. Mentre è evidente la ragione per cui alcuni insegnanti insegnano in questo modo (esclusivamente per il ritorno economico), è sconcertante vedere degli allievi che non si fanno mai domande e, anzi, difendono i loro SiFu a spada tratta come se veramente fossero un genitore, salvo che poi, forse un giorno rinsavendo, non si sentono mai stupidi per esserci cascati, ma semplicemente dicono che il wing chun non funziona o, nel caso migliore, dicono che le idee sono buone, ma sono già realizzate altrove, nella fattispecie negli sport da combattimento.

La differenza è che prima c'era un SiFu che pensava per lui, magari per spillare un po' di soldi, e ora c'è un coach che è un po' più onesto (forse) e dico onesto sperando che questa parola abbia per tutti il medesimo significato. Non scendo in altri discorsi più di natura tecnica. Quello che voglio dire è che difendersi per strada non significa prepararsi contro il pugile o il judoka che ci potrebbero capitare. 

Questa era la moda di un certo wing tsun degli Anni 80 e 90, e in parte anche dell'ultimo decennio. Se non si considera quanto su detto cade tutto il discorso della difesa personale che i miei interlocutori considerano, cioè la difesa da un aggressione, non incontro contro pugili e judoka su un ring di pugilato o un tatami da judo. Altrimenti autodifesa coinciderebbe con sport da combattimento e tanto varrebbe studiare quello. Ma sappiamo anche che così non è, benché lo sport rinforzi sia fisicamente che tecnicamente. 

E' altresì chiaro che le tecniche che si vedono in un contesto competitivo sportivo non saranno sempre pulite. A maggior ragione potrebbero non esserlo nella realtà di un'aggressione. Allora perché ci si domanda se le tecniche del wing chun, nel corso di un'aggressione, usciranno pulite o no? Che vuol dire pulite? Si intende ineccepibili e riconoscibili tecnicamente o piuttosto un tirare alla carlona che si nasconde dietro la scusa dei principi? Oppure moralmente pulite (praticamente i soliti stereotipi dei calci nei testicoli e le dita negli occhi)? 

Poiché sporco è stato individuato nel corso della conversazione come equivalente più o meno di sleale (apparizione improvvisa di armi più o meno improvvisate, aggressione di più persone e così via...), si è passati a discutere dell'art. 52 del codice penale che recita: "Non è punibile chi ha commesso il fatto per esservi stato costretto dalla necessità di difendere (2) un diritto proprio od altrui (3) contro il pericolo attuale (4) di un'offesa ingiusta (5), sempre che la difesa sia proporzionata all'offesa (6) (7) [55]". 

Ora, io non mi occupo di autodifesa e i miei pensieri sono solo quelli del normale cittadino che medita su cosa potrebbe succedere e casualmente pratica anche un'arte cinese tradizionale che si colloca nell'ambito del Wu-Shu. Da praticante di Wu-Shu ho pensato che probabilmente se gli sport da combattimento sono in una condizione migliore, in termini di efficacia, rispetto alle discipline tradizionali, è perché 'art. 52 non trova spazio nel campo in cui loro applicano le tecniche (ring, tatami, gabbie), che seppur di per sé non sono mortali (nel senso che non si ricerca la morte dell'avversario attraverso il loro uso, peraltro regolato per l'incolumità dei contendenti), possono provocare senz'altro la morte di qualcuno. 

Questo perché fare del male e casualmente uccidere su un ring non è omicidio, fondamentalmente. Se dovesse succedere una cosa del genere, è chiaro che sarebbe facile per l'omicida dire che non fosse sua intenzione, cosa che, di fatto, a meno di una personalità malata, è anche vera! 

Ora, ci immaginiamo che evoluzione avrebbero mai potuto avere le discipline tradizionali, dal Muay thai, alla Boxe birmana, al Wu-Shu, al Ju Jutsu, alla Capoeira, alla Boxe del Maestro Carmine, se avessero dovuto preoccuparsi dei risvolti legali della loro abilità di autodifesa? Giustamente mi sono stati citati casi in cui in sede di giudizio la persona che si è difesa è stata condannata a una pena per eccesso di legittima difesa.

 Io che comunque non pratico per autodifesa devo rispondere sul senso dello studio del Wu-Shu, in particolare del Wing Chun, in una tale ottica, tenendo presente l'art. 52. Questo perché agli occhi del grande pubblico il praticante di Wing Chun o di queste barbare e demodé arti tradizionali combatte con tecniche sporche, e sembra  he dovrebbe giustificarsi per questo, come se un normale diretto pugilistico o il pugno di mister nessuno non potesse avere conseguenze diciamo disastrose. 

Questo, a sua volta, perché la ricerca delle arti tradizionali va nel senso della massima efficienza con il minimo sforzo (sarebbe anche il caso dei moderni sistemi di difesa personale) e. piuttosto che accrescere la potenza di un'arma secondaria come il pugno, per renderla in grado di provocare enormi danni, preferisce la ricerca di un metodo di movimento che intrinsecamente, quasi indipendentemente dalla forza, è di per sé danneggiante, al di là della forza impiegata. 

Proprio per salvarmi da un'aggressione (evitando di conseguenza il problema dell'art. 52) fuggo e considero fuggire la prima scelta. Ma se combatto, vuol dire che non ho scelta, e devo dimenticarmi di quell'articolo. Chiaramente devo saper distinguere dalla minaccia intimidatoria e la rissetta, da un combattimento improvviso e mortale. Ma questa è una abilità soggettiva di fiutare il pericolo...

Certo che mentre combatto non posso far limitare la mia tecnica da un art. 52. Il mio aggressore, non il bulletto ovviamente, non userà tecniche "pulite". Se ci si allenasse solo in quell'ottica, si confonderebbe il confronto di strada con quello sportivo, duro ma regolamentato. Naturalmente, proprio data la pericolosità intrinseca delle tecniche antiche, è ovviamente più difficile allenarsi in sicurezza. Ma se si evita di riflettere su questo tema, allora tanto vale fare sport. Jigoro Kano risolse facendo fare un randori non troppo pericoloso, che permettesse lo sviluppo di determinate attitudini, riservando le pericolose tecniche antiche (che si sarebbero giovate della attitudini sviluppate in randori) allo studio tramite kata

In seguito il randori, con l'accresciuta importanza delle competizioni, divenne fine del judo, piuttosto che mezzo di studio per la comprensione dello stesso. Attenzione, voglio far notare che certe metodiche sportive possono comunque aiutare il marzialista e viceversa. Siamo costretti ad osservare la confusione che attanaglia il Wing Chun (arte tradizionale senza aspetto competitivo, più simile all'idea di difesa personale), ma che non regna nel (tradizionale?) Tae Kwon Do (arte marziale il cui studio e il cui sviluppo ricalca l'applicabilità in un regolamento innanzitutto), perché il Tae Kwon Do (ma anche il Judo, il Karate, il Muay thai) ha già fatto la sua scelta sportiva chiara e definita, mentre non è facilmente definibile un'arte che voglia votarsi al "tutto quello che potrebbe essere (qualcuno la chiama realtà)". 

La realtà è che anche un bambino può ammazzarti con un coltello in mano (esagero per farmi capire), non conta quanto forte tu possa tirare un calcio. Non vale a nulla pensare in termini di proporzioni di forze o di proporzionalità, perché una volta che il bambino tira fuori il coltello lui è più forte di te, e tu magari sei vicino e la coltellata te la becchi comunque. 

Il problema nasce dal fatto che, come il mio interlocutore ha detto, come ovvio in tempo di pace, le discipline si sono sportivizzate o, consentitemi il neologismo cacofonico, palestrizzate. L'amico ha aggiunto: "Vedremo cosa diventerà il krav maga quando finirà la guerra tra israeliani e palestinesi... Scommettiamo che inventeranno un krav sportivo da ring? Anzi no, esiste già il cardio krav...". Avrei dovuto rispondergli che gli israeliani sono in guerra e noi non possiamo fare krav maga, perché il contesto sociale è diverso e da noi il krav maga nel momento in cui lo apprendiamo è già probabilmente palestrizzato". 

Da quando si sono orientate al Budo, le discipline sono diventate o sport o religioni/filosofie. Ma se cerchiamo nel loro DNA, troviamo sempre qualcosa di importante ovvero l'essenziale. Nel momento in cui queste discipline hanno (per esempio) cercato l'immobilizzazione piuttosto che la vittoria per annientamento dell'avversario hanno cominciato a snaturarsi, almeno in parte. 

Mentre Ueshiba (un santone o un marzialista?) quando immobilizzava sapeva perfettamente qual era lo scopo ed edulcorava la tecnica in una immobilizzazione (in pratica lui non fece altro che, come Kano, permettere di allenare con una certa intensità delle tecniche cruente, togliendo uno o due elementi per permettere un loro allenamento al massimo, un po' con l'idea dello sparring moderno, ma pensando sempre in termini di tecnica assoluta...) o in una proiezione, i successori hanno pensato a tecniche fine a se stesse, dove l'idea della sopravvivenza si perdeva, mancando completamente il senso voluto da Ueshiba. 

In teoria la proiezione o l'immobilizzazione non erano solo proiezioni o immobilizzazioni. Erano il modo per sviluppare senza eccessivi rischi alcuni passaggi fondamentali per l'atemi jutsu o, in termini moderni, lo striking, un po' come le sezioni di chi sao che sono un concatenamento in cui entrambi vogliono colpirsi, ma si annullano vicendevolmente senza però arrestare il flusso dinamico. Anche il judo sportivo, quando si è orientato solo sulle proiezioni e immobilizzazioni, dimenticando che queste erano un modo per allenare altro in sicurezza, ha perso quello spirito. 

Si è passati dall'idea di bloccare a terra in modo da poter colpire l'avversario sotto di noi (modello preda e predatore), alla sottomissione in termini di tempo, come si fa in dimostrazioni di forza tra animali della stessa specie che non vogliono uccidersi, ma che vogliono riconosciuto uno status (di campione?), il diritto ad accoppiarsi o il possesso di un territorio, sulla base di pulsioni animali, quindi soggetti alle naturali regole animali, quali siamo. 

Io, però, non mi occupo di difesa personale in senso moderno. Io pratico arti tradizionali per recuperare una scienza del corpo che si è perduta. Questa scienza però può essere usata a quei fini. L'obbiettivo è studiare la "massima efficienza con il minimo sforzo", attraverso il miglior uso del corpo e della mente. Il mio contributo al discorso autodifesa è però, e lo ripeto, il seguente: "quest'art. 52 può essere paralizzante". 

Quel che voglio dire è che si può sviluppare una tecnica "semplice" e secondaria, fino a renderla efficacissima e eventualmente mortale, o almeno debilitante e molto dolorosa. Ma allora perché non studiare tecniche intrinsecamente debilitanti solo per soddisfare l'art. 52? E' un paradosso interessante... Perché un judoka o un karateka o un praticante di Wing Chun possono trovarsi a fare qualcosa che non sia valido in termini di autodifesa? Cosa distingue l'autodifesa dalle versioni sbiadite o anche efficaci sportivamente delle arti tradizionali? 

Prendiamo il judoka. Se due judoka si incontrano, ragionano con l'idea di trovarsi davanti ad un esperto in un settore del combattimento, quello della lotta. Nonostante ci siano i momenti in cui possono colpirsi, per motivi di regolamento ignorano questa possibilità e pensano di avere tutto il tempo per settare e quindi forzare la proiezione, con un avversario che non gli regalerà niente per farsi proiettare. 

Prendiamo il pugile (o il karateka sportivo, a contatto pieno o meno), il quale in un arco di tempo che sa di avere per preparare il suo gancio sinistro o il cross destro, fa tutta una serie di azioni per arrivarci, ma ogni azione di per sé spesso non è efficace, se non in funzione del colpo che sta settando, ma che potrebbe non arrivare mai a segno. 

Prendiamo il praticante di Wing Chun in alcuni dei suoi attacchi standard, tipo Pak Sao - Yeung Kyun o Lap Sao - Yam Kyun, dove si parte con l'idea che l'altro abbia una guardia tale per cui puoi fare questi giochetti, e vediamo che ancora una volta lap e pak sono settaggi che valgono in una realtà standardizzata di allenamento e non vengono usati secondo necessità, ma in ossequio a un tentativo di preconfezionare un combattimento da strada (almeno nelle interpretazioni moderne). 

Io, ripeto per l'ennesima volta, pur non interessandomi di autodifesa, come civile che pratica un'arte tradizionale, penso che ogni azione deve essere efficace qui ed ora e non buona solo per settare qualcos'altro, con la tipica mentalità del "ho tutto il tempo che voglio", poiché in queste arti è buona solo la prima! E allora, poiché anche il judo e la boxe sono state per un periodo arti tradizionali, le tecniche restano le stesse (magari la sportivizzazione ha ridotto l'arsenale al socialmente consentito), ma non richiedono un settaggio, perché vengono usate solo secondo opportunità e buchi offerti dall'avversario, altrimenti le devi forzare e usare una forza che potresti non avere in relazione a chi ti sta di fronte. 

 La differenza quindi è in primis la mentalità e da questa poi ricavi il materiale dell'allenamento. Quando si dice che bisogna togliere per arrivare all'essenza (questo è il ragionamento di chi cerca l'autodifesa essenziale, ma anche del tradizionalista), secondo me ci si riferisce alla tecnica, ma molto di più alla mentalità che la genera, alle motivazioni psicologiche di un gesto. 

 Dunque nell'arte tradizionale del Judo, il momento del contatto diventa quello del colpo o della proiezione, senza veramente lottare. Nel pugilato (o nel karate sportivo) diventa colpire, senza predisporsi mentalmente a uno scambio (il vero "uccidi con un colpo solo", che non vuol dire riuscirci, ma significa solo che non si perde tempo a fare manovre che esulano da questo scopo). Nel wing chun non si fa pak sau per poi tirare il pugno. 

In definitiva, nell'arte tradizionale come nella difesa personale moderna, non esiste dunque il "fai questo per poi...", perché non c'è il poi. Non c'è seconda chance. Il qui ed ora, la bellezza di questa pratica. E la ricerca di una forma di saggezza che ci permetta di affrontare l'istante. Al meglio delle nostre possibilità e senza vincoli che non siano la nostra vera natura. In altre parole, lo spirito del Chan.

Pasquale Mazzotta

domenica 25 novembre 2012

L’espressione dell’energia

Ospito con il consueto piacere l'ultimo articolo dell'amico Fabio Rossetti, che ringrazio, come sempre, per gli spunti che ci regala per riflettere. Buona lettura!

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L’arte marziale nelle sue forme insegna a veicolare energia, vale a dire muoverla nel senso yin e yang (ricevere, far circolare, trasmettere). La parola “energia” riguarda, nella dicitura specifica cinese, le manifestazioni dello jing, del qi e dello shen e dei loro poteri, cioè le caratteristiche energetiche di questi “campi”: il Li, forza, il Qi, energia, lo Yi, intenzione. “Energia”, quindi, in vari sensi e sfumature; si usa la parola “manifestazioni”,” espressioni”, poiché i cinesi parlano di un’unica energia che si manifesta in vari modi in base a precise caratteristiche e funzioni che assume. 

 Per essere efficaci in combattimento occorre praticare per essere in grado di esprimere forza, energia ed intenzione nello stesso tempo. Per esempio: sul piano prettamente fisico, quindi del Li, chi sa trasmettere energia non pensa alla durezza della superficie da colpire, quanto a trasferire energia cinetica all’interno, che, propagandosi, genera una vibrazione distruttiva. L’acqua che forma il nostro corpo espande e trasmette questa vibrazione, come un'onda. 

 L’energia quando penetra è micidiale, da ciò scaturisce il principio del non farsi colpire, diventando dei bersagli difficili da centrare oppure, se colpiti, si impara a scaricarla velocemente a terra o nell’aria attraverso varie modalità, oppure si deflette, disperdendola. L’effetto squilibrante (distruttivo) si realizza quando si raggiunge con la pratica una capacità di trasferire energia cinetica in maniera sufficiente. 

Una persona che pratica arti marziali deve avere comunque una struttura solida, insieme alla sua fluidità, che gli viene dallo scorrere dell’energia nei vari sensi sopra riportati, dalle sue abilità tecniche in chiave operativa, dalla sua comprensione sintetica, pratica ed intuitiva dei principi marziali: l’unione dello yin con lo yang come nel simbolo del Tao

Molte risposte a ciò si trovano nei principi, basta studiarli per bene e praticarli. Ad esempio quando spesso, sia sportivamente che per strada, due si “gonfiano come zampogne”, in realtà non si fanno danni rilevanti, tranne qualche raro caso fortuito, proprio perché si è incapaci di trasmettere energia nel vero senso della parola. Nei movimenti si disperde e si blocca energia a quantità abnormi, arrivando i colpi ad energie minime, anche perché inconsciamente i colpi sono frenati. 

Allora botte per svariato tempo, tagli, sbucciature, un dente scheggiato, qualche doloretto, ma quando uno solo dei colpi sferrati assume per un attimo la caratteristica reale di un vero colpo, sia come forza, sia come energia, sia come intenzione, l’effetto è devastante, ovunque si sia colpiti. Nel combattimento non interessa rompere o dimostrare, quanto evitare oppure neutralizzare, in tutti i suoi significati. Quindi ci serve equilibrio nelle forme e nei metodi di pratica, studiati e raffinati in modo tale che con un esercizio si praticano contemporaneamente vari aspetti, in modo chiaramente progressivo, facendo sì che la pratica abbia un senso. 

 Fabio Rossetti

sabato 10 novembre 2012

Il Drago nella Tradizione Cinese

I miei giovanissimi Allievi mi hanno chiesto il motivo per cui il nostro saluto complesso parta da sinistra e vada verso destra. A questo punto traggo ispirazione per spiegare a tutti la prima parte del rito. Sì, avete letto bene, rito. Nella Tradizione cinese, così come in tutto l'Estremo Oriente, l'atto del salutare è ricco di contenuti, di gestualità e, soprattutto, di riferimenti allegorici.

Partire da sinistra vien motivato col fatto che si saluta il Drago Verde, ma andiamo per gradi. Il Drago (Long; Luhng in Cantonese) - 龍 [lóng] -  è l'unico animale mitologico dell'oroscopo cinese. Si tratta di uno dei simboli più venerati e presenti nel sostrato culturale cinese, ma le sue origini restano tutt'ora avvolte nel mistero. Si tratta di una creatura mitologica molto differente dal tipo di drago dell'immaginario occidentale.

La sua comparsa in Cina è molto precoce, se stiamo alle attestazioni presenti nel villaggio neolitico di Xinglongwa (Mongolia Interna), dove fu rinvenuto un mosaico di “drago dalla testa di maiale” (猪首龙 [zhūshǒulóng]), risalente a circa 8.000 anni fa. Si tratta della più antica immagine di drago cinese finora scoperta.   

Il drago è generalmente un simbolo benevolo di potere, saggezza, forza vitale fertilità legato al clima, all'acqua e ancora più specificamente alla pioggia, considerato propriamente colui il quale la porta; numerose sono infatti le immagini di draghi tra le nuvole. Insieme a Tartaruga, Fenice e Unicorno rappresenta uno dei quattro animali benevoli, con poteri magici che gli permettono di mimetizzarsi, mutar forma e dimensione, da piccolo come un baco di seta può crescere illimitatamente; vola nei cieli, vive nelle acque profonde e nelle viscere della Terra.   

Il Drago Verde è uno dei quattro animali araldici del Feng Shui (风水 [fēngshuǐ]) e protegge la direzione Est. Non è un caso, infatti, che il saluto parta proprio dalla parte sinistra. Nell'antica astronomia cinese, una delle cinque principali costellazioni celesti era chiamata proprio del Drago Verde di Primavera. La sua comparsa segnava l'inizio delle piogge rigeneratrici di primavera.

Il Drago orientale (comune in Cina, Giappone e Corea) è spesso descritto in questo modo: ha il corpo di serpente, le scaglie e la coda di pesce, le corna di cervo, il muso di un Quilin (in giapponese Kirin, una creatura mitologica orientale, identificata secondo alcuni con la giraffa e secondo altri con l'unicorno) con quattro lunghi baffi, due coppie di artigli d'aquila o di falco, zampe di tigre e orecchie di bue,  occhi come quelli di un demone. I draghi cinesi hanno cinque dita per ogni piede (a differenza dei draghi coreani che ne hanno quattro e di quelli giapponesi che ne hanno solo tre). Una leggenda narra che i draghi (originari della Cina), ogni volta che si allontanavano dalla patria perdevano un dito e, quindi, alla fine decisero di fermarsi in Giappone, altrimenti sarebbero rimasti senza dita.

Il colore stabilisce la sua anzianità: il colore del drago più giovane, cioè che ha meno di 100 anni, è il nero ed è un drago che porta solo gli ordini dei suoi superiori. Il successivo è blu e svolge il compito di messaggero degli dei, insieme alla tartaruga, la fenice e la tigre bianca. Il drago verde ha più di 100 anni e appare come buon auspicio, porta vento e pioggia. Poi ci sono i draghi rossi, marroni e viola. Dopo 700 anni il drago diventa bianco e viene considerato un dio. A 1000 anni diventa d'oro e chi indossa un tatuaggio con il drago d'oro è una persona che si suppone abbia il suo potere e raggiunga l'immortalità. Il Drago per antonomasia, nella Cina antica, era considerato l'Imperatore. A lui era riservato il “trono del drago” e solo lui poteva vestire abiti decorati con nove draghi, solo otto visibili all'esterno, mentre uno era ricamato nella parte interna, ovviamente quello dorato.

Il drago riveste una simbologia supplementare quando si eleva e fenice che plana. Questa è una Tradizione usata per definire un letterato di grande sapere. La coppia drago/fenice indica anche prosperità, nell'espressione "splendore di drago e bellezza di fenice". Le figure simboliche di un ragazzo che cavalca un drago e di una ragazza che cavalca una fenice riportano alla leggenda della coppia perfetta. 

martedì 6 novembre 2012

I concetti di Tsin Si (纏撕)

Studiare la parte armata del nostro sistema mi ha spesso aiutato a comprendere meglio quella disarmata. Sicuramente il combattimento armato in sé e per sé è molto formativo e l'utilizzo delle nostre armi tradizionali è funzionale allo scontro con spade, coltelli, bastoni, etc. Molto probabilmente è proprio grazie alle armi che oggi abbiamo un sistema di combattimento così efficace, eppure è altrettanto chiaro che se non ci si confronta armi in pugno non si capisce quanto queste siano funzionali al lavoro disarmato.

In merito all'utilizzo della nostra arma più lunga, il bastone, abbiamo i cosiddetti Luk Dim Bun - 六点半 [liùdiǎnbàn] -, i Sei Punti e Mezzo, cioè un insieme di principi e concetti cardine che regolano l'utilizzo dell'arma, il suo senso profondo. Nel sistema Leung Ting questi coincidono con semplici sette tecniche, mentre nella mia Scuola si utilizzano i principi ed i concetti provenienti dalla Famiglia Tang, cui siamo grati per aver diffuso le conoscenze relative a questo fantastico strumento.

Dei concetti presenti, vorrei soffermarmi su due di quelli che ritengo particolarmente formativi dal punto di vista marziale a mani nude, Tsin Si (纏撕), cioè legare e strappare. 纏 [chán] significa propriamente legare e viene formato da 糸 [sī], la seta, e dall'uso fonetico di 廛 [chán]. 撕 [sī] significa strappare e nasce da 手 [shǒu] e dall'utilizzo fonetico di 斯 [sī].

Ora, letti così, potrebbero pure non aiutare il lettore a capire di cosa si stia parlando. Eppure questa coppia di concetti è un faro nelle fasi più confuse del combattimento, sia dal punto di vista della parte percussiva, sia da quella lottatoria. Nella parte percussiva è utile per far capire all'Allievo che non esiste alcun attacco che sia propriamente dritto, ma tutti i movimenti sono circolari. Non solo, dopo un cerchio c'è sempre uno strappo, cioè un impulso d'energia che rompa l'eventuale azione avversaria.

Dal punto di vista lottatorio, invece, lo ritroviamo in tutte le tecniche, soprattutto nella fase del Chi Sau, quando lavoriamo proprio per legare le articolazioni dell'avversario, prima di strapparle...questo costituisce un punto nodale e qualitativo che contraddistingue gli esercizi che si praticano nella mia Scuola, perché sono tutti tesi a bloccare e ingaggiare i muscoli dell'altro, per poterne utilizzare la forza e rompere eventuali equilibri statici.

Tra l'altro Tsin (纏) è il mezzo punto, che sta vicino a tutti gli altri, formando ben il 50% dell'intero sistema concettuale, essendo il movimento ellittico che guida l'azione, tanto per farvi capire quale sia la portata di questi concetti.

L'importanza del 撕 [sī] è anche relativa all'intenzione che mettiamo nell'utilizzo dell'arma così come quella che mettiamo nell'utilizzo delle mani nude. L'elemento più importante del Luk Dim Bun è il pollice della mano anteriore. Il pollice si allinea con il palo e questo dà la direzione allo stesso, in modo similare a quello che fanno le dita nel combattimento a mani nude. A parte il fatto esclusivamente tecnico, per cui l'impugnatura permetterà di evitare un danno grave alla mano in caso di un attacco andato a segno da parte dell'avversario, bisogna ricordare che uno degli obbiettivi di questo benedetto Si è proprio quello di rompere le dita, nel lavoro armato, o "bucare" l'avversario, nel confronto disarmato.

Una cosa molto interessante riguarda il concetto di legare e strappare, che ritroviamo sotto altre spoglie all'interno dell'Hek Ki Boen! Durante il lavoro del Niam Jiu, andiamo ad avvolgere il compagno di lavoro, prima di rilasciare la nostra energia, andando a percorrere la stessa strada del Wing Chun cantonese...è fantastico ritrovare gli stessi concetti in Famiglie così apparentemente diverse!

sabato 3 novembre 2012

丁步 - Ding Bou

Alcuni praticanti di Wing Chun tengono molto a differenziarsi dal resto della più grande comunità del Kung Fu o del Wu Shu, guardando con un ghigno alquanto sciocco posizioni, movimenti e tecniche che non vengono capiti a prima vista. Una di queste posizioni è la 丁步 - Ding Bou -, spesso poco considerata o, peggio, vista solo come fase di passaggio. 

Ad occhi inesperti la posizione potrebbe sembrare estranea al nostro bagaglio tecnico, eppure la ritroviamo ad ogni piè sospinto durante il lavoro di gambe, soprattutto quando di fronte a noi c'è un buon combattente che utilizza i calci in modo particolare. Ogni volta che ci muoviamo copriamo sia l'avanzata che la ritirata e, in entrambe i casi, c'è un passaggio abbastanza chiaro in Ding Bou, che è necessaria per difendere in modo molto serio la linea verticale mediana, all'altezza dell'area genitale e via via a scendere, fino ai piedi.

丁 [dīng], lo sappiamo, rappresenta il chiodo e l'idea stessa di "inchiodare". Cosa fa, quindi, il movimento di gambe (步 [bù])? Inchioda l'eventuale attacco avversario al centro, proprio di fronte all'area genitale, difendendo nel modo a noi più congeniale, attaccando! La cosa importante è imparare a trasferire energia all'altro senza particolare dispendio energetico: qui sta tutto il senso del Faat Ginhg, senza il quale si rischia solo di eseguire una posizione statica, prima di senso.

Tra l'altro questo tipo di movimento sta alla base di parecchi tipi di passi, perché viene allenato in modo tale da permettere al praticante di prendere angoli, difendersi dai calci e colpire in tutta sicurezza. Nel lineage Leung Ting, per esempio, si trova all'interno della forma Cham Kiu, dove viene allenato per permettere al praticante di calciare indietro in tutta sicurezza, prima di cambiare fronte a 180°.

mercoledì 31 ottobre 2012

Cosa dicono di noi?

Avete letto cosa ha scritto su di noi l'amico Mauro Caroppo, Suheng dell'Hek Ki Boen di Torino? Vi metto un paio di righe, prima di invitarvi a visitare il suo nuovo blog ed invitarvi a contattarlo, se volete avvicinarvi a questo bellissimo e contundente sistema di combattimento!

Report viaggio studio a Roma
Bene... Si e' concluso l'ultimo giorno di allenamento a Roma, da martedi' ad oggi (venerdi') sono stato ospite di Sifu Riccardo Di Vito. Questo incontro, nato dalla passione che ci accomuna per il Wing Chun ed in particolare per l'Hek Ki Boen, mi ha proiettato in una nuova realta' che credevo esistesse solo nei film o nei romanzi!!! Parlo dell'idea della Famiglia nel Kung Fu. In questi giorni ho avuto modo di allenarmi nel corso di Sifu Riccardo e sono stato colpito dai suoi ragazzi che, a prescindere dal proprio livello di lavoro, tutti si allenavamo duramente e con caparbieta' facendo "schioccare" gambe e braccia; il tutto accadeva in un'atmosfera di sana competizione aiutandosi a vicenda come in una vera famiglia. Sifu Riccardo non si e' risparmiato un solo minuto della sua giornata...continua qui

martedì 9 ottobre 2012

Virtù e frasi guerriere

Accolgo sul blog le nuove riflessioni dell'amico Fabio Rossetti. Buona lettura!

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 Nel cammino marziale prima o poi ognuno esprime delle considerazioni personali sulla sua pratica, frutto dell’esperienza personale e delle conoscenze acquisite in vari modi. Questa sintesi viene espressa con varie sfumature, di cui le più sintetiche e ricche di significato sono racchiuse in quello che vengono detti i principi. Sono parole che vanno oltre un semplice significato letterale, quanto sono atte a stimolare il praticante verso visioni diverse, sono spunti di pratica, sono spunti di approfondimernto, di ricerca, di riflessione, di meditazione.

 Le citazioni sottostanti all’articolo provengono, come nella lettura dei nomi di coloro ai quali sono attribuiti, a persone diverse, per epoche storiche , culture, geografia. Va da sé che ne esistono molte altre, della stessa ricchezza e preziosità, nella loro semplicità. Le volevo condividere poiché l’apprendimento di uno stile marziale non é solo calci e pugni, come si suol dire, nonché come nei vari articoli precedenti del blog ove questo è stato trattato bene ed ampiamente: essendo una Via, questi principi ne sono l’aspetto non manifesto ma che ne danno la direzione. E credo che chiunque abbia un’esperienza di almeno qualche anno, possa fare una comparazione tra quello che imparava e che ha imparato, il modo in cui è stato fatto, e vedere se ad esempio questi principi sottostanti vi erano.

 Per esempio, se la spada ed il bene devono andare mano della mano, perché in molti luoghi di allenamento si aumenta l’aggressività e di conseguenza si da la mentalità, errata, che poi in strada si va a fare a botte? Con il risultato di soprusi verso ovviamente i deboli oppure qualcuno ci rimette le penne perché ha travato la persona sbagliata al momento giusto? Il messaggio è quello di essere attenti e svegli, non ossessionati o appisolati, per cercare e trovare qualità nel mondo marziale, che esiste seppur poca, ma in aumento. 

 Rinnovando che chi pratica non va a scaricarsi, quanto ad imparare e disimparare, quanto a trasformare, quanto ad entrare in un gruppo che porta avanti un bel lavoro, e la pratica giusta, porta con sé spontaneamente frutti e realizzazioni. L’impegno è di chi istruisce e di chi è allievo, senza l’unione dei due prima o poi ci saranno rotture spontanee. 

 Nel luogo e con le persone ove vi è la pratica, non si entra per fare il bello di turno, per dimostrare la propria bravura, per esprimere frustrazioni ed aspetti egoici, rendendosi chiaramente ridicoli: tanto state tranquilli che bisogna morire senza neanche sapere quando e come. Un guerriero, per chi chiaramente ha letto, studiato e praticato, è un essere serio ma sorridente, è equilibrato, ama la vita e proteggerla, ama l’arte così come mangiare e bere, poiché si sforza di penetrare i veri aspetti dell’esistenza e del vivere. E non è un coatto, uno che si mostra per farsi vedere, uno che si considera uno Spartan tipo il videogioco Halo, uno che poiché ha il “potere della distruzione” ha il mandato divino di fare quello che gli pare compreso violare la libertà altrui, calpestare la dignità, creare separazione, uno che dove va sembra che è tutto lui, uno che per andare a letto con qualcuna deve dire che è un “guerriero” così la donna pregherà i cieli perché è scesa la ciambella col buco dal cielo, uno che usa detti e frasi provenienti dalla Tradizione Marziale per i suoi bassi scopi, tipo economico di ladrocinio truffaldino ben conosciuto.

 Invito i veri praticanti a migliorare, a ridare impulso e vita a qualunque stile marziale, suggerendo di emanare e trasmettere messaggi positivi, anche perché, visti i tempi, viste le persone che si avvicinano con dei pre concetti sbagliati, frutto di una cultura contaminata dal fast-food anche nell’allenamento, del tutto e subito, delle illusioni che creano scollamenti dalla realtà, di un tessuto sociale ove vi è un civismo quasi dimenticato con una logica di ignoranza, di abbrutimento, di cinismo, di egoismo e di violenza, occorre mostrare l’aspetto vero e bello di quello che si fa. Dicasi equilibrio per generare armonia. 

 Ad esempio proporre e incentivare la lettura e lo studio, senza rinunciare a niente, oppure andarsi a vedere qualche mostra o qualche museo, poi si va a bere, in discoteca, oppure dove si vuole. E’ strano e curioso vedere un luogo come l’Italia, dove ci sono moltissimi praticanti di arti marziali, dove tutti sono questi Guerrieri d'elite, che non pensano nient’altro che a farsi i propri piccoli egoistici affari, che non rispondono a messaggi di unione ed interscambio, e che di Marziale e di Guerriero hanno, chiaramente, solo un nome di comodo. 
Fabio Rossetti

 “Un uomo davvero coraggioso è sempre sereno; non viene mai colto di sorpresa; nulla turba l’equanimità del suo spirito. Nel fervore della battaglia mantiene la calma; nel mezzo delle catastrofi conserva una mente lucida. I terremoti non lo scuotono, ride delle tempeste”. 
 Inazo Nitobe 

 “La spada e il bene devono andare mano nella mano”. 
 Masaami Hatsumi 

 "Un guerriero è un uomo d’azione, guidato dalla ragione e motivato dall'amore".
 Jack Hoban 

  “Sono un guerriero, non un assassino”. 
 Worf, figlio di Mogh 

 “Quando ti trovi di fronte a disgrazie e difficoltà, devi persistere con coraggio e allegria”.
 Hakagure 

 “Chi non prova, non fallisce mai”. 
 Charles Hackney 

 “La tigre cammina lentamente attraverso la giungla, con attenzione. Ma è rilassata. Dalla punta del naso alla punta della coda non c’è un solo fremito. I suoi movimenti assomigliano a onde;nuota nella giungla. Dunque la sua circospezione è accompagnata da rilassatezza e sicurezza. E’ questa l’analogia con la sicurezza del guerriero”.
 Chogyam Trungpa 

 “Non perdere altro tempo a discutere su come debba essere un uomo buono, siilo”.
  Marco Aurelio

lunedì 8 ottobre 2012

Programma per bambini (3-9): sport e disciplina

Il mio programma d'insegnamento dedicato ai bambini della fascia d'età compresa tra i 3 e gli 8 anni è incentrato su due colonne portanti, sport e disciplina. I piccoli praticanti imparano a scoprire il proprio corpo, a conoscerne le capacità e, soprattutto, a controllarne i movimenti. 

Il Kung Fu per bambini permette di apprendere le basi di un'Arte Marziale Tradizionale, sviluppando notevolmente il senso della disciplina ed il controllo dell'aggressività, stimolando le capacità relazionali tra i giovanissimi.

Attraverso il gioco e le attività motorie proposte, ogni Allievo svilupperà consapevolezza e padronanza del proprio corpo, collaborando con i compagni di corso, facendo in modo che si confrontino gli uni con gli altri, facendo venire meno quella rivalità tipica di questa fascia d'età.

Gli esercizi proposti vertono sulla coordinazione, sul potenziamento e sulle strategie per la difesa personale. Si impara a correre, rotolarsi e a cadere correttamente, attraverso percorsi didattici che prevedono dei circuiti di addestramento, fatti di "stazioni", in ognuna delle quali l'Allievo impara ad eseguire un preciso movimento.

Tutti gli esercizi servono anche a stimolare l'autocontrollo e sono molto importanti nell'apprendimento dell'autodifesa, attraverso dei programmi specifici dedicati alla risoluzione di situazioni pericolose. I bambini imparano a riconoscere l'eventuale situazione di pericolo prima che sia troppo tardi e a mantenere la lucidità per poter agire con lucidità.

L'acquisizione della sicurezza è importante per dare modo al bambino di non bloccarsi davanti ad una situazione difficile, come per esempio un adulto che li infastidisce, il bullo che lo vuole picchiare ed altre situazioni tipiche.  

domenica 7 ottobre 2012

Che cos'è il Taoismo?

Parecchi amici mi hanno chiesto di scrivere due righe sul Taoismo, almeno per capire quali siano i canoni base e cosa sia, almeno ad un primo livello conoscitivo. Tanto per capire subito di che si parla, il Taoismo è una forma tradizionale di pensiero e di religione, basata su alcuni concetti centrali, culti e pratiche, ma mai oggetto di sistematizzazione nel suo complesso. 

È una religione sincretica, ma al tempo stesso indipendente, nel senso che, mentre integra molti elementi di altre tradizioni, vive come distinzione dalle stesse. Queste caratteristiche di base hanno diverse formulazioni di nozioni dottrinali e una grande varietà di pratiche che vanno dalla coltivazione di sé ai rituali comuni. 

Il testo fondamentale è il Daodejing (forse traducibile come Scrittura della Via e della sua Virtù), un breve lavoro costituito da aforismi attribuiti a Laozi ("Vecchio Maestro"). Anche se alcuni studiosi hanno suggerito che altre fonti potrebbero essere datate precedentemente, tutti i movimenti e lignaggi all'interno del Taoismo considerano questo come la Scrittura fondante di tutta la tradizione, anche se possono venerare i loro testi e i loro propri fondatori. 

Un altro lavoro precoce, Zhuangzi (Libro del Maestro Zhuang Zhou), ha fornito al Taoismo una parte dottrinale, le nozioni ed il vocabolario tecnico. Nonostante le differenze di enfasi, i due testi presentano la stessa visione del Dao e la sua relazione con il mondo. Dao ha due significati principali: metodo o modo. I testi taoisti dei primordi utilizzano questa parola per indicare l'Assoluto. 

Per il Daodejing, il Tao non ha un nome ed è al di là di qualsiasi descrizione o definizione, la parola stessa dao è usata solo perché uno è costretto per riferirsi all'idea principale. Il Dao è inconoscibile, non ha forma ed è costante (cioè non subisce modifiche), è invisibile ed impercettibile. I due principi di non-essere (wu) ed essere (si) sono contenuti al suo interno. 

Eppure il Dao, nonostante il suo essere indistinto e vago (huanghu), contiene un'essenza (jing), che è il seme del mondo della molteplicità. Sotto questo secondo aspetto, che può essere distinto da quello precedente solo dal punto di vista del dominio della relatività, il Dao è il principio del mondo e la sua "madre". La persona che torna al Dao viene richiamato nel Daodejing il shengren, termine che in un contesto taoista può essere tradotto come santo per distinguerlo dal confuciano saggio

Come il più realizzato essere umano raggiunge la liberazione durante la vita, il santo taoista ha trasceso i limiti della individualità e della forma, continua a rimanere nel mondo della molteplicità fino a quando non ha completamente adempiuto la sua funzione in esso, ma da un punto assoluto di vista, che è quello in cui vive costantemente, la sua identità è già nulla, perché si identifica con il principio assoluto. 

Nel mondo egli pratica l'insegnamento senza parole e rende possibile il funzionamento delle diecimila cose, ma non dà loro avvio. In misura significativa la storia del Taoismo può essere vista come una affermazione continua dei principi enunciati nei testi fondatori. In una certa misura altrettanto significativa il suo sviluppo è stato segnato dall'adattamento a varie circostanze storiche, la risposta ai bisogni e alle esigenze dei diversi gruppi sociali e l'integrazione di nozioni, credenze, culti e pratiche derivate da altre correnti di pensiero e di religione. 

All'inizio di questo processo c'è la deificazione di Laozi, rappresentato non solo come il saggio che espone le dottrine metafisiche del Daodejing, ma anche come un messia che incarna il Tao e riappare in tempi diversi sia come consigliere saggio di politica governanti, sia come l'ispiratore dei capi religiosi. 

Una delle correnti più importanti del Taoismo è quella detta "Via dei Maestri Celesti" (Tianshi dao), il lignaggio sacerdotale principale, che continua ad esistere e proliferare. La diaspora delle comunità dei Maestri Celesti dopo la fine degli Han (inizi del III secolo) ha comportato l'espansione della nuova religione in altre parti della Cina.

giovedì 4 ottobre 2012

Abbonamento GRATIS!!!

La palestra New Freestyle di Roma ha deciso di regalare ben sei abbonamenti annuali basic!!! Ottenerli non sarà semplice, ma ce la potete fare!

Dal 8 ottobre al 30 novembre 2012 dovete inviare la vostra fotografia all'indirizzo email info@newfreestyleroma.it. Questa verrà pubblicata sulla pagina Facebook della palestra, nella sezione foto. 

Le sei foto che riceveranno il maggior numero di "Mi piace" avranno l'abbonamento annuale basic in omaggio!!! I vincitori pagheranno solo i 40€ di iscrizione!

Ricordate di cliccare anche "Mi piace" sulla pagina altrimenti il voto non sarà valido. 

Adesso non resta che sbizzarrirvi a farvi fotografare dentro e fuori la palestra. Le foto vincitrici saranno usate per il calendario 2013 della New Freestyle, che verrà venduto agli iscritti ed il cui guadagno sarà devoluto in beneficenza. 

Cosa significa questo per i praticanti di Wing Chun? Che pagheranno solo 10€ al mese per il corso, ma avranno un abbonamento GRATIS per un anno, con la possibilità di usufruire dei corsi di fitness, della sala pesi e di tutti i confort della palestra! Con meno di 150 euro, in sostanza, potrete allenarvi per un anno interno nella vostra Arte Marziale preferita!

Datevi da fare, i sei regali vi aspettano!!!

martedì 2 ottobre 2012

Kung Fu Kids

Non è mai troppo presto
per cominciare, no?!


Il corso di Kung Fu per bambini e ragazzi dai 3 ai 17 anni sta riscuotendo parecchio successo e di questo non posso che esserne fiero. La New Freestyle di Roma (via Gasperina, 170) sta diventando un vero e proprio punto di ritrovo di praticanti decennali, ma anche approdo di nuove leve, che stanno muovendo i primi passi nel fantastico mondo delle Arti Marziali Tradizionali Cinesi. 

Attualmente il gruppo dei giovani praticanti, che si allenano dalle 17:30 alle 18:30, il lunedì, il mercoledì ed il venerdì, è diviso in due sotto gruppi di lavoro. Il primo, che va dai 3 ai 9 anni, viene instradato al Kung Fu attraverso il gioco, affinché i piccoli imparino a coordinarsi, a rispettare le regole e ad evitare le situazioni pericolose, correndo ai ripari, qualora la situazione lo dovesse richiedere.

Il secondo gruppo, invece, che comprende i giovani dai 10 ai 17 anni, si sta formando mettendo solide radici per uno sviluppo delle capacità motorie, mentali e psicologiche, attraverso un allenamento finalizzato alla costruzione di un carattere forte, deciso e concreto. Sono molto felice dei progressi che stanno facendo i miei ragazzi sin dalle prime due settimane di pratica. 

Aspetto di accogliere a braccia aperte tutti i giovani praticanti che si vorranno avvicinare a questo stupendo stile di Kung Fu, con tenacia, determinazione e mente aperta. Tutti i sacrifici, tutte le energie utilizzate durante le lezioni saranno ripagati, soprattutto nella vita di tutti i giorni, quando sarà molto semplice riconoscere un praticante di Arti Marziali da un ragazzo cresciuto tra computer, consolle e cibo spazzatura.

lunedì 24 settembre 2012

Nascita di una Guerriera

Mi scuso con tutti i lettori ed amici se in queste ultime settimane sono stato poco presente, ma ho avuto un gran da fare con l'arrivo della mia piccola Guerriera. Ieri, alle 6:10, è nata la mia Beatrice, che ha dimostrato da subito di essere forte, coraggiosa e valorosa. Mi spiace non poter dedicare molto tempo al blog, ma come capirete, Lei viene prima di tutto il resto. A rileggerci presto!

女兒出生

lunedì 10 settembre 2012

Il Kung Fu a Roma

Oggi inizia il nuovo anno di allenamenti alla palestra della Romanina, Via Francesco Di Benedetto, 414, a Roma. Alle 17:30 ci sarà una presentazione informale del corso di Shaolin Hek Ki Boen Kun Tao per bambini ed adolescenti, in attesa dell'evento ufficiale, in cui sarà data a tutti la possibilità di provare il sistema, anche ai genitori! Alle 21:30 prenderà il via il corso di Wing Chun Kyun - Boxe Cinese, sotto l'egida dell'Ente di Promozione Sportiva C.S.A.In., con la consueta presentazione ed il benvenuto ai nuovi arrivati.


Da quest'anno i miei corsi daranno modo di accedere ad esami per passaggio di livello. Già, avete letto bene, i livelli. Ho finalmente deciso di formalizzare il percorso didattico, adesso che ho la possibilità di rilasciare attestati ufficiali che abbiano valore legale in Italia, cosa che il 99% delle associazioni e federazione varie non fanno. 

Ogni livello sarà rilasciato dallo C.S.A.In., non da una associazione o un'altra. Ricordatevi che ogni livello, grado o cintura di una associazione o federazione ha valore nella stessa, ma non all'esterno. Questo ingenera la maggior parte dei problemi quando si transita da una all'altra, non essendoci titoli equipollenti. Ancora più difficile il percorso di riconoscimento del  titolo di "insegnante", se è stato dato "solo" dalle suddette...

A breve pubblicherò il percorso didattico che ho formalizzato, in modo tale che tutti sapranno cosa dovranno studiare per passare gli esami. Non nascondo che questo passo mi stia portando via parecchie energie, ma è mia ferma volontà quella di dare a tutti gli Allievi la possibilità di conoscere il percorso didattico in modo chiaro, preciso e dettagliato. 

Questo diventerà il polo del Kung Fu a Roma, ve lo assicuro, perché sto mettendo tutte le mie energie e le mie capacità a disposizione del progetto di formazione di una Scuola seria, professionale e, soprattutto, professionalizzante. Sarò lieto di incontrare tutti gli aspiranti Insegnanti che avranno voglia di crescere insieme a me nell'alveo della Tradizione, senza dimenticarsi che viviamo nel 2012. Buon inizio anno a tutti!

Kung Fu Roma


giovedì 6 settembre 2012

Equilibrare il dolore

Oggi ospito un articolo dell'ottimo amico Fabio Rossetti, che non scriveva da qualche tempo. Stavolta ci fa riflettere sul dolore e sulla sensazione che questo genera in ognuno di noi. Mi pare sempre molto utile questo modo di lavorare e di condividere le proprie sensazioni, proprio perché ci inducono a parlarne, a riflettere e discuterne tra noi. Sono sempre benvenuti testi di questo genere. Grazie ancora a Fabio! Buona lettura!

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 Il dolore è la componente fisica principale sulla quale si giocano molte cose, al quale si possono agganciare la paura, il controllo, la dominazione, il comando, il terrore, la sofferenza interiore. Il dolore è una vibrazione d’energia a livello fisico, che scatena blocco, rabbia, incoscienza, reazione violenta, panico: il dolore nasce da un blocco di energia e da una trasmissione d’energia concentrata e potente, creando uno shock

 La risultante interazione fisico, astrale, mentale, crea delle corrispondenze di reazioni che sono naturali,  meccaniche. L’importante è che occorre gestire il dolore, fino ad arrivare al risultato che esso non deve influenzarci, pur essendone coscienti e sentendolo, poiché comunque serve per una serie di cose, in un modo trasformatorio che conduce all’equilibrio, all’armonia. Questo non vuol dire cercarlo come un flagellante, poiché il praticante intelligente sa che è un aspetto che fa parte del percorso, quindi uno strumento, un passaggio temporaneo, un mezzo e non sicuramente il fine e il centro della pratica. 

 Chi si addestra progressivamente lavora per raggiungere precisi obiettivi: 
  1. il primo consiste nel non avere paura e timore del dolore, cioè non entrare in vibrazione emotiva bloccante, che fa perdere la presenza e la concentrazione;
  2. il secondo consiste nell'accettare il dolore quando arriva e non reagire d’impulso emotivo, quindi studiarlo ed assorbirlo per poi scaricarlo;ù
  3. il terzo consiste nel sopportarlo, quindi la soglia aumenta, non quella del sentire il dolore, quanto quella che fa mantenere la presenza e quindi la centratura. 

 Subire un colpo porta dolore, ma è sempre energia che arriva e imparare a gestirla, ad equilibrarla con coscienza, dona delle possibilità. Chi desidera essere un Guerriero, fa sì che si metta nella condizione tranquilla di accettare, comprendere e mantenersi presente e centrato sempre. Il suo centro è l’armonia. Quindi è chiaro che con la pratica la resistenza al dolore aumenta, seppure lo si sente bene: inoltre la spiccata sensibilità acquisita lo fa sentire in tutta la sua interezza, ma con la preparazione avente come base la determinazione e la tranquillità, creano una gestione dell’energia che consente di resistere mentre si agisce.

 Spesso si vedono molte persone che alla minima percezione di dolore per un colpo fanno una scena degna di un film di alto calibro, da chi, essendo egoico, si fa rodere perché è stato toccato a chi fa lo stuntman rimbalzando come una palla. Consiglio vivamente di cambiare atteggiamento, poiché la pratica marziale è ben altro e non insegna quelle scene patetiche e ridicole. Ripeto di nuovo che ciò non vuol dire essere al contrario, cioè quelli che invece pare debbano sentire dolore e incentrare la pratica su questo. L’intelligenza del praticante e di chi insegna è nell'equilibrio che conduce all’armonia. 

 Il corpo, che ha una sua intelligenza, reagisce subito al dolore e con la pratica lo si educa a reagire con coscienza; infatti per ciò che riguarda il ripristinare l’equilibrio scosso dal dolore, ogni nostra cellula corporea, che è dotata di intelligenza, fa una cosa semplice ed efficace: impara. 

 Questo poiché il lavoro cosciente sul corpo fisico fa passare a livello istintivo delle cose che poi automaticamente si attivano. L’aspirante Guerriero imparerà, cercandoli, i modi e le terapie anche per guarire e per intervenire rapidamente. Dove non riesce va da un guaritore. 

 Shiro Saigo in un suo passo sulle arti marziali recita la condizione del Guerriero: 
Il vero Bushi mantiene il suo state mentale davanti a qualsiasi avvenimento, non prova timore e turbamento davanti all’attacco di una lama scintillante e, per quanta grande possa essere la sua sofferenza, non trema per l’acqua e per il fuoco, si mantiene impassibile davanti alle difficoltà e ai peggiori affronti e non s’inorgoglisce per la più brillante delle sue azioni. La ragione del suo potere risiede nel fatto che egli ha saputo capire la vera natura dell’ Arte Marziale
  Il dolore non deve mai essere una catena, un peso, una limitazione, altrimenti non sarà mai possibile esprimersi al 100%. Per combattere liberamente dentro di noi, in noi non ci deve essere l’esitazione, ma la determinazione. 

 Chi ha incarnato il detto che si può morire da un momento all'altro, è in uno stato di profonda consapevolezza della vita e della morte, quindi niente lo influenza, niente crea interferenze. Essere disposti a morire, a pagare il prezzo più alto, libera spontaneamente da esitazioni e da blocchi, compreso il dolore e la paura del dolore. 

 Può essere fatto in modo cosciente e incosciente: è preferibile sempre la coscienza, ma quando la motivazione dipende da una azione necessaria per rendere un servizio fondamentale e necessario per il bene degli altri, allora il Guerriero diventa azione pura e libera

 Fabio Rossetti

domenica 2 settembre 2012

Allenatevi GRATIS!!!

Grandi novità alla New Freestyle! Vi offriamo due settimane di prova gratis

Compilate il modulo della palestra, riceverete l'email di conferma, dalla quale stamperete il coupon da consegnare alla reception per ricevere l'abbonamento omaggio valido due settimane!

Coraggio, collegatevi qui!

sabato 1 settembre 2012

Le Forme ed il senso della progressione nel Wing Chun - Seconda parte

Continuano le riflessioni del nostro buon Pasquale "Guido" Mazzotta, che stanno riscuotendo parecchio successo nella comunità italiana del Wing Chun. Questo mi rende particolarmente felice, perché significa che stiamo seminando bene e che la cultura del nostro sistema si sta diffondendo. L'articolo che segue fa il paio con i due che scrissi tempo addietro, che trovate qui e qui. Ringrazio anche tutti gli amici ed i lettori che ci stanno inondando di email di ringraziamento per gli articoli che presentiamo qui sul blog: è un piacere! Adesso vi lascio alla lettura dell'articolo sulla forma Biu Ji, senza dilungarmi ulteriormente. 

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標指 [biāozhǐ] - Biu Ji - Lanciare le dita (come frecce)

Terza e ultima forma a mani nude del sistema Yip Man/Leung Ting, la 標指 [biāozhǐ] - Biu Ji - si focalizza, come si può dedurre già dal nome, sulla capacità di emettere una forza che giunga fino alla punta delle dita o, meglio, che venga generata dalle dita stesse. Molto spesso si commette l'errore di considerare Biu Ji solo l'omonimo "colpo" (vedi Biu Jee Sau標指手), che rappresenta solo la più intuitiva applicazione di questa capacità. 

In realtà nella progressione dell'apprendimento, Biu Ji rappresenta uno degli scalini, nello specifico quello relativo alla capacità di trasferire l'energia dalla punta delle dita, al di là della tecnica utilizzata. Questa abilità dovrebbe essere visibile nell'esecuzione della forma, che non consiste tanto (o, almeno, non solo) nell'apprendimento di nuove tecniche, ma, una volta compreso come costruire ed affondare i ponti nelle precedenti forme, la Biu Ji ben eseguita mostra e permette di allenare l'abilità del lanciare le dita (e tutti i movimenti in generale) come fossero frecce. 

Prendiamo il caso specifico della rotazione delle braccia, 滾手[gǔnshǒu] - Kwan Sau -, in cui si alternano Taan Sau e Bong Sau, movimento che appare nascostamente sin dalla Siu Nim Tau nella versione di SiJo Leung Ting, ricompare nella Cham Kiu, ma mostra la sua maturazione nella Biu Ji proprio all'insegna del Faat Ging (發勁 [fājìn]), di cui sopra. Lo stesso movimento cambia prospettiva ed utilizzo nella forma del GGM Yip Man al manichino di legno, Muk Yan Jong (木人樁), dove assume un connotato Terra, che ci aiuta a mantenere intatta la struttura quando ci muoviamo (...ma questa è un'altra storia!).

Tornando al Faat Ging (發勁 [fājìn]), è inutile ribadire che questa capacità non può essere assimilata se non partendo dalle basi costruite e consolidate in precedenza. In altri termini, lanciare la freccia è possibile solo se siamo stati capaci di costruire un arco, ma, soprattutto, se siamo stati in grado di tenderlo, nella fase di studio precedente.

Biu Ji è fondamentalmente un concetto offensivo rispetto alla forma precedente in cui cerchiamo e costruiamo il ponte con l'avversario. Propriamente il concetto si può esprimere con il 搭橋 [dāqiáo] - Daap Kiu - unire il ponte, che costituisce un asse portante della nostra pratica. Successivamente alla costruzione, impariamo ad attraversarlo e, se è il caso, affondarlo attraverso la capacità di 沉身 [chénshēn] - Cham San -, affondare il corpo.

Con la  Biu Ji il movimento tende ad espandersi maggiormente, ad andare più in profondità, disinteressandosi dei ponti altrui ed eventualmente travolgendoli come un tornado che non si arresta sull'impatto. Si crea un movimento sicuramente più offensivo, che mira, come dice Leung Ting, a sacrificare 3000 dei miei uomini per abbatterne 10000 [su questo motto ci sono diverse riserve, ma prendiamolo per buono, N.d.R.]. In questo senso in  Biu Ji stiamo imponendo il nostro ritmo di tornado piuttosto che comportarci come l'acqua del mare della Cham Kiu.

Non ci stiamo armonizzando con l'avversario prendendo in prestito la sua forza, ma stiamo tagliando il suo tempo, con la nostra intenzione ed il conseguente ritmo - ciò non significa che necessariamente si debba aumentare la velocità -, ed il suo spazio, diventando propriamente lo spazio. Diventiamo noi stessi, quindi, spazio (in modo assoluto), al di là del momento presente, trascendendolo.

L'intenzione è la cosa fondamentale e se proprio dobbiamo prendere in prestito qualcosa dall'avversario, si tratta del suo vuoto intenzionale o della sua discrepanza tra l'intenzione e il movimento, cosa che ci lascia il via libera per il cosiddetto quinto petalo, visto che siamo ad uno stadio del nostro percorso in cui studiamo i movimenti sul classico disegno a cinque spazi...

In ogni caso, riportando la conversazione a un livello più fisico, più tecnico e più comprensibile, prima si attacca e poi, eventualmente (direi quasi in emergenza, laddove il mio attacco abbia aperto, com'è naturale, dei varchi in cui il mio avversario abilmente sia riuscito a infilarsi) si raccoglie. Ricordiamoci che nel nostro sistema vige la regola del difendersi da un attacco attaccando (以打為消), che nella forma Biu Ji diventa colonna portante! Al contrario in Cham Kiu prima si raccoglie e poi eventualmente si attacca.

Non dobbiamo dimenticare che Biu Ji impone l'idea stessa di attaccare piuttosto che difendere (potremmo dire un'azione di puro striking) e  difendersi da un attacco attaccando (azione di cosiddetto counter-striking).

Quando si parla di cuneo nel Wing Chun è proprio alla Biu Ji che dobbiamo pensare, perché è qui che troviamo esaltato questo concetto, non tanto ai livelli precedenti. Infatti nella terza forma ci si infiltra nell'avversario e vi si scivola dentro (Lao), molto di più che nella fase precedente, dato che il tutto si gioca in un istante.

Ricordo anche che essere offensivi non vuol dire, in termini Wing Chun, essere bramosi di colpire. Anche in un movimento offensivo bisogna comunque essere equanimi e non lasciare che il corpo, lanciato offensivamente, trascini dietro di sé la mente.

Allo stesso modo il footwork della Biu Ji diventa veramente più offensivo. Penso che sia veramente un peccato che i passi del sistema, che mostrano la loro vera essenza e versatilità nello studio della terza forma e del manichino, siano così poco capiti o negletti e messi da parte, in favore di dinamiche prese altrove, quando, per usare le parole di Leung Ting stesso (usate anche dai suoi predecessori) "benché le tecniche di mano siano ingegnose, è nel footwork la vera essenza del sistema". Persino le gambe seguono il concetto di Biu Ji ed è per questo che il footwork tradizionalmente legato alla stessa forma è anch'esso più offensivo e insidioso, rispetto a quello proprio della Cham Kiu.

Pasquale "Guido" Mazzotta

giovedì 30 agosto 2012

Le Forme ed il senso della progressione nel Wing Chun

Ospito con immenso piacere questo articolo del mio caro ToDai Pasquale "Guido" Mazzotta, che pone alcune questioni su cui sarà bene riflettere assieme. Sono molto contento quando una persona così in gamba prende coraggio e scrive le proprie idee, in modo da condividerle con gli altri praticanti, crescendo assieme, attraverso un proficuo scambio di opinioni. Condivido tutto l'articolo e sono molto contento di aver trasmesso idee che oggi si sono fatte mature e ben ordinate. Buona lettura e un ringraziamento particolare al buon Guido!

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Per prima cosa occorre ricordare (se mai ce ne fosse bisogno) che nel Wing Chun le forme non sono tecniche utilizzate in un combattimento immaginario contro un avversario, ma dei modelli di movimento i quali, nel rispetto delle leggi di movimento del corpo umano, veicolano l'intenzione (意 [yì]) del praticante in diverse direzioni, prendendo in esame vari scenari possibili.

Questi ultimi si distinguono in base a tempi e distanze del tutto soggettivi, che si creano durante l'azione, così come letti intuitivamente dalla mente del praticante, in relazione alla propria capacità motoria innata, ma anche coltivata. Non si tratta di conoscere varie distanze e movimenti della forma correlati, di modo che ad ogni distanza intervenga oggettivamente un'arma adatta, ma di disconoscerle, dal momento che le distanze sono ancora un parto della mente, valido magari per necessità di studio, ma non nella realtà.

Ciò che collega maggiormente i soggetti dell'azione (nello specifico del combattimento) è sempre l'intenzione (意), di cui l'espressione fisica è solo la parte visibile. Il primo passo, quindi, è l'armonia con se stessi e con l'altro, cosa che rende possibile leggere il movimento dell'altro, come su un quaderno, e rimanere imperturbabili durante l'azione.

Quando si combatte non si risponde meccanicamente tecnica A contro tecnica B, ma lavora sull'intenzione dell'altro, prima ancora che sul suo movimento, ciò che nel Bu Jutsu (武術) giapponese è noto come sen no sen (l'iniziativa prima dell'iniziativa).

Passiamo dunque alla nostra visione delle forme.

尋橋  [xúnqiáo]- Cham Kiu - Cercare il Ponte

La seconda forma del sistema Yip Man/Leung Ting, da cui proveniamo, si concentra prevalentemente su movimenti di natura difensiva. Mentre è vero che nelle sezioni di Chi Sau di Cham Kiu, così come ideate da  Si Jo Leung Ting, ci si occupa di affondare il ponte (沉橋 [chénqiáo] - si trascrive sempre Cham Kiu in Cantonese), una volta stabilito il contatto, da cui si parte (per convenzione) negli esercizi di Pun Sau (盤手 [pánshǒu]) e Chi Sau. 

Solitamente, infatti, si immagina di aver già annullato la distanza col nostro avversario, sebbene nella forma  si notino tutta una serie di movimenti che poco si prestano all'idea di un contatto già avvenuto. Molti movimenti strettamente formali, infatti, non trovano riscontro nelle rispettive sezioni (le quali, lo ricordiamo, sono semplici elaborazioni di sequenze di Si Jo Leung Ting), sicché si può dedurre per varie vie che, mentre la forma si preoccupa di ciò che avviene prima, le sezioni si occupano di ciò che viene dopo, in una logica temporale.

Per questo la forma Cham Kiu è la ricerca di un vantaggio posizionale, ma sempre in ottica difensiva e di controllo dell'altrui iniziativa, mantenendo la struttura che abbiamo appreso dalla Siu Nim Tau, aggiungendo  ora una dinamica volta a lasciar colmare il gap. Il Chi Sau, al contrario, si occupa del momento in cui si è chiusa la distanza tra i due opponenti, quando l'avversario (o il partner) cerca di chiudere gli spazi e di sabotare i nostri attacchi, dando luogo a quella sorta di "dialogo delle mani con le mani" che chiamiamo appunto 黐手 [chīshǒu]), mani appiccicose.

Questa riflessione sulla forma mi è stata suggerita, oltre che dalla pratica, anche dalla lettura e visione dei testi di Leung Ting stesso, il quale spesso mostra difese prendendo pose che troviamo in Cham Kiu (azioni mai riproposte nei corsi perché molto banali ed intellettualmente poco interessanti, a differenza dei pugni a catena che vanno a solleticare, attraverso una falsa espressione di aggressività, l'ego dei praticanti e degli aspiranti tali). Il motto virtuale in altre parole è Primo, non prenderle.

Ricordo che cercare il controllo di un'azione avversa non è un'azione puramente passiva di attesa, ma richiede una grande presenza e una disponibilità al movimento immediato e senza esitazioni. Teniamo a mente una massima fondamentale delle antiche arti del (武術) Wǔ Shù (cinese) o Bu Jutsu (giapponese): dedicarsi prima alla protezione di se stessi e solo dopo a battere l'avversario come conseguenza naturale dell'evolversi dell'azione, quando l'avversario, preso dalla voglia di colpire, lascia dei varchi. Non a caso uno dei nostri motti recita: Se vuoi colpire, sarai colpito.

Poiché stiamo imparando a difenderci, qualunque sia la nostra azione, di fronte a un avversario valoroso, la prima cosa è arginarne gli attacchi, cercando di avere un controllo su di essi ed eventualmente prenderne in prestito la forza. Il Chi Sau collegato a questo genere di situazione è più giocato, più lottatorio (che non significa lottare), più discorsivo. Si crea un dialogo dove si cerca di affondare i ponti altrui prima di colpire.

Vero è che se dall'altra parte vi è una pari abilità, le braccia dei contendenti restano appiccicate non come un risultato voluto, ma come il frutto di forze equilibrate in campo, che danno dinamicamente luogo a una sorta di flusso e riflusso delle energie dei contendenti, tanto da far assomigliare l'azione complessiva dei due al muoversi ritmico delle onde del mare, le quali, una volta esaurita la spinta, assorbita dal bagnasciuga, rifluiscono, eventualmente sommandosi alla spinta dell'onda successiva.

Pasquale "Guido" Mazzotta

Continua...

martedì 28 agosto 2012

Dang Tau Ping Si (登頭平視)

Certe volte sottovalutiamo ciò che ci è stato posto di fronte, con la superficialità tipica di chi pensa di sapere tutto e di non aver bisogno di studiare continuamente. I nostri Maestri hanno nascosto i segreti più importanti di quest'Arte Marziale mettendoceli proprio sotto agli occhi, permettendo ad uno stile centenario di arrivare fino a noi con apparenti lacune, omissioni e spezzettamenti vari... Invece è tutto lì, da sempre, per sempre, per chi vuole e sa vedere.

Un motto spesso tenuto in poco conto, ritenuto adatto solo ai principianti, privo del solito alone di mistero che lo avrebbe potuto portare alla ribalta come altri, è il seguente: 登頭平視, Dang Tau Ping Si. Lo so, detto così sembra niente. Spesso viene tradotto come testa dritta e sguardo orizzontale, tra i motti di Siu Nim Tau, senza ulteriori spiegazioni né approfondimenti. Vediamo un po' gli ideogrammi, per iniziare.


登 [dēng] è un verbo e significa salire, arrampicarsi o montare. In Cantonese è /Dang/.

頭 (con la sua forma semplificata 头) [tóu] è propriamente la testa, ma può indicare anche i capelli o il capo di qualcosa. Lo conosciamo bene. In Cantonese è /Tau/.

平 [píng] viene utilizzato in molteplici contesti con il senso di appianare, uniformare. Di solito significa livello, ma nella sua forma verbale può essere tradotto come livellare, mettere sullo stesso piano. Come sostantivo ha anche il senso di ordinario, comune o uniforme. In Cantonese è /Ping/.

視 (anche qui c'è una forma semplificata 视) [shì] significa propriamente sguardo

Cosa esprime, quindi questo concetto di base del Wing Chun? L'idea è chiara, la testa si deve arrampicare, quindi deve sempre spingere verso il cielo. La seconda parte, invece, dà l'idea di come dovrebbe essere lo sguardo, in modo da fornire una spiegazione esaustiva quanto sintetica della posizione della testa. Quindi sì, testa dritta e sguardo orizzontale ci può stare come traduzione, ma attenzione a come viene spiegato il motto, perché si rischia di non capire come debba esser messa questa benedetta testa e, soprattutto, quando...

Entriamo, appunto, nel vivo. La testa deve sempre arrampicarsi verso il cielo? Certo, ma questo non significa che in determinate situazioni la stessa debba rimanere dritta e immobile. Semmai il motto ci richiama l'attenzione sul fatto che dobbiamo sempre allungarla, sia per i benefici che ne conseguono per la colonna vertebrale, sia per l'utilizzo che può esserne fatto in combattimento. Ho scritto qualcosa in merito, tanto tempo fa... 

Il principale pericolo del non corretto utilizzo e posizionamento della testa è lo sbilanciamento. Quando la testa non è allineata alla colonna vertebrale, quando è troppo dietro o troppo avanti, rispetto l'avversario, si rischia di essere spinti e di perdere l'equilibrio così come di essere strattonati (magari in clinch) e scaraventati a terra. Allo stesso tempo è necessario non irrigidire mai i muscoli del collo, ma tenere sempre i tendini attivi, affinché in ogni posizione la testa continui nell'opera di salita, di ascesa.

Quando la testa viene flessa, per esempio durante le azioni offensive in fase di Dei Chi Sau (dove Dei è il cantonese di 地 [dì], il concetto di Terra) si utilizza per perforare le difese avversarie, per uscire da una presa o per colpire il volto, va posta la massima attenzione sull'equilibrio sottostante, cioè all'allineamento del corpo, che va sempre tenuto a mente e rispettato, per non rischiare lo sbilanciamento.

Come ci ripetiamo spesso, il nostro è un sistema concettuale e, come tale, dobbiamo sempre rispettarne i cardini. Dang Tau, quindi, non significa in alcun modo tenere la testa dritta nel senso di rigida, immobile e completamente imbrigliata in una scomoda griglia, ma avere la propensione a farla arrampicare, a montare sopra l'avversario, come ripeto spesso durante le mie lezioni, quasi a toccare il cielo.

Per quanto concerne la specificazione che i nostri Maestri hanno voluto tramandare, Ping Si, ci fa riflettere sul fatto che lo sguardo deve tendere sempre ben oltre l'avversario, proprio in funzione della propensione della testa alla salita. Quando il capo è eretto, gli occhi, quasi automaticamente, subiscono un lieve abbassamento, in modo tale che l'orizzonte sia focalizzato senza tener in particolare conto ciò che c'è sopra.

In questo momento la nostra visione periferica ci permette di osservare qualsiasi movimento di chi ci sta di fronte, limitando un pochino l'altezza del "mirino", aumentando sensibilmente l'attenzione verso l'avversario, che diventa il centro del "quadro". Lo sguardo, in questo momento, si uniforma e si livella, senza permettere sbilanciamenti alla testa.

Non avremmo forse potuto far a meno della specificazione Ping Si, perché in sua assenza alcuni avrebbero potuto permettersi di ritenere che una testa dritta sarebbe potuta esser tale anche con il mento avanzato e il cervelletto arretrato. Così non è, proprio in funzione di quel 平視, guardare dritto davanti a sé, che ci impone di osservare l'orizzonte e non perdere di vista ciò che accade di fronte a noi.

Quando si chiede all'Allievo di non esporre il pomo d'Adamo, per esempio, gli tocchiamo il mento, facendolo leggermente ritrarre e gli citiamo sempre il motto Dang Tau Ping Si (登頭平視) proprio perché attraverso lo stesso riusciamo a fargli capire l'importanza dell'allineamento della colonna durante il combattimento. Un solo colpo al collo potrebbe essere fatale, di qui l'importanza di tenere la testa ben allineata...