lunedì 26 dicembre 2011

[Allenamenti] Sospensione 26/12 - 1/1

Avviso tutti i miei Allievi che da oggi (26/12) alla fine della settimana (1/1) non potrò portare avanti i consueti allenamenti. Recupereremo le lezioni perse il primo sabato mattina disponibile in una delle due palestre in cui ci alleniamo. Sono sicuro che nel frattempo avrete modo di allenare individualmente o insieme ad altri Fratelli tutto il programma svolto sinora. Concentratevi parecchio sui movimenti delle gambe (il footwork), ve lo raccomando.
Colgo l'occasione per rinnovare a voi ed alle vostre famiglie i miei più calorosi auguri!
Vostro,
Riccardo

sabato 24 dicembre 2011

Auguroni!

Carissimi Fratelli, carissimi Allievi, carissimi Amici, cari lettori,
voglio augurarvi dal più profondo del cuore di passare delle serene festività. Mi unisco con la mente a tutti i Cristiani tra voi, che stanno per festeggiare l'evento fondamentale del Credo. Serenità e pace a tutti voi!
A tutti quanti invio il mio più caloroso saluto ed augurio di un 2012 pieno di soddisfazione e felicità, di sicuro all'insegna del Wing Chun Kyun!


Vostro,
Riccardo Di Vito

venerdì 16 dicembre 2011

L’Impatto e l’Apprendimento

Vi invito a leggere e commentare l'articolo di questo mese dell'Amico Fabio Rossetti, che ringrazio anche per la costanza con cui collabora alla realizzazione di questo blog. Ci sono dei contenuti su cui molti non saranno totalmente d'accordo, ma questo ci permetterà di poterne discutere e confrontarci, in modo costruttivo. Grazie ancora Fabio!

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Nella pratica un elemento importante è la capacità di imparare dall’impatto che si subisce ogni volta che si è sia soggetti attivi oppure passivi dell’azione che si svolge. 

Ciò vuol dire che l’apprendimento della capacità di veicolare energia (intesa come parola che racchiude in sé le altre: liberare, scaricare, scrollare, concentrare, disperdere, lanciare, direzionare, muovere, assorbire, far circolare, espandere, esplodere, fluire, stabilizzare, equilibrare, armonizzare, ed altre che esprimono l’energia secondo il simbolo del Tao, dell’unione di attività e ricettività nelle sue forme e manifestazioni) passa nel giusto ed equilibrato modo di apprendere in base a ciò che si fa. Nella pratica , per fare un esempio, quando si subisce il colpo si impara così: essendo rilassati e centrati, con presenza si ascolta, si osserva e si percepisce, quindi spontaneamente si vivono e si registrano in modo cosciente le energie che passano: un vero e proprio apprendimento in silenzio, dove si lavora sul corpo fisico, sul controllo emotivo scaturito dall’impatto e quindi le reazioni di vario genere, sul mentale come mantenimento della concentrazione: un lavoro quindi, sempre equilibrato che se messo a frutto diventa una qualità naturale. Praticando si impara. Allo stesso modo anche quando si colpisce si fa lo stesso lavoro e per quello è importante essere disciplinati, cooperare, collaborare, che sono elementi indispensabili che formano il modus operandi del ricercatore. Dare qui una descrizione dettagliata non è possibile, ci sarebbero troppi elementi da descrivere e si rischia, per il limite delle parole, di creare una visione frammentata e mentale che non aderisce e devia dal giusto percorso, nonché la trattazione sarebbe molto lunga poiché ricca di sfumature: l’esperienza diretta nella pratica svela e mostra in modo unitario ed unitivo, soprattutto senza parole ma in chiave intuitiva. L’impatto c’è comunque per una frazione di secondo, quindi i vari impatti, che siano contemporanei oppure uno per volta, sono momenti localizzati in aree del corpo, dove cercando di essere centrati e coscienti si vivono.

Praticando in questo modo si comincia ad imparare in modo olistico e progressivo, unendo il generale al particolare: usare gli occhi significa osservare e la differenza che c’è fra la vista periferica e quella focus è nel semplice spostare l’attenzione, che però non sia sbilanciata troppo verso l’una o l’altra: osservare è una cosa, spostare l’attenzione un po’ da una parte non significa perderla dall’altra. 

L’impatto abitua alle sollecitazioni, che hanno dei benefici enormi ma occorre precisare: bisogna tenere presente che il corpo, ricevendo quantità di energia enormi in poco tempo, come quando si subisce un colpo vero , subisce dei danni; alcune parti del corpo subiscono danni anche con poca energia ricevuta, quindi nella pratica si può arrivare a scaricare potenza anche con molta intensità, ma sempre sotto la soglia dei danni e con la conoscenza del dove, del come e del chi colpire : l’adattamento è la regola. 

Quando l’energia in vario modo va a segno pienamente e nel combattimento va a segno per neutralizzare, chi è colpito non ha possibilità di reazione: la capacità di veicolare energia è la regola. Ciò si sviluppa e si evolve con la pratica costante, con presenza ed attenzione, in modo progressivo, poiché per fare ciò vanno attivati gli strumenti naturali dell’essere umano e quindi poi si potranno utilizzare al massimo delle loro capacità. L’impatto come forma di conoscenza vera è nel ricercare, nel farlo senza alcun aspetto egoico né emotivo. Il lavoro su di sé è la regola, sia come calma e pace emotiva, sia come concentrazione e controllo mentale: essere centrati. Chi conosce in modo sufficiente l’energia, pratica con un modo che comunque è sicuro, poiché lavora con coscienza e conoscenza, con responsabilità e con attenzione, conoscendo pro e contra. Il rischio fa parte della natura dell’esistenza, ma non occorre cercarlo, quanto sapere che esiste, cercando di renderlo al minimo. 

Se ci si addestra nell’impatto occorre sapere che per sfondare un occhio è sufficiente poca energia, che i tessuti sono meno resistenti e che non bisogna colpire come un fabbro fa col pezzo di ferro il compagno di allenamento. Un colpo sul torace può essere fatto con una maggiore liberazione di energia rispetto alla gola, poiché il praticante deve avere una conoscenza del corpo come è fatto e come funziona, tenendo presente quanto scritto sopra. Il corpo può essere distrutto e si possono creare dei danni che arrivano fino a morire. La calma, lo studio e la progressività sono la regola. 

La tendenza del praticante sia verso la coscienza e faccia germogliare il seme della guarigione: veicolare significa soprattutto un impiego benefico dell’energia; il laboratorio sperimentale è se stessi; quanto di più bello e sacro c’è, di operare per aiutare qualcuno che ci chiede aiuto? Il Guerriero unisce l’aspetto marziale all’aspetto gioviale, intesi come modi di impiego dell’energia . Il primo è usato solo per necessità nel combattimento, che verte su un aspetto distruttivo e squilibrante verso chi si ha di fronte per neutralizzarlo; il secondo è la regola costante di ogni giorno. 

Il combattimento è considerato una extrema ratio, per quello l’energia marziale è usata in un certo modo: se non si realizza il principio del non esserci, se non si riesce a non combattere e quindi si entra nel combattimento inteso come incontro e scontro, dove uno neutralizza l’altro arrivando anche ad uccidere, allora l’energia marziale diventa distruttiva senza il suo fine: ricreare. 

Da ciò si parla del combattere solo per sopravvivere e per difendersi unendolo all’altruismo e al servizio per proteggere la vita soprattutto quando il forte, vigliaccamente, se la prende col più debole. 

Fabio Rossetti

lunedì 28 novembre 2011

Chinese Boxing - Wing Chun Kyun - in Prague (Praha)

I'm very proud to announce that my ToDai (Student) and Friend Pasquale "Guido" Mazzotta began to teach in Prague (Praha). He represents me in this city and is the only one that I authorized to teach in my name until now. He can teach you what I teached him and can help you to improve your skills with the Wing Chun Kyun system. I'll be in Prague few times a year to help him to spread the Art in the city. Guido continues to study with me, but he has all basics to be able to train seriously and improve him and you. He also studied other lineage of Wing Chun, continuing to research and train for improve his skills. If anyone would like to got further information may contact Guido on Facebook (here) or by email (here) or going on this website.


sabato 26 novembre 2011

Qi Gong Taoista: Corpo, Respiro e Mente

Ospito con vero piacere questo articolo dell'amico Roberto Capponi, il quale ha accolto il mio invito a pubblicare qui alcuni appunti di viaggio riguardanti la Medicina Tradizionale Cinese - di cui è Operatore esperto e preparato -, con tutti i suoi risvolti, primo tra gli altri il Qi Gong. Grazie, caro Roberto, di aver accolto il mio invito. Auguro a tutti buona lettura!

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Il Qi Gong è un antichissimo complesso di tecniche e metodi votati alla longevità, alla terapia, allo sviluppo delle proprie potenzialità al massimo livello, alla meditazione. Tramite pratiche respiratorie, posturali, di intenzione e focalizzazione, con sistemi statici o dinamici, morbidi e lenti, così come anche rapidi ed esplosivi, il Qi Gong è in grado di intervenire fortemente sui flussi energetici dell’organismo, secondo la teoria della Medicina Cinese: ha quindi la potenzialità di trasformare il praticante e portarlo “all’elevazione”. Il Qi Gong ha origine nella notte dei tempi: le pratiche energetiche, sciamaniche, di coltivazione psico – fisica, monastiche e laiche sono le matrici della codifica di questo sistema di lavoro su se stessi.Il Qi Gong può essere “catalogato” secondo diversi criteri:
  • - Filosofia a cui la pratica si ispira => Taoismo, Buddhismo, Confucianesimo

  • Obiettivo della pratica => Terapia, Marzialità, Meditazione

  • Tipologia di Lavoro => Esterno, Interno
In questa piccolissima trattazione ci occuperemo del Qi Gong Taoista: esso mira a rendere il praticante in Salute (Corpo), Forte e Vitale (Energia) e Consapevole (Spirito). In linea generale, il Qi Gong Taoista mira a rendere la persona longeva, forte, in salute, in accordo con i flussi e le leggi naturali, tanto da rendere il praticante spontaneo “come un bambino” (simbolo dell’energia vitale al massimo livello e di uno spirito non imprigionato da convenzioni). Le tecniche di imitazione degli animali, alchemiche, erboristiche, sessuali, alimentari, marziali e di fusione con il macrocosmo esterno, completano il quadro.

Le pratiche alchemiche Taoiste si basano sulla coltivazione dell’Energia Essenziale (Jing), costituente il Corpo ed i Tessuti, derivante dal patrimonio ereditato dagli avi e dai genitori e coltivato con l’alimentazione e lo stile di vita. La coltivazione e l’accumulo del Jing porta alla longevità, alla salute, alla preservazione delle proprie risorse psico – fisiche (per esempio, l’invecchiamento precoce è sintomo di Deficit del Jing…), al rinforzo corporeo, ecc. Altresì il Jing rappresenta la coscienza di sé, la percezione di sé, la struttura di base di sé ed il proprio telaio, fisico e caratteriale.

Dopo aver coltivato il Jing, esso si trasforma in Qi (Energia Funzionale): il Qi rappresenta non solo la funzionalità fisica dell’organismo, ma anche la capacità di interagire con il mondo esterno, di vivere interscambiando energia (basti pensare al respiro), di mettersi in relazione. Inoltre il Qi (Energia) determina l’azione nella vita che deriva dalla propria struttura primordiale (Jing), in funzione di un Destino da voler portare a compimento nel proprio percorso.

Questa volontà, questa spinta verso il proprio Destino è lo Shen, lo Spirito e l’aspetto psico – emotivo – caratteriale, che rendono unica ed irripetibile ogni persona. Lo Shen determina i movimenti dell’Energia (Qi) che, a sua volta, attiva i processi corporei del Jing. Ciò produce autocoscienza, auto percezione, chiarezza di vedute, spirito indomito, libero, presente e lucido, salute e longevità, riequilibrio psico – fisico. Tutto ciò determinerà l’evoluzione spirituale e, di conseguenza, energetica e fisica del praticante, che gioverà della libertà di essere, agire e crescere e vivere.



giovedì 24 novembre 2011

I motti della gestione del corpo

Ospito col solito piacere l'articolo che segue dell'amico Fabio Rossetti. Ringrazio lui, come tutti gli altri che hanno accettato l'invito alla condivisione, perché è anche grazie a queste riflessioni che si cresce insieme. Buona lettura!

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I motti sono uno dei cardini base al fine di veicolare energia facendola fluire; sono la base fisica da unire successivamente ad altri cardini fondamentali per combattere realmente. I motti, senza aver appreso lo stato del rilassamento, sono completamente inutili nonché dannosi per il fisico, per il semplice fatto che i muscoli sono troppo rigidi. Lo stato di rilassamento fisico consente l’equilibrio di contrazione ed espansione e quindi un armonico fluire energetico: questo è chiaro che si fa solo con la pratica. L’altro punto è mantenere quello stato non solo non dislocando il corpo e quindi rimanendo in posizioni sdraiate, sedute e così via, ma espanderlo e quindi esserlo progressivamente negli esercizi di dislocazione, cioè camminando, e quindi nel combattimento. Con i motti si crea una base perfetta di lavoro. Ricordiamoci sempre che essere rilassati, camminare, prendere coscienza delle varie forze, da l’opportunità di assumere posizioni corrette e fluide per svolgere una pratica costruttiva. Questo lavoro, basato in maniera apparente solo sulla sfera fisica, svolge un effetto più sfumato sul fisico, ma contemporaneamente lavora sull’aspetto emotivo e mentale, nonché sulla sfera intuitiva. Tornando ai motti, essi sono dei potenziatori, stabilizzatori ed armonizzatori, poiché esaltano il fluire energetico. Il lavoro sui di essi sia improntato sempre con progressività, costanza, cercando un ritmo personale, essere ricettivi ed attivi in modo equilibrato, essere quello che si fa per incarnarlo progressivamente, andare oltre ed esulare dal facile ed il difficile.
I motti sono universali, nel senso che non appartengono a nessuno in particolare: essi sono principi alla base di tutti gli stili e forme marziali, poiché l’arte marziale è Una e cerca di rendere i suoi principi reali con l’evoluzione che passa per le varie scuole e comunque l’essere umano.
I motti svelano il modo per sviluppare all’interno energia sul piano fisico, poi questa si imparerà ad usarla nel combattimento. Essi uniscono internamente il corpo, così come il simbolo del Tao suggerisce, inoltre hanno effetti benefici, se fatti nello stato di rilassamento, così come si vede nelle tecniche del Qi Qong inerenti al mantenimento dello stato di salute e all’autoguarigione. I motti li uniremo integrandoli con la respirazione, che sia rilassata, naturale, dolce e ritmica, seppur facendo tecniche respiratorie tipiche e tradizionali. Nel combattimento i motti esaltano e danno efficacia ai movimenti fluido-geometrico-tattici nello spazio, le cosiddette tecniche, che servono per veicolare energia Yin-Yang e nel modo Yin-Yang in maniera ottimale per la massima efficienza ed efficacia. Serviranno quindi non solo per conferire velocità e potenza, ma anche resistenza ai colpi ed ottimizzazione delle proprie energie. Ricordiamoci che essi lavorano unendo il cielo e la terra e che si uniscono insieme a tutto quello che si fa. Nonché sono preparatori per i lavori successivi, essendo una base imprescindibile per l’operatività reale.

Fabio Rossetti

giovedì 17 novembre 2011

Storia del 永春拳: facciamo il punto (Quinta Parte)


Continua l'affascinante ricerca condotta da Pasquale Mazzotta, dopo l'introduzione, la seconda, la terza e la quarta parte. Buona lettura!
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Quando i monasteri (del Nord e del Sud) - o, meglio, le sedi di queste attività sovversive? - vennero distrutti, i monaci si dispersero e cambiarono la loro identità per non essere riconosciuti. Questi sistemi di Arti Marziali cominciarono ad uscire all’esterno dei templi e si diffusero prevalentemente attraverso ambiti artistici (il che portò anche alla degenerazione degli stili, in molti casi), familiari e militari.

Il sistema familiare era il piu comune perché i Maestri tramandarono segretamente la loro esperienza ai propri figli o a pochi e selezionati Allievi. Per mantenere lo stile segreto venne tramandato oralmente, cambiando l'ideogramma identificativo dell'Arte da 永 a 泳 - dalla medesima pronuncia -. Con questa modifica non era più possibile fare il collegamento con la stanza del monastero di Shàolín (la 永春殿 - Wing Chun Din -) da cui derivava lo stile. In più venne aggiunta la parola 嚴 [yán], Yim, che significa 'strettamente', 'segretamente', la quale indubbiamente stava a significare l’importanza di mantenere segreto lo stile.

Sapere con esattezza chi furono i personaggi che contribuirono alla nascita e allo sviluppo del 永春 non è facile, anche se alcuni sembrerebbero essere stati scoperti. Il primo fu Chu Ming, monaco buddista del tempio di Shàolín del Nord. Il vero nome fu Chiu Yuen. Ha interpretato un ruolo di primo piano nel mantenere viva l'attività anti-Manciù. Si tratta di uno degli ultimi discendenti superstiti della famiglia reale della dinastia Ming. Chiu Yuen si rifugiò all’interno del tempio dopo la caduta della sua dinastia; imparò diversi stili di lotta e, grazie alle sue risorse economiche, finanziò l’attività anti-Manciù.

Altro esponente fu Da Jung, pseudonimo di un ufficiale dell’esercito Ming,il quale , dopo la caduta del suo imperatore, si rifugiò nel tempio di Fukien. Di questo personaggio non si sa molto, ma grazie a lui all’interno del tempio del sud iniziarono ad insegnare le Arti Marziali, contribuendo anche a Fukien alla nascita di altre società segrete. A lui è connessa la società segreta chiamata “Organizzazione buddhista della luna rossa”.

Sempre in questo periodo, Cheug Sing Kung, altro ex generale Ming, fondò la Tien Dei Wui (società del cielo e della terra) collegata con la Hung Fa Wui (Società del Fiore Rosso), fondamentale, quest’ultima, per lo sviluppo del 永春, perché fondata da Ng Cheung. Molte altre società segrete si formarono: da Loto Bianco alla Bandana Rossa….

Ng Cheung, nato a Wuh Bak (lago del nord) intorno al 1690 - la morte si presume attorno al 1770 -, era conosciuto con il sopranome di Taan Sau Ng (攤手伍) - si può leggere qualcosa anche su WingChunPedia) - e discendeva da una famiglia militare molto importante, la quale era stata per molti anni fedele alla dinastia Ming. Ng Cheung era un ufficiale delle guardie imperiali (come abbiamo scritto, secondo alcuni Ng Mui era la quarta figlia di un Generale Ming).

Pan Nam e lo Hung Suen Weng Chun riportano di come Taan Sau portò il 永春 dal Nord a Fat Shan, nel Guangdong. Ng Mui, non apparendo in nessun libro di storia, potrebbe essere stato un nome di fantasia per coprire il vero ideatore di questo stile, che probabilmente dovette scampare a uno dei vari tentativi di epurazione messi in atto dai Manciù. In diversi libri di storia cinese e resoconti d’epoca, cosa che sembra comprovare la sua esistenza, compare il nome di Ng Cheung, e viene descritto come un uomo molto colto venuto dal Nord, dalle spiccate conoscenze letterarie e artistiche (fondatore in seguito dell’Opera cinese della Giunca Rossa, Hung Suen, e eccellente nel dramma, dove non perdeva occasione per ironizzare sui Qing), dotato anche nella musica e dunque non conosciuto soltanto come un gran maestro nelle arti da combattimento (forse ancora non ci si riferiva ad esse come Eterna Primavera, nome che nacque poco tempo dopo).

Dopo la persecuzione da parte dell’esercito Qing si rifugiò nel tempio Shàolín del Nord, dove prese i voti da monaco e si addestrò per molto tempo nelle Arti Marziali. Nel frattempo si dava da fare nelle società segrete per ricostituire la dinastia Ming. Successivamente scoprì che a Fukien era attiva un’organizzazione, chiamata Hung Fa Dim che voleva ristabilire i Ming. Lasciò quindi Henan e arrivò a Fukien, dove conobbe nel Tempio di Siu Lam del Sud il monaco di ventiduesima generazione, Gran Maestro di Siu Lam, Yat Chan (一塵, "un granello di polvere") Um Chu (Dai Si è un titolo onorevole buddhista, maschile, laddove Um Chu lo è femminile...tanto per cambiare una cosa sospetta...), scampato alla distruzione del Tempio di Shàolín del Nord.

Ne divenne allievo e cominciò lo studio dell’Arte che con il tempo sarebbe divenuta la Boxe dell’Eterna Primavera: questo è anche ciò che riportano il Maestro Pan Nam e la scuola Hung Suen. La cosa è oggetto di critica da parte del Dr. Leung Ting, che ci fa notare un’incongruenza storica partendo dal confronto tra varie fonti, dato che mentre Taan Sau sarebbe vissuto a Fat Shan tra il 1723 e il 1735, una volta fuggito da Pechino, in un periodo in cui Yat Chan ancora non era nato, non avrebbe potuto ricevrne gli insegnamenti.

Il Maestro Pan Nam ci riporta anche il fatto che Taan Sau conosceva diversi stili del Nord tra cui il Tai Chi, ma questo stile fu inventato da Yang Lu Chan più tardi, almeno con questo nome, mentre lo stile Chen prese il nome di Tai Chi dopo il successo di Yang Lu Chan, cambiando anche il modo di interpretare le proprie forme alla luce di questo nuovo metodo risalente al 1800 circa. I fatti correlati a Taan Sau risalgono al 1750, più o meno...

mercoledì 16 novembre 2011

擸手 - Laap Sau

Alcune volte dimentichiamo quanto siano importanti le basi del nostro sistema. Una di queste è costituita dalla possibilità di tirare l'avversario, attraverso una delle tecniche che si apprendono sin dalle prime lezioni di Wing Chun, il 擸手 - Laap Sau -. Ho notato che in pochissimi sul web usano questo ideogramma [擸] per definire il tirare, credo che sia per il solito vizio di fare copia-incolla dai siti più vecchi, senza mai andare a ricercare il cuore del proprio sistema. Vediamo l'ideogramma 擸 [liè], visto che 手 [shǒu] lo conosciamo a memoria.
 
擸 [liè o lā o là, in Mandarino] significa 'afferrare', 'tenere' e, nello specifico, 'afferrare e tirare i capelli'. In Cantonese si pronuncia /Laap/. L'idea di afferrare e tirare i capelli è perfetta per capire bene la tecnica, perché prevede due fasi differenti: la prima è quella di trattenere con cura l'oggetto da tirare, mentre la seconda indica l'azione propria di strattonare per strappare. Se al posto dei capelli mettete il braccio dell'avversario, per esempio, capite subito quale sia l'azione del Laap Sau: afferrare con cura il braccio - assicurandosi di avere un buon controllo - e strattonarlo, facendo perdere l'equilibrio all'opponente, per poter poi sfruttare l'attimo e colpirlo ripetutamente.

Uno dei problemi tecnici del 擸手 è quello di eseguirlo in maniera affrettata, senza tener bene a mente alcune caratteristiche biomeccaniche della presa ovvero la connessione tra le articolazioni delle dita, il polso e l'avambraccio in genere. Spesso accade ai principianti - ma anche a certi 'esperti'... - di perdere la presa durante lo strattone, subendo il contattacco dell'avversario. Il problema più frequente è quello di non allineare appositamente mano e avambraccio, a seconda del punto di contatto della mano stessa. Discorso difficile da fare sul blog...


Molto spesso ho visto anche tirare in maniera errata all'interno del proprio cono d'azione, subendo il subitaneo sfondamento della guardia. Questo accade quando si tira l'avversario verso di sé, contrariamente a quanto si dovrebbe fare, cioè 'accompagnando' l'avversario verso l'esterno del proprio corpo... Nel disegno soprastante potete vedere un'esempio di come si utilizza il Laap Sau per prendere l'angolo cieco e continuare ad attaccare dall'esterno all'interno.

lunedì 14 novembre 2011

抽撞拳 - Chau Chong Kyun

Riguardo ai pugni del Wing Chun, uno dei meno visti nei brutti video pubblicati su YouTube è il montante. Si tratta del colpo che parte dal basso e termina colpendo l'obiettivo verso l'alto, solitamente al mento. Durante la pratica, ho capito che si tratta di uno dei colpi che va portato dopo un'azione di disturbo, qualsiasi essa sia, con un buon ponte, senza il quale si rischia di essere colpiti dall'avversario. È spesso definito uppercut, ma, rispetto alla Boxe Occidentale, ha una caratteristica tipica. Sicuramente è più corto: il suo raggio d'azione è limitato alla distanza che va dalla spalla al gomito o poco più avanti. Non viene tirato con un movimento semicircolare molto largo, come nel Pugilato. L'impatto è comunque considerevole, se viene utilizzata la forza di rotazione dell'anca e la catena cinetica appropriata.

Lo troviamo spesso trascritto come Chau Chong Kuen e gli ideogrammi che lo rappresentano sono questi: 抽撞拳 (chōu zhuàng quán). Vediamoli.

抽 [chōu] solitamente indica il "frustare", nel contesto del Wing Chun, ma riguarda genericamente l'estrarre dal mezzo, il prendere una parte di un tutto o il percuotere. Viene da 扌(手 shǒu) e dall'uso fonetico di 由 [yóu] ('da'). In Cantonese è /Jau/, ma il Dr Leung Ting lo scrive /Chau/.

撞 [zhuàng] è un verbo con parecchi significati, i più attinenti dei quali, per il nostro discorso, sono "entrare in collisione", "correre contro", "colpire". Deriva da 扌 (手 shǒu) e dall'utilizzo fonetico di 童 [tóng]. In   Cantonese è solitamente /Jong/, ma il Dr Ting lo trascrive /Chong/.

拳 [quán] (o nel dialetto cantonese Kyun), lo sappiamo bene, è il pugno.

L'idea del montante del Wing Chun è quindi quella di frustare un pugno verso l'alto, che entri in collisione con il l'avversario, nello stesso modo in cui si usa nel Pugilato. Lo troviamo per la prima volta nell'esecuzione della Cham Kiu (尋橋), dove viene allenato sia come tecnica di striking, sia come ausilio di una tecnica di grappling (Kam Na).

sabato 12 novembre 2011

Seminario di SuHu Lin Xiang Fuk

Domenica 20 Novembre, nel Martial Arts Temple, in via di Marco Simone, 251, si terrà per la prima volta a Roma un seminario intensivo di Shaolin Eng Chun Pai (Black Flag Wing Chun) direttamente con il GM Lin Xiang Fuk, leader mondiale per questo sistema di Kung Fu. Vi sarà la possibilità di partecipare per chi lo desidera al workshop intensivo (a numero chiuso) che si terrà da lunedì 21 a martedi 22 riservato agli aspiranti istruttori di questa disciplina.

NB.: si precisa che è necessaria la prenotazione per partecipare sia al seminario sia al corso per istruttori.

Per info e prenotazione contattatemi

venerdì 11 novembre 2011

Seminario di Wong Nim Yi in Italia

Sabato 19 e Domenica 20 novembre 2011 si terrà presso la sede nazionale di Caserta il consueto seminario annuale del Maestro Wong Nim Yi, figlio del fondatore dello stile "Mai Gei Wong Wing Chun Kuen". Per informazioni contattare SiFu Guido Schioppa: www.maigeiwongitalia.it - e-mail: info@maigeiwongitalia.it.




martedì 25 ottobre 2011

Ricercare l’Essenza Marziale

Accolgo con piacere l'invito dell'amico Fabio Rossetti a pubblicare queste riflessioni, che tutti i praticanti di Arti Marziali dovrebbero fare. Vi auguro buona lettura, salutando Fabio e ringraziandolo per i materiali che condivide con tutti noi!

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Chi cammina nella via marziale, ricercando a sfera incontrerà quella zona storica, che sarà importante per comprendere i punti essenziali ed unitari di tutte le forme dell’Arte Marziale. Superando l’aspetto settario, divisorio e superficiale della ricerca, aprendo quindi le porte verso la reale comprensione di quello che fa, ponendosi come un vaso vuoto, disposto a contenere tutto e poi filtrarlo, lasciando le sostanze identiche che conterrà, si renderà conto di aspetti unitari, in realtà sempre presenti ed evidenti. La ricerca veramente scevra da ogni forma di pregiudizio, egoismo, elitarietà, porta veramente l’occhio a contemplare vasti spazi ed orizzonti, di crescita. Occorre porsi nello stato di rilassamento, dove vi è ricettività e fluidità. Andiamo sul pratico per comprendere queste parole.
Chi comincia la via marziale, comincia sperimentando: da uno a mille stili differenti. Potrà trovare quello che si confà di più in quel momento a sé stesso, potrà cambiarlo o continuare a praticarlo, dipendendo il tutto da variabili di vario genere, poiché la realtà è mutevole. Molti prediligono uno stile e ne praticano altri, molti ne praticano dieci nella vita, molti ne praticano uno e altri casi. L’importante è una domanda che la persona deve farsi è : che cosa cerco e perché? Sembra scontata la domanda, ma la risposta non c’è mai nella maggior parte dei casi; e la risposta non è sempre la stessa, quando c’é. Inoltre non è detto che la risposta sia giusta, sbagliata o che ce ne sia una assoluta.

La pratica tende ad aprire le porte ad ognuno e spesso si incorre in quello squilibrio che rallenta fino a bloccare la ricerca marziale: iniziando e praticando ci si fa un’idea, che però diventa troppo rigida col tempo ed altri fattori, escludendo la capacità che ogni persona ha: di andare oltre. Si crede che si fa la cosa migliore, spesso se ne è convinti; si misura tutto in base al proprio ed unico metro, molto imperfetto; ci si abbandona alla stupidità attratti dall’aspetto di potere che si può esprimere nel combattimento, quando di persone capaci nel combattimento reale ce ne sono davvero poche; ci si abbandona alla filosofia così raffinata insieme alle altre conoscenze che si apprendono sulla medicina, il corpo, il massaggio e le varie materie che nell’arte marziale si praticano e studiano contemporaneamente, se si studiano; si diventa depositari di conoscenze assolute e che gli altri non hanno, favorendo la divisione, la competizione egoica e la tradizione di cucina dove un segreto è che la pasta si fa con l’acqua calda; ci si sente mezzi superman ed hulk, invulnerabili e potenti, senza paura e furbi come volpi, poi la realtà sbraga tutto in un attimo; continuando nel raccontare vari e tanti episodi si rischia di scrivere un libro esilarante ed assurdo, quanto mai divertente e ricco di aneddoti, il che va bene, poiché chi persegue una via marziale ama la vita e ridere.

Vi è una fase che può durare anche tutta la vita , la fase dove si impara ad essere ricettivi ed aperti alle varie visioni, il che non osta affatto riguardo alle convinzioni personali che però devono essere il risultato di esperienze veramente vissute. Di norma chi non è ricettivo si preclude molto, ed il rischio si corre sempre. E’ normale che nello studio pratico si fa riferimento alle conoscenze che si hanno e allo stile o agli stili praticati, ma se non porge l’ascolto non si ascolterà mai. E’ normale comparare, ma non per avere solo ed esclusivamente conferme di ciò che si sa, quanto anche di ampliare i propri orizzonti: la bellezza del ricercare è imparare cose nuove, disimpararne altre, in un gioco ritmico, che tende verso una sintesi chiara di conoscenza. Poiché molti aspetti sono frammentati e sparsi qua e là, occorre saperli unire, imparando con lo studio e la pratica. Si cerca di norma una fonte da dove si può attingere tutto, ma non è così, e quindi occorre cercare altre fonti ed unirle.
Chi almeno desidera imparare, è aperto e disposto a ricevere, mantenendo la sua linea, evitando rigidità e pregiudizi. Il ricercatore ama cercare per scoprire, come un esploratore che scopre il mondo: l’errore è quello di fare le cose per soddisfare l’ego e i suoi derivati: complimenti, denaro, reverenza, potere, sesso, dominazione, manipolazione, autocompiacimento etc…. I cosiddetti marzialisti, troppo spesso sono i più deficienti esseri che si incontrano, sfigati e paurosi. Il che non è un dramma, poiché ognuno a modo suo lo è, ma per diventare diversi, non per restarci. La stranezza è che si dice di allineare il cuore e la mente: molti lo dicono ma come strumento per il proprio ego. Chiedetegli il significato mentre lo chiedete anche a voi.
Ogni stile ha in sé l’unità marziale che per sua natura si può esprimere in mille forme: l’Arte Marziale è una, si esprime in vari modi. Esiste un modo di esprimerla più vicino all’essenza? Ma per fare ciò, occorre conoscere l’essenza. Sapere cos’è l’Arte Marziale dona la possibilità di esprimerla e nel corso dell’essere umano, l’evoluzione degli stili è servita proprio alla tendenza verso la perfezione: una forma che potesse realmente, nella realtà mutevole, contenere ed esprimere l’essenza marziale. Da lì è nato il detto che combattere è adattarsi, le parole portanti come equilibrio, armonia ed altre.
Bene, se siamo confusi ancora di più va tutto bene, non potrebbe essere altrimenti.
Ricominciamo.
In ogni stile si fa la stessa cosa:
In ogni stile si combatte allo stesso modo.
In ogni stile si studia l’energia.
In ogni stile si imparano le tecniche
In ogni stile si imparano i principi
In ogni stile si pratica
In ogni stile si cerca di esprimere un quid in un certo modo
In ogni stile si tende ad esprimerlo sempre meglio
In ogni stile si percorre la via
In ogni stile c’è tutto ma di quel tutto una parte si sviluppa e altre no
In ogni stile non c’è un perfetto equilibrio, manca qualcosa
In ogni stile si cerca di perfezionare
In ogni stile vi sono esseri umani che praticano insieme
In ogni stile la via è la stessa

Cos’è l’Arte Marziale?
A che serve?
Perché si percorre?
Esiste una forma migliore delle altre?
Che peso ha l’essere umano nella pratica marziale?
Cos’è uno stile?
Perché ce ne sono tanti?
Quali sono, se ci sono, le differenze?
Quali sono, se ci sono, le uguaglianze?
Chi è il Guerriero?
Cosa cerco e perché la cerco?
Principi, tecniche, tattica, strategie, il resto del linguaggio tecnico, che significano e cosa sono?

Chi si fa domande come queste ed altre ancora è bello che cominci a cercare, con un modo di essere libero e ricettivo. Porsi con il piacere, la curiosità, la gioia, l’amore e l’attenzione di un bambino, seguendo se stessi forse è un’ottima strada da seguire. Se nel cercare si cammina bene, allora si evitano gli eccessi, ma se si eccede basta ritornare al centro, di se stessi e ricominciare con costanza, pazienza e tanta motivazione.

Fabio Rossetti



mercoledì 19 ottobre 2011

三搖手 - Saam Yiu Sau

Quando iniziai ad imparare la forma Biu Ji (標指 - "Dita perforanti" -), mi trovai di fronte ad una serie di movimenti che non ritenevo utili ai fini del combattimento. Sarà stata la 'giovane' età, sarà stata la troppa fretta di confrontarmi con la realtà dello sparring o, forse, l'impreparazione dei miei primi insegnanti, fatto sta che fino a pochi anni fa non sono riuscito a cogliere elementi essenziali di alcuni movimenti.

Una delle sequenze che non capii dal principio fu la Saam Yiu Sau - 三搖手 -, il ciclio di movimenti della mano, con il braccio steso, a mo' di coltello. Ebbene, quando ho iniziato a studiare con attenzione le articolazioni, i tendini e la meccanica degli stessi, ho avuto ben chiaro il motivo per cui qualcuno tra i fondatori del sistema ebbe l'intuizione di inserire la sequenza nella forma. 

Diciamoci subito che nelle forme del 永春拳 non sempre le sequenze rispecchiano ciò che accadrà durante un combattimento. Nel caso particolare della triplice ripetizione dell'estensione/flessione del polso (三搖手), è chiaro che non siamo di fronte ad una tecnica applicata al combattimento, a meno che non si voglia dar retta a certi insegnanti (per esempio...), secondo i quali la triplice tecnica sarebbe servita per dissolvere una serie di diretti del pugilato (?!).

In realtà, Saam Yiu Sau deve essere praticata per i suoi benefici che ne traggono il flessore radiale e quello ulnare del carpo, nonché il flessore superficiale e quello profondo delle dita, l'estensore radiale lungo e quello breve del carpo, il cubitale posteriore e l'estensore comune delle dita, tanto per fare dei nomi. Il fatto di eseguirlo con il braccio steso è dovuto alla sua maggiore efficacia, perché con il gomito flesso, si avvicinerebbero i capi di inserzione dei muscoli grande palmare, cubitale anteriore e palmare lungo, avendo pertanto minore efficacia.

Se proprio volessimo travare un'applicazione alla sequenza, dovremmo rintracciarla proprio all'interno del sistema stesso, contro i (famigerati?) pugni a catena, quelli sulla linea centrale, per intenderci. In quela caso 三搖手 potrebbe essere utilizzata per fronteggiare l'attacco e dissolverlo, mantendendo un cuneo con il polso verso l'avversario.

Dal punto di vista tecnico, 三搖手 è spesso utilizzata (non esattamente come nella sequenza della forma) per liberare il polso da eventuali blocchi e controlli avversari, quando c'è una presa solida e forte, attraverso azioni repentine a livello dell'articolazione del polso. Se ci pensate bene, è una delle prime cose con cui si entra a contatto, durante le prime lezioni in palestra...


La stessa tecnica è presente nella forma al Muk Yan Jong (木人樁), sebbene lì ci siano delle specifiche implementazioni a livello di gestione del braccio, che non sarà più teso, ma flesso, ed andrà a coprire più linee verticali, rispetto all'esecuzione della Biu Ji. In questo caso, in effetti, se ne trova applicazione durante l'allenamento del 过手 (Gwo Sau), specialmente quando ci troviamo all'interno della guardia avversaria.

In alcuni lineage troviamo la stessa tecnica, in sequenza, descritta come 三擺指 o Saam Baai Ji. Ne parla negli stessi termini lo stesso SiJo Leung Ting, alternativamente a Saam Yiu Sau. Se volessimo trovare una qualche differenza d'esecuzione, potremmo dire che Saam Yiu Sau fa riferimento al movimento orizzontale del polso, mentre Saam Baai Ji è quello verticale. Quisquilie. In entrambe i casi ci troviamo di fronte ad un antico metodo di potenziamento e flessibilizzazione dell'articolazione del polso.

Alcune Famiglie, in special modo a Fatshan, utilizzano la sequenza di tre movimenti continui in tutti i set della Biu Ji. Sicuramente non fanno male, anche se, personalmente, tendo ad allenare il polso in un'altra maniera, adesso, oltre a quella formale e, quindi, lascio nella forma "solo" la sequenza che segue Yat Gee Chung Kuen.

Vediamo per un istante gli ideogrami di oggi. Tralascio 三 [sān o Saam in Cantonese], il numerale tre, 手[shǒu o Sau in Cantonese], la mano, e gli ideogrammi già affrontanti.

搖 (con la sua forma semplificata 摇) [yáo], /Yiu/ in Cantonese, è utilizzato per il verbo 'scuotere' o 'agitare'. Deriva da 扌 (o 手 [shǒu]) e dall'uso dell'ideogramma 䍃 (o ) [yáo] (il 'barattolo') per il suono.

擺 (con la sua forma semplificata 摆) [bǎi] significa 'ondeggiare', 'penzolare', fare come il 'pendolo'. In Cantonese è /Saam/. Deriva da扌[shǒu] e dall'uso di 罢(o 罷) [bà] a livello fonetico.

三搖手 - Saam Yiu Sau -, quindi, può essere tradotto come "agitare tre volte le mani". 
三擺指 - Saam Baai Ji -, invece, può essere la descrizione delle "dita che ondeggiano tre volte".

lunedì 17 ottobre 2011

挭滾無正身 - Gang Kwan Mou Jing San

Giorni fa pensavo al sistema di SiJo Leung Ting (Wing Tsun), una delle centinaia di interpretazioni del Wing Chun, sicuramente la più praticata al mondo e, senza dubbio, la più bistrattata. Ho letto pagine intere di nemici di Leung Ting che parlano di un errore molto grosso, di una vera e propria falla, del suo sistema: faccio riferimento al posizionamento faccia-a-faccia, che caratterizzerebbe il WT.

Bene, se osserviamo le migliaia di praticanti del sistema WT, non possiamo dar torto ai detrattori. Di sicuro, almeno in Europa è giunta una versione del tutto surrogata dell'originale. Eppure, Leung Ting, anche a detta di altri Maestri di caratura internazionale (ultimamente ne parlavo con il Direttore Tecnico dell'Accademia Nazionale di Tang Su Do, il Maestro Roberto Daniel Villalba, che ha elogiato più volte SiJo), si muove bene, è fluido, è molto veloce, ma, soprattutto, non si fa trovare frontalmente durante gli attacchi. Dov'è la falla?


Se tutti i praticanti di WingTsun e, soprattutto, tutti i Maestri si fossero presi la briga di ricercare, di studiare ed analizzare quanto detto, fatto e scritto da SiJo, tanti problemi non sarebbero sorti. Infatti, anche in un recente testo, SiJo fa riferimento ad un motto sconosciuto in molte Famiglie: 挭滾無正身 - Gaun Kwun Mo Ching Sun, scrive lui -. Lo traduce così: "non esistono posizioni frontali per le mani che si infilano (Gaun Sau) e per le mani che ruotano (Kwan Sau)". Cortocircuito!
挭 [gěng], in cantonese /Gang/, fa riferimento alle braccia messe come lische di pesce (la nostra tecnica Gang Sau). Si tratta di un ideogramma composto da 扌 (o 手) [shǒu], la mano, e da 更 [gēng], che viene utilizzato come avverbio (ancora di più, ulteriormente, inoltre) o come verbo (cambiare, sostituire, trasformare). 

滾 (con la sua forma semplificata 滚) [gǔn] significa rotolare, ruotare o bollire. In Cantonese è /Kwan/ o /Gwan/.

無 (con la forma semplificata 无) [wú] viene utilizzato qui come verbo e può essere tradotto con "non c'è".In Cantonese è /Mou/ o /Mo/.

正身 [zhèng shēn o Jing San (Cantonese)], li abbiamo visti, fanno riferimento alla posizione frontale del corpo.

Quindi? Non c'è posizione frontale del corpo quando usiamo Gang Sau o Kwan Sau. Oh, non lo sto dicendo io, lo scrive il Dr. Leung Ting a pagina 85 del libro 116 Wooden Dummy Techniques! Non a caso il Maestro ci invita ad utilizzare queste 'tecniche' insieme a movimenti di gambe, per prendere il lato cieco interno o esterno dell'avversario. 

Delle due l'una: o c'è stato un cortocircuito in Europa o i praticanti di WT sono talmente svogliati da non essersi presi nemmeno la briga di studiare il proprio sistema... Eppure dal movimento che si esegue nella BiuTze del WingTsun, bisognerebbe capirlo, come ci dimostra anche il Maestro Norber Maday, allievo diretto di Ting.

 Concludiamo tornando a parlare di casa nostra, cari Fratelli. Come dico spesso, l'angolo cieco, sia esso interno o esterno alla guardia dell'avversario, è difficile da prendere, ma dobbiamo fare attenzione a non utilizzare mai rotazioni sul posto che ci portino ad avere nuovamente una posizione frontale rispetto all'avversario: sarebbe, come minimo, una perdita di tempo ed energia. Quando facciamo ricorso al Gang Sau o alle rotazioni delle braccia (interno/esterno o viceversa), dobbiamo sempre muoverci con le gambe, altrimenti rimangono posizioni da foto, totalmente sterili.


venerdì 14 ottobre 2011

正身腳 - Jing San Guek

Qualche giorno fa ho riletto con piacere un vecchio libro di SiJo Leung Ting dedicato alla Chum Kiu. Mi è saltata all'occhio la traslitterazione e la traduzione di un calcio chiamato (nel testo) Ching-Sun-Guek. Come non occuparsene?!

Bene, sapete come viene tradotto in inglese? Frontal Thrusting Kick ovvero Calcio frontale lanciato o qualcosa del genere, in italiano. Eppure qualcosa non va. Vediamo...


Ching è la traslitterazione del Dr. Leung Ting per l'ideogramma 正 (l'abbiamo visto ieri).

Sun è la traslitterazione del Dr. Leung Ting per l'ideogramma 身 [shēn], "corpo", che conosciamo e che siamo soliti scrivere /San/.

Guek è la traslitterazione che utilizziamo pure noi per il calcio (腳).

Dovremmo, quindi, tradurre "calcio dalla posizione frontale"...mmmh...qualcosa stride con la traduzione. Dov'è il termine "thrusting"?

Altri Maestri chiamano lo stesso calcio della Chum Kiu 中線正身腳 - Jung Sin Jing San Guek -, che fa riferimento al calcio tirato sulla linea mediana (dell'avversario) da posizione frontale. Forse questo tipo di circumlocuzione si addice di più a far capire all'Allievo dove deve essere diretta l'azione. 

Per completezza, 中 [zhōng] significa "nel mezzo" o "medio" (in Cantonese /Jung/). 線 [xiàn] è la "linea", la "traiettoria". In Cantonese è /Sin/.

Ad ogni modo, si tratta di un calcio frontale, tirato a media altezza, sulla linea mediana centrale, da posizione frontale. In sostanza, potete fare riferimento a questo post, sul Jing Geuk (正腳), perché parliamo della stessa cosa...

Il bello (?) della spiegazione del libro è che si dice di non muovere le spalle (se non di pochissimo) per tirare il calcio, poi si vede l'esecutore in tutt'altra situazione... A parte questa piccola nota, possiamo ritenere 正身腳 tutti i calci che vengono tirati dalla posizione frontale (Jing Ma - 正馬). In realtà, nella Chum Kiu, si parla di 轉馬 -  Jyun Ma -, cioè di Posizione ruotata, perché, rispetto alla posizione di partenza, si ruota di 90° prima di eseguire il calcio. 

mercoledì 12 ottobre 2011

踹腳 - Chaai Geuk - Calpestare col piede

踹腳[chuài jiǎo] sono gli ideogrammi utilizzati per identificare il tipico calcio del Wing Chun chiamato Chaai Geuk. Si tratta di uno dei calci che siamo soliti allenare al manichino di legno, sulla gamba, raschiandola, fino a toccare terra, in una delle ultime parti della forma al Jong. Chi ha la possibilità, lo allena anche al cosiddetto "tripodal dummy", in varie sequenze.

腳 (nella forma semplificata 脚) [jiǎo] lo conosciamo bene, è il piede e, per estensione, la gamba.

踹 [chuài] - in Cantonese /Chaai/ - è formato da ⻊(o 足) [zú], il piede, e dall'uso di 耑 [duān] come elemento fonetico. Significa propriamente calpestare.

Il calcio che vediamo oggi è traducibile come "calpestare col piede" o "piede che calpesta". Si tratta di uno dei calci che, spesso, usiamo quasi per caso, durante la pratica, quando raschiamo la tibia del compagno di allenamento. Ecco, adesso che lo conoscete, potete dire al vostro partner, quando vi scusate: "scusami per il Chaai Geuk"... Non cambierà molto, ma almeno saprete come chiamare il dolore lancinante alla gamba.
A parte gli scherzi, questo tipo di calcio è utilizzato per portare a terra la gamba dell'avversario, partendo dal ginocchio in giù. Differisce dal Gam Geuk (撳腳) per il fatto che questo ultimo atterra la gamba avversaria spingendola verso il basso, mentre il Chaai Geuk la "raschia" ovvero procura un'abrasione attraverso la sfregatura.

Durante l'allenamento in palestra, a piedi nudi, è possibile lavorare su questo tipo di calci a tutte le distanze, ma durante il Chi Geuk (黐腳) abbiamo modo di concentrarci sullo specifico movimento attraverso vari drill.

In un contesto reale, potete immaginare il Chaai Geuk come un attacco all'area della gamba che va dal ginocchio alla caviglia, attraverso uno sfregamento della zona, con la suola della scarpa. Il dolore che provoca può essere utilizzato per "distrarre" l'aggressore e concludere lo scontro in breve tempo, immobilizzando lo stesso oppure dandosela a gambe levate...

PS:

[English version] Tang Chung Pak SiFu told me that Weng Chun will not do that. We do not initiate a kick unless we are 100% sure and only when we are in full contact with the Kiu and combine that with a pull (See - 撕). See the dummy form of Tang Yik. 

[Versione italiana] SiFu Tang Chung Pak mi ha scritto che nel 永春拳 della sua Famiglia non si usa tirare un calcio come questo, a meno che non si sia certi al 100% di colpire e solo quando c'è un contatto con il ponte (Kiu) avversario, unendo al calcio il principio See - 撕 - ovvero "tirare" e "strappare. Infatti, basta vedere la forma al manichino eseguita dal GM Tang Yick per capirlo.
 

martedì 11 ottobre 2011

釘 腳- Ding Geuk - Calcio che inchioda

Ding Geuk è uno dei calci del Wing Chun che viene più utilizzato per pubblicizzarne l'efficacia in un contesto di "difesa personale". Si tratta del sempreverde calcio ai genitali, se vogliamo intenderci.

In realtà, è un calcio che va ad impattare con la punta del piede (unghie, dita, etc.), spesso coperta dalla calzatura, la zona genitale dell'aggressore, in generale.  Non pensiate che l'obbiettivo "genitali" sia così facile da colpire...

Questo tipo di calcio viene usato contro aggressori che abbiano posizioni molto larghe di gambe o che, comunque, sottovalutino il nostro istinto di difesa, che ci porterà a risolvere la contesa nel più breve tempo possibile.

Per allenarlo, consiglio sempre di utilizzare gli scudi ricurvi e di farli tenere al partner proprio davanti alla zona da colpire. Bisogna allenare bene il timing e la velocità, più che la potenza, perché per tirare bene questo calcio è necessario "slacciare" le articolazioni inferiori, proprio come ci alleniamo a fare con le superiori. L'articolazione su cui concentrare il lavoro è quella dell'anca.

Questo calcio, come altri, non va caricato, ma immediatamente lanciato, da qualsiasi posizione ci si trovi. Per questo è molto importante la velocità, che si ottiene con un adeguato lavoro di bilanciamento del peso, contemporaneamente ad un allenamento intenso della capacità dell'anca di generare energia. 

釘 [dīng], che ha una forma semplificata 钉, significa chiodo, unghia o artiglio. Deriva da 钅(o 金) [jīn], il metallo, e da 丁 [dīng], che abbiamo già visto più volte. 丁 raffigura un chiodo. Quando 丁 fu preso per identificare la quarta delle dieci radici terrestri* 天干 [tiāngān], venne creato il carattere 钉 per rappresentare il significato originale di chiodo. In Cantonese è /Ding/ o /Deng/. 腳

[jiǎo], lo abbiamo visto più volte, è il piede e, per estensione, il calcio (/Geuk/ o /Gerk/).

La traduzione migliore, per me, è "calcio che inchioda", perché bisogna immaginare il corpo come uno spara-chiodi ed il piede come il chiodo lanciato in direzione dei genitali dell'aggressore. Fa male eh?...

Note:
* In Cina si segue il ciclo sessagesimale (干支; gānzhī) come sistema numerale ciclico di sessanta combinazioni, composte da due cicli base, le dieci radici celesti (天干; tiāngān) ed i dodici rami terrestri (地支; dìzhī). Tradizionalmente è usato per numerare giorni ed anni nel Sud Est asiatico in generale.

mercoledì 5 ottobre 2011

Verso una nuova alba...

Da oggi il blog cambia l'estetica, ma non l'etica. La tematica trattata sarà sempre la stessa, il beneamato Wing Chun, ma con un occhio di riguardo in più a casa nostra, cioè alla mia Famiglia. Di seguito inserisco alcuni volantini che stanno girando per Roma, spero che siano di vostro gradimento. Stiamo cercando di uscire dal solito cliché che vuole i praticanti ed i Maestri di Wing Chun grassi, pigri e debolucci. Durante i miei corsi, infatti, almeno 30 minuti sono dedicati alla preparazione fisica, tramite esercizi di diversa natura e provenienza, finalizzati alla crescita psico-fisica degli Allievi, al di là delle capacità tecniche.

Ad ogni modo, sono sicuro che qualcuno si chiederà il motivo della dicitura Boxe Cinese. Non si tratta di un mero espediente di marketing, lo chiarisco subito, ma di una chiara e semplice dichiarazione d'intenti: riportare (o portare ex novo?) il Wing Chun ad essere uno stile di Boxe Cinese rispettato e rispettabile, attraverso un allenamento duro ed al passo coi tempi.

Per il resto, come già scrissi tempo addietro, utilizzo sempre la dicitura completa (Siu Lam Wing Chun Kyun), perché mi piace chiarire da dove veniamo e, soprattutto, cosa pratichiamo in sala. Non abbiamo messo da parte alcun aspetto dell'Arte Marziale Tradizionale, ma ne stiamo esaltando l'essenza tramite un lavoro tecnico certosino, da un lato, e il duro lavoro fisico (e psicologico), dall'altro. 

Stiamo cercando di tornare a far vivere un'Arte, senza esserne né i sacerdoti né i diffamatori, senza gli eccessi tipici delle tifoserìe. Stiamo allenando corpo e mente per arrivare a formare una Famiglia di praticanti seri e refrettari alle politiche di marketing che hanno afflitto il Wing Chun finora. Il restyling del blog è solo il primo passo, ma seguiranno altre belle novità per gli appassionati. Verso una nuova alba...




                    




martedì 4 ottobre 2011

7 ore per 7 euro

Domenica 16 Ottobre, dalle 10:00 alle 19:00, presso il Parco Yuri Spigarelli (San Gordiano), a Civitavecchia (alla fine di Via del Tiro a Segno) si terrà l'evento "7 ore x 7€". Il ricavato della giornata sarà devoluto interamente all'A.N.D.O.S. (associazione nazionale donne operate al seno). Per il settore Wing Chun troverete SiFu Riccardo Vacirca della WEAC (wingTchun escrima academy). Per informazioni chiamate Riccardo Vacirca al 3394100801, oppure andate su Facebook (qui) o sul sito della Weac. Di seguito trovate la locandina dell'evento.


giovedì 29 settembre 2011

Intervista a Luigi Rossi

Oggi incontriamo il Maestro Luigi Rossi, fondatore della Scuola dell'Acqua - Wing Txun.  

Ci puoi dire qualcosa sulla tua vita?  

Sono cresciuto in una famiglia in cui sia mio padre che mia madre uscivano di casa molto presto per andare al lavoro e tornavano tardi, per cui ero lasciato essenzialmente a me stesso per tutto il giorno. Gli amici dell’epoca mi fecero conoscere l’ambiente dei tifosi più accaniti e violenti “della curva” (romanista) e divenni anch’io uno di loro. Devo quindi dire che purtroppo, pur essendo di buona famiglia e con niente che mi mancasse, per le ragioni che ho detto ero una testa calda e sono cresciuto in strada. Fortunatamente, due eventi hanno cambiato questo corso di cose: l’incontro con la ragazza che poi è divenuta mia moglie che dimostrando grande pazienza è riuscita a tirarmi fuori da quell’ambiente e – in secondo luogo – l’incontro proprio con il WX. Voglio sottolineare che a contribuire al mio cambiamento interiore non è stato l’incontro con un’arte marziale qualunque, perché io già praticavo full contact. Invece è stata proprio l’impostazione che richiedeva il mio primo insegnante (sifu Fries) a provocare questo mutamento. Fries insisteva molto sull’aspetto della gestione delle situazioni da strada: non essere aggressivo e non aggredire, bensì imparare a difendersi quando necessario e non perché siamo stati noi i primi a provocare. Questo ha cambiato la mia mentalità: ho smesso di essere un attaccabrighe, passando dalla logica dell’aggressore a quella dell’eventuale aggredito. Come facilmente comprensibile, ciò comporta una visione interiore completamente diversa dell’approccio della persona alle situazioni di potenziale scontro fisico. 

Quando hai iniziato a praticare Arti Marziali?  

Ho iniziato a fare WX nel 1989. Prima, da ragazzino, avevo praticato judo (fino al grado di cintura blu) e in seguito full contact (dai 16 anni e per i sette successivi). I miei risultati nel full contact erano di buon livello: ho partecipato a diversi campionati regionali e poi nazionali, un anno arrivando terzo agli assoluti. Poi accadde che nel corso di una preparazione per una gara di full contact presi un colpo d’incontro dal mio sparring partner, il che mi provocò una frattura scomposta al setto nasale, con un periodo di allontanamento dalla palestra di 6 mesi, per la post-degenza. Quando tornai a praticare full contact avevo già conosciuto sifu Fries che ben presto mi fece nascere l’amore per il WX. Così abbandonai il full e passai alla nuova arte. Nel 1991 divenni istruttore di WX e l’anno successivo aprii il mio primo corso come insegnante e sempre nel 1992 il wx diventò la mia unica professione.   

Con chi iniziasti a studiare lo stile WingTsun? 

Come ho già avuto modo di dire, il mio primo insegnante è stato sifu Michael Fries. A quel tempo egli era il responsabile per Roma di una grossa organizzazione internazionale di WX. Ciò mi ha dato modo di partecipare ben presto a stage e incontri tecnici che ampliavano i limiti connessi ai frequentatori di una sola palestra, nel senso che avevo spesso modo di confrontarmi tecnicamente con praticanti di tutta Italia. Questo aspetto, senza dimenticare quello parallelo delle amicizie e conoscenze che nel corso degli stage venivano a maturarsi sul piano personale e relazionale, ha indubbiamente contribuito positivamente alla mia crescita nel WX.   

Chi sono stati i tuoi Maestri nel passato?  

Quasi subito, all’epoca di sifu Fries, iniziai ad allenarmi a Livorno. Qui, come referenti tecnici per gli stage c’erano il Maestro Kernspecht e il Maestro Leung Ting. 

E chi è il tuo attuale Maestro? 


Per rispondere a questa domanda devo fare una premessa, necessaria per evitare di essere considerato una persona presuntuosa o poco riconoscente. Io mi sono staccato dall’organizzazione nella quale ho iniziato a praticare WX, per ragioni tra le quali spiccano quelle di carattere tecnico. Non mi riconoscevo più in ciò che veniva insegnato e trovavo fossero necessarie delle profonde modifiche se si voleva che i principi dell’arte dovessero – come credo – essere rispettati. Per questa ragione, avvalendomi dell’esperienza maturata e delle personali considerazioni critiche che si erano sviluppate parallelamente ad essa, ho elaborato una mia interpretazione del WX che – appunto – tiene in gran conto i principi dell’evitare la forza dell’avversario e del conservare quella che chiamo “lucidità” nei movimenti. In base a questa lunga premessa, non posso più dire di avere un maestro di riferimento. E questo – ripeto – non perché non riconosca chi mi ha fatto crescere nel mio percorso marziale ma perché ho elaborato personalmente e indipendentemente ciò che pratico e insegno oggi.   

Come si può diventare SiFu nella tua associazione? 

Il primo requisito è l’aver conseguito il secondo grado tecnico da almeno un anno e avere degli allievi diretti. Non è importante il loro numero ma è richiesto che essi abbiano un regolare inquadramento all’interno di un corso collettivo o individuale. Questo per il significato stesso del termine sifu (=padre): non si può essere padre se non si hanno dei figli (allievi). Il secondo requisito è avere una visione comune e sinergica alla mia circa gli obiettivi e le metodologie didattiche all’interno della Scuola. Un sifu non può agire solo per proprio conto e interesse, bensì deve perseguire il bene dell’intera organizzazione. E’ ovvio e normale che un sifu abbia le proprie inclinazioni ed i propri interessi personali ma è altrettanto evidente che tali interessi non possono porsi in contrasto con quelli della Scuola.   

Quante ore ti alleni al giorno? 

Attualmente mi alleno 3, al massimo 4 ore al giorno. Fino a qualche anno fa mi allenavo di più, ma si trattava di un lavoro diverso, in un certo senso più “meccanico”, derivante come ho detto sopra da un’impostazione completamente diversa (e che ho trovato progressivamente sempre meno soddisfacente) del WX. Oggi l’impegno psico-fisico e il grado di concentrazione sono diversi, senz’altro superiori, in quanto la caratteristica della mia Scuola è una grande attenzione ad ogni singolo movimento e alla lucidità mentale che lo deve necessariamente accompagnare. Ogni istante richiede la massima attenzione e “presenza cosciente” in chi sta praticando, perché ogni movimento deve essere perfettamente controllato dalla volontà e comporta la possibilità di modificare in ogni istante gli obiettivi e le finalità del movimento stesso. Io non insegno mosse o sequenze di mosse prestabilite, quindi è facile comprendere che ogni situazione richiede un’attenzione “fresca” ed elevata, sia visiva che tattile. Lo sforzo è tale che al termine di ogni lezione sono esausto e 3-4 ore al giorno sono il massimo che ritengo giusto permettermi per un allenamento di qualità, sia mio personale che con gli allievi. A completamento di queste riflessioni, devo dire che in passato ho gestito classi anche di 20 praticanti, il che mi permetteva, nei momenti in cui passavo tra i vari gruppi per controllare il loro lavoro, di godere di momenti - per così dire - di pausa. Ora invece mi dedico esclusivamente agli allenamenti individuali, in cui sono chiamato in prima persona a muovermi e concentrarmi con l’allievo cui sto facendo lezione. In altri termini, non ho pause in cui supervisiono il lavoro altrui, ma lavoro costantemente e senza interruzione con il singolo allievo. Sono quindi preso sia fisicamente che mentalmente al 100% del tempo che dedico all’allenamento. In un senso più ampio, vorrei aggiungere che benché da solo non mi alleni, la mia giornata è permeata dal WX. In un certo senso “non stacco mai la spina”. A casa, in motorino nei miei spostamenti e persino nelle occasioni sociali, cerco di muovermi in un modo coerente con il mio modo di muovermi in palestra. Questo può apparire strano, ma il WX è la mia vita e io credo molto in quello che faccio. In questa prospettiva, può apparire meno strano se dico che anche in motorino bado a un certo tipo di rilassamento muscolare, alla mia postura, alla capacità di non irrigidirmi e restare invece reattivo. Per me il WX è innanzitutto lucidità mentale e uno stato fisico che permette di agire prontamente e senza doversi prima “mettere in guardia”. Quindi sono io che ora faccio la domanda: quanto mi alleno al giorno? 

Hai mai combattuto in contesti sportivi? Quando, dove e con quali risultati? 

La domanda non si può riferire al WX, perché in massima parte nel WX non sono contemplati tornei di questo tipo. I recenti tentativi di inserire il WX in circuiti agonistici non li considero, perché non fanno parte della mia filosofia dell’arte. Quindi la risposta è No. Per il resto, ho già risposto in precedenza, quando ho accennato ai miei trascorsi nel full contact.   

Quante ore a settimana dovrebbe praticare uno studente per progredire in maniera seria?  

Qui le chiedo cortesemente di permettermi di rispondere ponendo la sua domanda all’interno di un discorso più generale. Secondo me la prima cosa da chiarire riguarda non la quantità, bensì la qualità dell’allenamento. Purtroppo in giro vedo molti discorsi basati sulla quantità, in cui la qualità è data per scontata, mentre non è affatto così. Se lo stile di WX si fonda su di un approccio coerente, in cui in ogni singolo movimento sono rispettati i principi dello stile, ci possono essere praticanti che si allenano con me anche solo una volta al mese con buoni risultati, nel senso che i loro progressi nello stile sono apprezzabili ed evidenti. Questo perché qualunque tipo di tecniche stiano allenando in un certo momento, esse vanno ad arricchire anche le tecniche che al momento non vengono allenate. Mi rendo conto che quanto sto dicendo può apparire di difficile comprensione ma va tenuto presente che nel mio approccio tout se tient: ogni tecnica allena anche le altre, perché si fonda sull’attenzione maniacale per gli stessi principi che supportano nel medesimo modo e grado tutte le altre tecniche. Il fatto è che noi alleniamo principi, prima ancora che tecniche. Faccio un esempio. Il modo di gestire il movimento del corpo è per noi della massima importanza. Se alleno una tecnica di attacco che rispetta il giusto modo di muovermi, ne trarrò giovamento anche quando farò esercizi di chi-sao, perché non tratterò quest’ultimo come una cosa “a sé stante”, bensì inserita in un approccio in cui mi devo necessariamente muovere in un certo modo. Tenuto debito conto del livello qualitativo complessivo dell’allievo, io non ammetto che eserciti una tecnica “dimenticando” quanto ha già imparato esercitando le altre. Un altro esempio: se alleno un attacco che comporta un contatto, dovrò saper gestire quel contatto a seconda del mio livello nel chi-sao. Non ammetto che un allievo che ha già una buona esperienza di chi-sao “regredisca” a una gestione più elementare. Se quindi l’allievo in quel periodo si sta allenando correttamente nel chi-sao, questo alzerà il suo livello complessivo anche nella gestione dell’attacco con contatto. In altri lineage di WX capita di veder allenare in modo separato tecniche e combinazioni, tanto che poi c’è una certa difficoltà a ricondurle ad un’ unicità di gestione. Ovvio che in queste Scuole la quantità di allenamento sia un metro assoluto o perlomeno serva a giudicare quanto un allievo è bravo in quella singola tecnica. Si progredisce – per così dire – per compartimenti, per capitoli. Il problema è che se l’allievo non è abituato a considerare quello che pratica come un tutt’ uno, in cui sempre tutti i principi a fondamento della sua arte sono rispettati, progredirà in modo discontinuo, portandosi gli errori di impostazione da una tecnica all’altra. Avendo sottolineato fino ad ora che l’allenamento deve obbligatoriamente essere di alta qualità, resta inteso che se a questa si accompagna la quantità, tanto meglio. Io alleno tanto persone che vedo una volta la settimana, quanto altre che oltre a far lezione con me hanno a propria volta degli allievi, con i quali si allenano di conseguenza. Nella mia Scuola ci sono praticanti che si allenano anche 5 volte per settimana, poiché gestiscono più corsi e hanno anche allievi privati, per cui in complesso praticano per 8-10 ore la settimana, non tenendo conto di quanto possono poi fare aggiuntivamente a casa loro, in privato. È chiaro che in questi casi i loro progressi saranno più significativi. Ci sono poi gli stage mensili e le sessioni di esame in cui gli istruttori sono chiamati a dare il loro contributo. C’è quindi chi si allena anche 45-50 ore al mese. Ma il punto fermo per me rimane la qualità di quello che si fa. Mentre è possibile, benché limitativo, allenarsi in qualità e non in quantità, il viceversa non produce nessun risultato, nel senso che si rischia di fare per ore e ore cose sbagliate. Un po’ come accade con la tela di Penelope: la quantità non supportata dalla qualità cancella i progressi ottenuti e non consente un miglioramento effettivo nel mio modo di intendere il WX. In sintesi: quantità di allenamento, preparazione fisica, forza, velocità e aggressività sono tutti elementi importanti ma assolutamente aggiuntivi alla qualità di quel che si allena. Essi contribuiscono in maniera importante alla crescita dell’allievo ma senza la qualità rappresentano solo una perdita di tempo. Esiste ed esisterà sempre quello più forte, più veloce, più aggressivo di noi. Se quindi queste nostre caratteristiche non sono supportate dalla qualità della nostra tecnica, saremo sempre destinati a soccombere. Negli anni, poi, la nostra fisicità è naturalmente destinata ad affievolirsi, per un naturale processo di invecchiamento. Cosa ci resterà, se non abbiamo una tecnica che invece può crescere sempre, anche a 60 anni?   

Cosa ne pensi degli altri SiFu e dei loro metodi di insegnamento, nelle altre associazioni e Famiglie di Wing Chun? 

Dividiamo innanzitutto il mondo cui lei fa riferimento in 4 gruppi di persone. Il primo gruppo è formato da persone che conosco direttamente, con le quali ho condiviso a Livorno, nel corso dei miei 16 anni di appartenenza alla stessa organizzazione, dei momenti importanti della mia vita marziale. A questo gruppo appartengono tra gli altri sifu Paolo Delisio, sifu Michele Stellato, sifu Gianluca Cesana e sifu Carlo Bernardi. Questi ed altri avranno sempre un posto speciale nei miei ricordi, perché con loro ho condiviso periodicamente momenti marziali e conviviali importanti. Un secondo gruppo è formato da persone che conosco molto bene sotto il profilo umano e marziale perché sono stati miei allievi, anche se ora essi magari sono insegnanti di altri stili, di altri lineage. Soprattutto a Roma, di appartenenti a questo gruppo ce ne sono molti. Alcuni nomi sono Stefano Lucaferri, Alessandro Messina, Fabrizio Screpante, Enrico Toro, Antonio Pantaloni e Simone Pietrobono. Voglio sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi queste persone si sono allontanate da me non per problemi con il sottoscritto, bensì per un certo livello di incomprensione con i vertici dell’organizzazione che io all’epoca rappresentavo a Roma. Quindi, quando costoro hanno avuto la possibilità di andarsi ad allenare con qualche maestro di un certo livello di altre organizzazioni, lo hanno fatto. Sia pure – mi piace ricordarlo – a malincuore. Nel medesimo gruppo inserisco anche coloro che sono rimasti nella mia organizzazione di origine anche quando me ne sono andato io: Enrico Tosini, Massimiliano Forti e Resurrection Jules. Il terzo gruppo è formato di persone che non conosco personalmente ma che si allenano nelle loro rispettive Scuole e lineage con convinzione, dedizione e amore; e che mostrano rispetto nei confronti degli altri lineage e Scuole. Nel quarto gruppo metto quelli dotati di ignoranza tecnica e stupidità caratteriale, in genere direttamente proporzionali ad una buona dose di arroganza infantile. Questi purtroppo esistono, anche se il loro livello tecnico e umano è in grado di impressionare solo i loro (pochi, quando non pochissimi) allievi. Non a caso, credo che costoro nel panorama del WX italiano contino meno di niente, benché si diano un gran daffare a forza di urla e strepiti per far capire che esistono. Ritengo che, per fortuna, gli appartenenti al quarto gruppo siano una sparuta minoranza. Le prime tre categorie godono del mio rispetto, anche se hanno un’interpretazione del WX molto distante dalla mia. Da questa diversa interpretazione deriva anche quello che penso dei loro metodi: non mi permetto di giudicarli.   

Possiamo sapere la differenza tra il tuo Wing Txun e le altre interpretazioni? 

Provo a rispondere riportando le parole di un mio allievo che si allena da 6-7 mesi con me, con un trascorso di 10 anni in seno a due grandi organizzazioni di WX: “La gestione del corpo della Scuola di Rossi, il suo modo di affrontare il tema della mobilità, con tutte le conseguenze che queste cose comportano sul piano tecnico e di visione del combattimento, spalanca al praticante delle ‘finestre logiche’ che prima non solo erano chiuse ma delle quali non si sospettava nemmeno l’esistenza”. Io non mi sento di parlare di differenze, perché il confronto tra queste è possibile quando alla base c’è un impianto comune e quindi le singole differenze sono distinguibili individualmente. Per noi invece l’intera struttura del sistema, dai principi alla gestione del movimento, giù fino alle singole tecniche, si caratterizza in modo così specificamente diverso dal WX che comunemente si vede in giro, da non rendere significativa un’analisi “per differenze”. Ha senso confrontare una tigre con un leone, molto meno con un delfino. Una tecnica nostra non si differenzia dalla tecnica con lo stesso nome ma di un altro stile per l’angolo di contatto o il tipo di passo o la forza impressa ma per come è gestita dal corpo in coerenza con i principi. Quindi, nonostante qualcuno ci dica che noi non facciamo WX ma qualcos’altro, la nostra Scuola si basa con la più assoluta coerenza sui principi tramandati dal WX stesso. Questo credo spieghi anche quanto ho detto prima sull’allenamento di qualità: il nostro modo di muoverci, di attaccare e di difenderci è una conseguenza diretta dell’applicazione logica dei principi. Senza eccezioni. Se uno stile dice di voler evitare la forza dell’avversario, come può accettare gli scontri frontali forza-contro-forza? Qui torniamo al tema dell’allenamento di forza, velocità e aggressività, dove necessariamente prevale chi è più forte, veloce e aggressivo. Noi crediamo che la tecnica conseguente all’applicazione dei principi possa far prevalere anche chi è meno forte, purché sappia come muoversi e conservi la capacità di cambiare-mutare se gli eventi lo richiedono, con la necessaria lucidità mentale. Se proprio devo caratterizzare la nostra Scuola in tre punti, parlerei di a) coerenza con i principi del WX, b) gestione del corpo, c) lucidità mentale. Non per questo rispetto dei principi noi diciamo di fare WX “tradizionale”. Secondo me, come per tutti gli aspetti della vita ciò che è tradizionale deve sapersi evolvere con il tempo e le mutate esigenze. Un WX fermo a 100 anni fa, che si sforzi di replicare il modo originario di applicare i principi, è destinato a fallire. Ciò che non si evolve, arretra. I calciatori di 50 anni fa oggi non vedrebbero palla. Le nuove arti marziali, le MMA, le nuove tecniche di altri stili impongono uno studio continuo e progressivo di quanto si fa. Un WX “non critico” è un WX morto: ciò che si evolve smette ipso facto di essere tradizionale. Io credo nei principi del WX e credo che funzionino. Ma credo altrettanto fortemente che per farli funzionare serva una tecnica che ad essi si ispira e su di essi si costruisce. Se invece la tecnica viene costruita su uno stile ingessato o – peggio – su basi incoerenti con i principi, si hanno dei problemi che poi sfociano nello “studio dell’angolo giusto per il tan-sao” o in certe guardie statiche e – quindi – presuntuose. Uno dei temi recenti del dibattito sul WX è la sua eccessiva staticità. Molte scuole, vecchie e nuove, provano a modificare questo stato di cose, ma quasi tutte a nostro avviso non tengono ancora in sufficiente conto l’aspetto dell’energia complessiva dell’avversario che non è un movimento di 5 cm più a destra o a sinistra a farla evitare. Secondo noi – e qui concludo – serve proprio un nuovo modo di gestire il corpo.   

Quali sono i concetti di combattimento su cui è focalizzata la tua Scuola? 

Il WX nasce come disciplina non agonistica, ma come difesa da strada. Perciò la sua funzionalità deve essere rivolta alle situazioni da strada. A questo proposito, vorrei ricordare quanto mi ripeteva in diverse occasioni un mio amico, campione di Sanda in Russia e detentore di molti titoli a livello internazionale: “Nonostante tutte le situazioni che mi si sono presentate sul ring, se le guardo dal punto di vista mentale, tecnico, psicologico, non ce n’è mai stata una sola che potesse paragonarsi a quello che può accadere in strada”. Con ciò voglio dire che anche un atleta con enorme esperienza di combattimento deve “riprogrammarsi” quando affronta una situazione da strada. Il WX, sotto questo profilo, offre appunto il vantaggio di essere fatto apposta per gestire un confronto senza regole, come accade per strada. Con ciò non voglio assolutamente dire che un esperto di altre arti marziali debba per forza trovarsi impotente per strada: può anzi essere che egli risulti estremamente efficace, devastante e quant’altro ma credo che il confronto di tipo casuale che si può proporre per strada debba essere trattato con un approccio specifico e dedicato, quale il WX può offrire. L’abbigliamento nostro e dell’aggressore, il nostro e il suo stato fisico e mentale, il grado di pericolosità della situazione (noi soli o con qualcuno da difendere), le condizioni logistiche, lo stress sono tutti fattori variabili che devono essere studiati uno per uno e in combinazione per saperli gestire quando si presentano. Devo ammettere che la mia esperienza personale, maturata soprattutto negli anni giovanili a cui ho fatto cenno prima, in cui frequentavo compagnie piuttosto “vivaci” e francamente orientate allo scontro con compagini rivali, mi è servita non poco per analizzare con cognizione di causa la gamma di situazioni che si possono ricreare in uno scontro senza regole. Il mio metodo di insegnamento cerca quindi di tener conto, nel modo più approfondito che una simulazione in palestra rende possibile, di tutti quegli aspetti imponderabili di cui ho parlato sopra. Essi devono assolutamente essere tenuti in considerazione come condizioni “normali”, per non lasciare l’allievo alle prese con un livello di stress ingestibile, tale da impedirgli di reagire con le tecniche che pure può aver imparato correttamente.   

Ci puoi dire qualcosa sulle varie forme, dalla Siu Nim Tau alla Chum Kiu, sino ad arrivare alla Luk Dim Poon Kwan ed alla Bart Cham Dao? 

Le forme della tradizione del WX non corrispondono alla mia interpretazione dei principi, soprattutto per quanto riguarda la gestione del corpo. Per questa ragione, nella mia Scuola non vengono insegnate, mentre invece ne sto introducendo di diverse, coerenti con il nostro modo di muoverci, di gestire la forza dell’avversario, di conservare una capacità reattiva fondata sulla costante presenza dell’equilibrio dinamico. 

Grazie! 

Grazie a te Riccardo, colgo l’occasione per salutarti e farti i migliori auguri per il tuo cammino marziale!