lunedì 28 febbraio 2011

Crescere con la psicologia del confronto

La psicologia del confronto è un settore della psicologia che studia i parametri psicofisici che, in ogni individuo, condizionano l'esperienza di "confronto" dal verbale al fisico. Da tempo questo ramo di studi ha riconosciuto l'ampio valore formativo di tutte quelle Arti Marziali che contemplano, nel loro piano di formazione, lo scambio dinamico di tecniche, sino alle occasioni di sparring. Tali esperienze, attuate in un ambiente controllato come quello di una palestra, saranno propedeutiche all'esperienza di "confronto nella vita". 

Infatti, è noto a coloro i quali si cimentano nelle varie forme di combattimento, quando l'avversario non ti dà tregua o un forte colpo ti spezza sia la forza fisica sia quella psichica, ci si trova in un confronto chiaro e diretto con se stessi, a faccia a faccia con le proprie paure e i propri limiti. Dopo ogni combattimento la realtà improvvisamente cambia aspetto, ogni cosa della vita si ridimensiona e tutto diventa più gestibile. 

Confrontarsi in palestra con un avversario e fare esperienza di ricevere un colpo ben assestato sul viso o al fegato scoprendo d'essere capace di non soccombere sotto il colpo, ma poterlo gestire ed addirittura utilizzarlo per reagire, fa sì che i problemi che prima apparivano insormontabili ed invadenti acquistino improvvisamente un nuovo aspetto più gestibile e meno distruttivo.

Ma come mai avviene ciò, secondo quale equazione psicofisica? In quest'occasione voglio approfondire due punti importanti nelle esperienze di confronto in palestra, che ritengo siano decisivi per ottenere i risultati di crescita sia nelle prestazioni fisiche sia psicologiche dell'atleta. In ogni disciplina marziale è contemplata una o più posizioni di guardia che hanno un duplice valore fisico e psichico. Solitamente la posizione di guardia ha il fine di porre l'atleta in condizioni tali da potersi difendere da qualunque tipo d'attacco, riuscendo, contemporaneamente, ad offendere.

Psicologicamente la posizione di guardia ha il fine di radicare l'atleta al terreno, agevolando lo scarico delle tensioni in eccesso e promuovendo un'adeguata concentrazione su se stesso. Studiando approfonditamente le caratteristiche psicofisiche delle posizioni di guardia è emerso però un limite, spesso espresso dalle stesse parole degli atleti: "...in questa posizione mi sento radicato, ma forse per portare i colpi mi sento come se fossi legato al terreno, come se la posizione di guardia mi limitasse nella possibilità di un'espressione dinamica dell'azione". 

Il passaggio risolutivo per far fronte a tale empasse degli atleti è stato l'introduzione dello spostamento in avanti che accompagna ogni colpo. Fisicamente lo spostamento in avanti si ottiene avanzando con un passo nella stessa direzione della tecnica (o in altre, a 45°, per esempio) e più o meno contemporaneo al nascere dell'azione stessa ("mano tira piede"). La combinazione del passo associato alla tecnica consente di convogliare ed utilizzare la forza prodotta dal peso del corpo in movimento, arrecando cosi al colpo maggiore spinta e potenza di sfondamento. 

Psicologicamente lo spostamento in avanti sul colpo pone l'atleta nella condizione di potersi esprimere sentendo tutta la propria assertività, cioè agendo in modo chiaro e diretto, quindi soddisfacente per se stesso ed incisivo verso l'avversario. Emotivamente esprimersi in modo assertivo, può far giungere la paura spesso inconsapevole di sfondare il proprio confine ed invadere quello dell'altro rimanendone vittima. Superando tale paura con un mirato addestramento, lo spostamento in avanti sui colpi fornisce al praticante un forte senso di soddisfazione legato alla scoperta di "poter osare". 

Molte persone sono bloccate all'idea di "osar avanzare" oltre i confini che sono loro familiari, fare tal esperienza ed ottenere risultati gratificanti, crea nell praticante un substrato di sicurezza in se stesso che poi porterà con sé in ogni esperienza di confronto sia nella vita sia in palestra. Nella mia limitata esperienza di vita ho più volte constatato il grosso senso di frustrazione accompagnato da una rabbia inespressa che provano le persone quando sono colpite dalle frustrazioni della vita quotidiana e non hanno avuto la capacità di reagire adeguatamente ad esse. 

In questi casi il colpo ricevuto sia esso fisico o psicologico diventa insopportabile e molto doloroso, rispetto allo stesso colpo portato con la stessa potenza, ma sapientemente gestito e immediatamente seguito da un'azione di contrattacco. L'individuo, infatti, che scopre di saper utilizare le proprie potenzialità per fronteggiare attivamente i colpi della vita e la possibilità di imparare a reagire in modo produttivo per se stessi, promuove una nuova consapevolezza di se stesso più sicura e gratificante. 

Nelle esperienze di confronto in palestra avviene la stessa cosa che avviene nelle sedute di psicoterapia, si impara a non soccombere sotto i colpi ricevuti ed a reagire alla loro violenza con altrettanta assertività nella risposta. Questo allenamento, come quello della psicoterapia, consente all'individuo-praticante di migliorare la stima per se stesso e soffrire meno per i colpi ricevuti

I due fattori, spostamento in avanti sul colpo e reazione attiva di contrattacco, sono ovviamente collegati tra loro. La loro combinazione armonica crea sia fisicamente sia psicologicamente un risultato vincente e gratificante per l'atleta, che attraverso il "semplice" lavoro di confronto in palestra acquista sicurezza in se stesso, da riutilizzare poi in ogni occasione di vita. Quanto detto però, per essere conseguito nel migliore dei modi, necessita di sempre di un Maestro che sia responsabile del proprio ruolo e sappia riconoscere le qualità sia fisiche sia psicologiche dell'atleta che ha davanti per agevolarne l'integrazione in maniera armonica. Qui sta la difficoltà di molti nel trovare serenità nella pratica...

mercoledì 23 febbraio 2011

Contro l'ego

Il cammino del praticante di Wing Chun è senza dubbio un cammino di rafforzamento interiore ed esteriore, se l'Arte Marziale è vissuta con costanza e dedizione. Sun Tzu dice nell'Arte della Guerra: "Gli antichi guerrieri prima divenivano invisibili e poi si occupavano di sconfiggere il loro nemico". La questione di fondo è chi o che cosa bisogna rafforzare in questo cammino di crescita. 

Chi è l'Io profondo che sta dentro noi stessi? Senza dubbio alcuno tutti voi sarete a conoscenza di più di un caso che prenderò per esempio adesso. Esistono alcuni (erroneamente chiamati) Maestri che si pavoneggiano di se stessi o della loro "Arte" e la utilizzano per sorreggere la messa in scena di un ego afflitto da diversi complessi. Quando un individuo supera i propri limiti attraverso l'allenamento, scopre allo stesso tempo la sua forza e la sua debolezza. Tale lezione non è vana, ma con il passare del tempo viene ricordata solo parzialmente. 

Siamo stati programmati per dimenticare le cose sgradevoli e per guardare avanti. Per questo motivo a nessuno piace ricordare la propria goffaggine nell'affrontare per la prima volta il Chi Sau oppure tutte quelle battaglie perdute contro se stessi o contro altri o, ancora, le volte in cui siamo crollati, anche se per un solo istante, per via della nostra fragilità psicologica.

Non esiste un luogo dove sfuggire alla sofferenza, siamo vulnerabili di fronte al dolore e allo scoraggiamento, al dubbio e all'afflizione. I momenti di pienezza sono rari ai giorni nostri e questa situazione, purtroppo, non cambierà mai, nemmeno con una formula magica o una pergamena d'oro che nessuno vi darà mai e, certamente, nemmeno io. Il massimo a cui aspiro è comunicare la mia esperienza per diffonderla e magari a qualcuno potrà servire in qualche modo. 

Per me esiste solo uno strumento che in condizioni ottimali può sostituire la sofferenza: lo sforzo cosciente, anche se non è di facile attuazione. La goffaggine di fronte al nuovo non ci abbandona mai ed il risultato è la scoperta del punto di partenza della vera saggezza, la consapevolezza della nostra ignoranza e, con essa, della nostra fragilità. 

Dice il grande Sun Tzu: "Colui che conosce se stesso e conosce il suo nemico, in cento battaglie non sarà mai in pericolo". Persine Achille, il migliore tra tutti i guerrieri, aveva un suo punto debole, per non offendere gli dei. La mitologia dunque ci ricorda che la perfezione non appartiene all'uomo. Nonostante questo, l'uomo non si arrende e da sempre si affanna per cercare di arrivarci. Quando i Maestri di Arti Marziali comprendono il vero valore di tale concetto, insegnano il cammino della saggezza, non quello dell'egocentrismo. 

Ogni saggio conosce la forza della vita; ogni uomo di sapere sa anche che questa forza esiste solo come controparte della perenne fragilità. Il praticante di Arti Marziali sceglie quindi di lottare per rafforzarsi, per superare se stesso, ma non si dimentica mai della sua debolezza nascosta sotto una montagna di gratificanti idee sulla propria persona. 

Il Wing Chun è una proposta costante di superamento, perché già nel semplice svolgimento della nostra preparazione troviamo implicito il premio: il superamento dei nostri limiti, l'apprendistato dello sforzo cosciente e sostenuto, il rendersi conto e realizzare in qualche modo il fatto che qualsiasi limite può essere oltrepassato con la volontà.

Il punto di partenza di tale esperienza è conoscerci e saperci vulnerabili; senza tale percezione l'arroganza occupa inesorabilmente tutto lo spazio del nostro essere e con un tale comportamento tutto l'apprendimento è impossibile, tutta l'esperienza della vita è sterile. Coloro che di contro sentono che la loro forza proviene dalla loro stessa debolezza camminano per la giusta via. 

Fondare la nostra esistenza sulla base di poche conquiste, il cui principale valore risiede nella capacità che abbiamo di ripetercele o di raccontarcele amplificate da orpelli scelti appositamente, è veramente un brutto copione per il film della nostra crescita inferiore. Traiamo giovamento dalla pienezza quando approda nel nostro porto. Quando è il dolore a bussare alla nostra porta, guardate sempre più in là, facendolo così vostro alleato nel cammino della conoscenza: visto che deve apparire presto o tardi, che almeno serva da insegnamento. La verità normalmente brucia e punge con il suo duro aculeo, però la sua brezza rinfresca e rinnova le chiuse stanze dell'ego, aprendoci alla vita e al cambiamento.

lunedì 21 febbraio 2011

Psicologia e Arte Marziale

La formazione marziale è un cammino lungo e costante nel tempo, che possiamo paragonare ad un'altalena, se osserviamo le improvvise accelerate e gli inattesi rallentamenti: può durare anche tutta una vita. È come una lunga escursione, il cui panorama cambia continuamente sec­ondo il livello d'ascesa. Colui che pratica le Arti Marziali, coinvolgendo in eguale misura corpo e mente, avrà ripetutamente l'occasione di scoprire continue novità in se stesso, grazie alla pratica e all'approfondimento di un'Arte che, prima ancora di essere un'attività fisica, è una disci­plina di vita.

L'Arte Marziale, infatti, in qualunque disciplina si esprima, è in primo luogo un sistema di vita ed occa­sione di formazione alla vita stessa. È qualcosa che por­tiamo sempre con noi, anche - o soprattutto? - fuori dai contesti d'allena­mento. È per questo che la formazione marziale, se con­dotta con criterio e cura, non può limitarsi all'apprendi­mento sterile di un elenco di tecniche, utile solo a gratifi­care un bisogno di collezionismo insoddisfatto, deve piuttosto consentire la crescita psicologica e fisica dell'indi­viduo, utilizzando come strumento formativo il movimento. Esso, infatti, sintesi dell'espressione fisica ed emotiva (psicosomatica) dell'essere umano, è il veicolo attraverso il quale l'Arte Marziale, come l'arte psicoterapeutica, pro­nuove l'evoluzione creativa dell'individuo.

La valorizzazione delle qualità psicosomatiche deile Arti Marziali, già note al mondo orientale, è oggi sostenuta e rinforzata in Occidente, dai recenti studi di psicologia dello sport, applicata alle Arti Marziali. Questi studi hanno messo in risalto il potere formativo e terapeutico delle Arti Marziali, garantito dalla specificità del loro metodo di for­mazione. Ad avvalorare tale tesi sono stati i risultati, inno­vativi e rivoluzionari, ottenuti dai recenti studi internazionali, che ogni anno vengono presentati al "Congresso della Federazione Europea d'Analisi Bioenergetica e Psicoterapia Corporea".

Credo che da almeno dieci anni sia avvenuto un sostanziale e significativo cam­bio di rotta con lo scambio tra le due arti, marziale e psicoter­apeutica. Si tratta di uno scambio bidirezionale, perché non è più la psicologia che invade il settore marziale, ma finalmente anche l'Arte Marziale si propone in un contesto psicoterapeutico. L'Arte Marziale ha tutte le carte in regola per proporsi come soluzione di sostegno a ter­apie già avviate per i casi più complessi, mentre potrebbe divenire una nuova soluzione, in alternativa alla terapia "classica", nei casi di nevrosi meno gravi e sufficiente­mente adattati alla realtà.

Un istruttore marziale che sia responsabile del proprio ruolo e consapevole che l'oggetto del proprio lavoro è "materiale umano", sa bene di non poter prescindere da una formazione adeguata che vada di là dal diplomino, dalla magliettina o dalla cintura. La formazione marziale, per essere completa ed efficace, deve rispettare alcune condizioni specifiche: deve essere formativa e costante, cioè coinvolgere concretamente nel corpo e nella mente l'intero individuo ed avere cadenza costante nel tempo; deve promuovere la conoscenza, in termini psicologici e fisici, delle qualità e dei limiti d'ogni singolo individuo per ampliare le prime e superare i secondi; deve consentire, attraverso lo studio delle tecniche, la gestione di parametri psicosomatici quali postura, respiro e movimento energetico; deve analizzare in termini sia teorici sia esperenziali quali siano le doti utili ad un leader, secondo i contesti, i gruppi d'allievi e le doti d'ogni singolo istruttore; deve trasmettere i principi base dell'arte dell'insegna­mento ed informare sulle condizioni necessarie perché avvenga l'apprendimento.

Questi sono alcuni degli argomenti che dovrebbero essere alla base di un vero e proprio corso di formazione in psicologia del corpo per diventare istruttori d'Arti Marziali. Purtroppo in Italia questa componente è spesso lasciata in secondo piano, se non completamente rimossa dai corsi di studi. Secondo me, invece, rimane un punto forte da affrontare, soprattutto per una disciplina come il Wing Chun Kuen, dove la psicologia dovrebbe essere sempre messa in primo piano, visto che la si considera spesso un'Arte Marziale "da strada", stando almeno alle pubblicità presenti sul territorio e su internet. Pensare di mettere in mano ad una persona decine di tecniche, senza lavorare sulla sua psicologia è folle.

mercoledì 16 febbraio 2011

Ascoltare il corpo, vivere la comunità

L'esercizio corporeo a pieno contatto con la natura o mediante la capacità di evasione, attraverso la concentrazione e le sensazioni del corpo interiore, permette di liberarsi dalle angustie psichiche generati dai conflitti della vita di tutti i giorni. Penso che questa innegabile realtà, sommata alle numerose sensazioni piacevoli che la dinamica corporea suscita, dia un senso e una dimensione speciali alla nostra dimenticata e maltrattata materia che ci contiene (il corpo). Continuo a battere su questo punto, perché ritengo che nel mondo del Wing Chun ci sia stato un eccesso di smaterializzazione, di ricorso a principi ed idee, a fronte della percezione delle sensazioni corporee, che potrebbero aiutarci a migliorare la pratica e, sicuramente, noi stessi. Possiamo parlare di un eccesso di verbalizzazione e sofisticazione che ha portato ad un allontanamento susseguente dalla pratica fisica fatta di sudore, per esempio.

Ho osservato che, in linea generale, si parla eccessivamente del corpo e delle sue reazioni presenti e future quando si lavora con esso. La gente si sente obbligata a percepire quelle sensazioni che il suo mentore gli suggerisce e, quando non le sente realmente, ossia quasi sempre, si ritiene defraudata o cerca subito di correggere degli errori posturali, degli assetti naturali, senza prima capire il motivo di fondo che li ha portati ad avere dei problemi.

Da un altro lato, si è sofisticato tutto ciò che riguarda il corporale, quando, al contrario, si tratta di una materia semplice, naturale, fondata sullo sforzo e sul sudore. Il controllo e le percezioni corporali, certamente piacevoli, ma pure scomode, vengono ormai concentrate sotto pressione in recipienti, in maratone di un fine settimana o di cinque giorni. Si sta ingannando la gente, dandole una falsa mercanziì, adornata di parole, gesti, ambiente e prezzo, adeguata al desiderio di autogiustificazione e di non sforzo del consumatore. Si stanno trasformando i praticanti in consumatori. Anzi, è stato già fatto!

Stiamo negando il maggiore e più voluminoso conflitto formale della nostra vita: il corpo. Qui comincia il mio attacco, la mia lotta instancabile contro l'inganno e la rivendicazione dell'essere umano attraverso la sua struttura materiale, il suo corpo. Il lavoro corporale non può limitarsi, nel migliore dei casi, a rilevare un conflitto emozionale, l'inibizione dell'aggressività (ad esempio), a parlare all'individuo dell'origine del suo blocco e ad assegnargli poi la parte del leone, per contrasto, affinché reciti e giochi come tale durante esperienze temporali esageratamente brevi.
Per cominciare, poiché l'assegnazione della parte va a definire la sua recitazione successiva, l'individuo va a configurarsi sull'immagine suggeritagli dal terapeuta o dal gruppo. Inoltre, quell'individuo, agnellino nella sua vita per la ruminazione della sua aggressività, è molto possibile che desideri, per esempio, sentirsi e manifestarsi come "agnello adirato", divenendo così più spontanea e sincera la sua recitazione.

Da un altro lato, il corpo, come la mente, in un'unione indissolubile, deve essere esercitato quotidianamente e per tutta la vita, con la finalità di mantenere e di rafforzare l'equilibrio psicosomatico. Ma è necessario non verbalizzare tutto, lasciando da parte i cinque sensi tradizionali, affinché il corpo di ogni individuo comunichi senza parole con i corpi degli altri.

La cosa importante in un lavoro adeguato di dinamica corporea, come quello del nostro Wing Chun, non è ciò che si verbalizza, bensì quello che l'unità corporale di un individuo percepisce dalle altre e comunica loro senza parole, per esempio, durante l'interpretazione di una forma.

Certamente gli obiettivi generali di una lezione di Wing Chun sono: presa di coscienza e coordinazione del corpo, equilibrio psicosomatico e sensibilizzazione dello stesso (comunicazione). Essi coincidono, in un modo più o meno cosciente e voluto, con gli obiettivi individuali dei componenti della comunità, ma spesso è conveniente non spiegare in che momento della lezione si lavori su di essi, con la finalità che il corpo del praticante lo scopra e lo interpreti a modo suo.

Si originano così nella comunità, senza necessità di eccessive verbalizzazioni, forti legami di solidarietà affettiva. La comunità è depositaria di una funzione individuale e comune, il conseguimento dell'equilibrio corpo-mente. La gente che non ha potuto essere presente ha sentito addirittura la mancanza dell'incontro per bere qualcosa in gruppo dopo la doccia, non tanto per la bibita in sé, come si può supporre, bensiìper l'esperienza di vita di quella comunicazione solidale ed integratrice "persino" fuori dal Tatami, dalla sala, dal Kwoon.

Ripeto ancora una volta che l'eccesso di parole rende difficoltoso e occulto il linguaggio corporale. Per tal motivo durante i faticosi allenamenti degli atleti agonisti, si raccomanda loro che parlino, per cercare di inibire le espressioni corporali generate dalla fatica. È pur vero che tutto ciò contribuise a dare una certa impronta alla comunità, oltre ad un processo di autostimolo e di distrazione a livello individuale. Ma a ben guardare, si tratta essenzialmente di esercitare il corpo meccanicamente, senza coscienza di esso e questo non è consigliabile per lo sviluppo dell'equilibrio psicosomatico.

La società, per mediocrità, per complesso d'inferiorità, per invidia e mancanza di decisione a rompere la sua inerzia corporea, per la paura della mancanza di grazia e quant'altro, si difende attaccando coloro che praticano in modo apparentemente incosciente, tanto con le parole quanto con il comportamento e con espressioni come "vieni, non essere stupido, perché perdere il tempo a sudare e a sforzarti, quando lo puoi dedicare a berti una birra o a cercare una ragazza". Hanno dimenticato il bello del sudore e dello sforzo, della
stanchezza e del furore, nonostante la prosaicitá dell'inizio e dell'aspetto fisico dei praticanti per coloro che guardano dall'esterno.
Coloro che sono dentro invece, percepiscono una nuova dimensione di bellezza, percezione, comunicazione e sentimento. Conviene evidenziare il fatto, affinché nessuno si tragga in inganno, che il lavoro corporeo ha le sue esigenze e le sue difficoltà, richiede un piccolo sacrificio, una contropartita in tempo e volontà. Inoltre, quando si pratica da un po' di tempo, può risultare a volte banale, nonostante le piacevoli sensazioni che si percepiscono dopo il riscaldamento e la doccia.
Mi spiego: è qualcosa di simile al mangiare, se abbiamo la sicurezza che ogni giorno, nel sederci a tavola, i nostri alimenti sono sani e abbondanti, raramente ci preoccuperà questo argomento. Basta, però, la minaccia di insicurezza o il ritardo di alcune ore nel mangiare perché un individuo ci pensi ossessivamente.
Questo avviene esattamente allo stesso modo con la dinamica corporea, a volte si trova una persona inappetente, pigra a cominciare e a rompere la prosaica inerzia con il riscaldamento. È sufficiente aver lasciato le lezioni alcuni giorni per sentirsi estranei alle stesse, privi di informazioni e sensazioni individuali e ambientali, impoveriti e a disagio fisicamente e psicologicamente, bisognosi di esercitare nuovamente il lavoro corporeo equilibrato, creativo e arricchitore del Wing Chun Kyun (Eng Chun Kun). Per questo motivo chiedo sempre ai miei ToDai di non perdere le lezioni, se non in casi particolari, perché potrebbero sentirsi "estranei" al rientro.

martedì 15 febbraio 2011

Conosci te stesso

Dopo l'ultimo post sull'equilibrio corpo-mente, Guido Mazzotta (Allievo, amico e compagno di allenamenti) mi ha chiesto di pubblicare lo scritto che segue, nel quale ha voluto condividere con tutti noi i suoi pensieri sull'Arte Marziale e sul rapporto che essa genera con l'Io più profondo dentro di noi. Lascio spazio al caro Pasquale, che ringrazio, come sempre. Buona lettura!

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Dico subito che sono d'accordo, partendo da ciò che hai scritto, che qualunque studio debba cominciare sempre dall'educazione dell'istinto, educazione intesa nella sua accezione etimologica di riscoprire ciò che si ha e, in definitiva, ciò che si è, il famoso "Conosci te stesso" delfico. Non penso necessariamente che questo si debba tradurre in un corpo debole, se non perché in una società come quella odierna la mente viene premiata pù del corpo (sport e veline a parte, naturalmente).

Le Arti Marziali Tradizionali propongono proprio l'unità degli opposti, dove il binomio corpo-mente solo inizialmente è tale. Per mente non si intende la parte di noi preposta alla facoltà di ragionare o di elaborare pensieri di minore o maggiore complessità, ma la parte inconscia di noi stessi, onde conoscerla e integrarla in ogni nostro gesto (non si può essere animali marziali solo per le 2 ore del corso, ma in un certo senso lo si è sempre, proprio perché uno scopo del genere ha senso solo se permanente e se si tratta di uno stato ordinario e non straordinario dell'Io).

Per poterlo fare il piccolo io, fatto di pensieri e di meschinità personali, deve essere in molti casi messo da parte. Questo non è valido sempre, perché il nostro cervello razionale esiste, ci dà certe altre possibilità, compresa quella di farci comprendere che abbiamo bisogno di scendere più in profondita ,dentro noi stessi. In qualche modo è il nostro Virgilio interiore, che ci porta nella parte più profonda di noi stessi, anche se questo in sé e per sé non ci garantisce il raggiungimento del cosiddetto stato di grazia.

Tornando a noi, il cervello, come spettatore esterno di tutto questo, non è il nostro vero Io, anche se fisicamente è parte di noi, un'entità fisica. Sicuramente è la parte del corpo inteso come meccanismo, che lo concepisce, è in grado anche di "disegnare", una volta capito il processo, come meglio possa sfruttare la parte inconscia e di disegnare i drill per mezzo dei quali il mio Io interiore farà esperienza di se stesso.

La mia idea è che non sempre i gesti delle Arti Classiche sono diversi da quelle Sportive, tuttavia potrebbero esserlo, dipendendo dal grado di approfondimento di se stesso raggiunto: le motivazioni interiori del gesto. Il che non è precluso neppure agli sportivi, anzi... Potenzialmente lo possono dimostrare più dei "tradizionalisti". 

Secondo me è ciò che fa la differenza nello sport tra un vero campione e un ottimo atleta. Il problema è che, secondo me, si è confusa l'efficacia reale con la pura performance tecnica, in cui gli sportivi di base sono già superiori e anche meglio allenati, già a bassi livelli!

Efficacia reale non deve essere un termine che si riferisce alle tecniche, ma ad una migliore comprensione di se stessi, ad una comprensione reale di sé che permette di essere l'uomo reale taoista. La tecnica fine a se stessa non esiste nelle Arti Orientali: lo studio delle tecniche serve soprattutto per intraprendere uno studio autoconoscitivo, che ci permette di esperire l'autorealizzazione come essere umano integrato.

Questo tipo di essere umano, questo uomo reale, è già di per sé realmente efficace! Ma la tecnica gli è servita principalmente per conoscersi e per conoscersi nell'azione furibonda (diciamo rettile) e non nella contemplazione (diciamo mammifera)! Dunque le motivazioni sono l'aspetto più interno, Yin, dell'Arte Marziale, fondamentale, soprattutto se si tratta di Arti di origine orientale. Forse anche per molti nostri antenati marziali potrebbe essere stato lo stesso.
 
Molte Arti Orientali spingono a mantenere la calma nel centro dell'azione, come se questa efficacia, efficacia della persona integrata, e questa sua capacità di rispecchiare i movimenti (anche interni), come la luna che si riflette nelle aque calme dello stagno di Hiroshima, derivi da uno stato di calma determinazione, non di collera o di voglia di sopraffazione. Proprio per questa loro qualità le Arti Marziali sono state trasformate, in tempi di pace, in Budo, per via di questa capacità "educativa".

Questa è una delle possibili visioni naturalmente, ma influenza anche il mio modo di allenarmi. Se, dunque, per Arte Marziale intendo il modo di difendersi e di preservare la vita (propria o altrui), piuttosto che abbattere differenti avversari (compreso il possibile avversario sul ring), allora il mio allenamento cercherà di essere conseguente, ma non necessariamente (almeno in apparenza) differente a tutti i costi da quello dello sportivo, che per tanti versi ha molto da insegnarci!

Di base dobbiamo dunque capire da quali motivazioni nasca la voglia di combattere e su quale piano si esplichi, per capire cosa dobbiamo studiare:

1) vogliamo essere forti aumentando il nostro ego?
2) vogliamo essere reali diminuendo il nostro ego?

Mi rendo conto che si potrebbe intravedere un giudizio da parte mia, ma, a ben vedere, non è un giudizio, si tratta solo della scelta mia personale!

Guido Mazzotta

lunedì 14 febbraio 2011

Equilibrio corpo-mente: 禪 in movimento

So per esperienza personale che non si possono fare teorie sul corpo né tantomeno insegnare tecniche di dinamica corporea, senza prima renderlo oggetto di ricerca. Il corpo, al contrario dei limiti che gli sono imposti dal contesto sociale, è capace di ricorrere ai cinque sensi comandati dalla mente - vista, udito, olfatto, gusto e tatto - per giocare, esprimersi o realizzare funzioni più insospettabili come ascoltare, vedere, sentire, pensare e comunicare con altri corpi. 

Il nostro corpo è in grado di percepire il mondo e la vita nel loro contesto, tanto a livello interpersonale che intrapersonale, come a livello semplicemente animale, servendo come mezzo di ricezione ed emissione di sensazioni gradevoli o sgradevoli, sotto un prisma differente a quello fornito dai sensi dell'attività mentale cosciente, più sereno e più ricco di sfumature. 

Basta assistere ad una lezione di Wing Chun Kuen per percepire l'onda, quel qualcosa di speciale che sembra fluttuare nell'ambiente e che permette la comunicazione senza parole. Questo, che per me attualmente è una realtà scontata, non era così chiaro quando cominciai a lavorare con il mio corpo, né le mie motivazioni furono inizialmente la ricerca di questa bella percezione della realtà della vita. 

Sono cosciente di quanto possa sembrare semplice parlare del corpo umano come unità, così come di quanto risulti complesso analizzare ciò che realmente è: un equilibrio energetico-dinamico, somma di innumerevoli equilibri parziali e sul quale qualsiasi modifica di uno di loro si traduce in una alterazione più o meno sostanziale dei restanti con lo scopo di compensare la modifica esterna e minimizzare i suoi effetti.

Se a ciò sommiamo la continua e reciproca interazione mente-corpo, ci troviamo davanti all'impossibilità di determinare la soglia di separazione psico-somatica, nel caso in cui esistesse, di fronte a un campo di esperienze sia intuitive che appassionanti, ma dove la realizzazione di tecniche di dinamica corporea adeguate, come ad esempio la pratica del Wing Chun, fornisce dei risultati sorprendenti nella personalità di chi le realizza.

ll corpo è un libro aperto - per chi conosce il suo linguaggio e i suoi simboli - dove si può leggere non solo la struttura corporea e da essa il carattere e la problematica dell'essere, ma anche quella psichica che, se modificata, si ripercuote sullo stesso atteggiamento corporeo, cambiandolo.

Nel caso concreto del nostro Wing Chun concorre, oltre ad altri aspetti che si svilupperanno a suo tempo, la circostanza di essere una delle discipline corporee che si basano fondamentalmente sull'utilizzo dell'aggressività in modo creativo, approfittando di quell'energia accumulata generata dalle nostre continue frustrazioni nello scorrere quotidiano dell'esistenza e che normalmente si riversa su di noi in modo negativo, rompendo il nostro fragile equilibrio corpo-mente-ambiente esterno.

Tale energia, mediante delle tecniche corrette, può essere concentrata nel basso addome e canalizzata dalla nostra volontà, riversando l'eccesso verso l'esterno e approfittando del resto come energia utilizzabile e creativa, sia per comunicare con gli altri, sia per prendere coscienza di noi stessi. Nella pratica del Wing Chun si impara a sentire e a riconoscere la nostra aggressività attraverso il nostro corpo - così come quella degli altri - a giocare e controllarla; tutto ciò produce una pace interiore e una discreta sicurezza nella vita quotidiana. Non parlo solo in termini di autodifesa, ma, soprattutto, di una capacità di razionalizzare  i problemi che ci vengono incontro.

L'uomo è, in apparenza, una dualità contraddittoria e sorprendente: animale e razionale allo stesso tempo. Questa dualità è stata storicamente dissociata in un modo cosi semplicista come opportuno, aggiudicando alla mente, in esclusiva, il ruolo razionale, e al corpo, sofferta e fastidiosa materia, il ruolo animale che spesso ci spaventa e ci inquieta. Non solo per la mia esperienza personale, ma anche per le osservazioni che ho effettuato su compagni di allenamento e studenti, posso affermare che la distribuzione di questi due ruoli è tanto scorretta quanto arbitraria e opportunista. 

Il corpo e la mente formano un'unità coerente ed indivisibile, si trovano in continua e costante interazione giacchè, in fin dei conti, la materia è energia, pensare e camminare è utilizzare energia che ricaviamo dal corpo o che percepiamo coscientemente o incoscientemente dall'ambiente che ci circonda. Perché allora, quel continuo occultare e negare il nostro corpo, quella tendenza storica che lo rende depositario e responsabile di tutta la nostra mediocrità, quel desiderio di autodistruzione che sembra animarci nei nostri momenti depressivi, quando il corpo può fornirci un numero esagerato di sensazioni gradevoli, oltre a quelle più elementari come sono il sentirsi sano, pulito e bello? Questa lunga domanda, naturalmente, conseguenza dell'arbitraria distribuzione dei ruoli a cui prima ho fatto riferimento, ha una risposta molto semplice, ma allo stesso tempo fastidiosa: lascia libero il tuo corpo, sviluppa tutte le sue possibilità percettive e comunicative, prendi coscienza di lui così come è, non classificarlo nella definizione che ci hanno tramandato, generazione dopo generazione, diamogli in definitiva, quella parte di divinità che gli corrisponde e che gli abbiamo negato, rompiano una volta per tutte, l'assurda dissociazione di una dualità che, se è caratterizzata da qualcosa, non lo è dalla disparità, ma dalla simbiosi. 

Per me il Wing Chun è uno dei modi idonei per il raggiungimento e la restaurazione dell'equilibrio psico-somatico, anche se è necessario dire che non è fondamentalmente un processo terapeutico, ma una profilassi nell'armonia tra energia e materia, che lavora principalmente dal corpo, pur senza dimenticare la mente, né i rapporti interpersonali. 

Il Wing Chun è qualcosa di più di un semplice procedimento di dinamica corporea, è l'essenza del Sim (禪 [chán], meglio conosciuto come Zen, in giapponese) in movimento, poiché nella sua pratica la mente, il corpo e l'azione convergono nello scopo e nel tempo.

sabato 12 febbraio 2011

Strategie

Per il praticante di Wing Chun la parola strategia dovrebbe essere molto importante, ma, spesso, essa si riduce al solo "contro attacco", cioè all'attesa della mossa dell'avversario. Eppure abbiamo una cultura cinese ormai millenaria che ci insegna ad utilizzare le varie Mau Gung (謀攻), le strategie di attacco: basti pensare all'Arte della Guerra di Sūnzǐ (孫子兵法) oppure al testo "I 36 stratagemmi", nuovamente edito in italiano a cura di Gianluca Magi, per esempio.

Leggendo questi testi viene il sospetto che la bellissima Arte del Wing Chun Kuen sia arrivata monca qui da noi, perché pare che sia funzionale soltanto nella corta distanza, a contatto e, soprattutto, come risposta agli attacchi dell'avversario. Eppure sappiamo bene che non è così, visto che ci sono parecchi lineage che studiano la lunga distanza, la presa di contatto, il corpo a corpo (grappling), la media distanza (quella dello striking), la fuga e l'inseguimento dell'avversario.

I punti cardine della strategia dovrebbero essere anzitutto tre: attenzione, adattabilità e fermezza. Mi sembra importante il punto sull'attenzione, perché spesso è unidirezionale, può essere diretta solo in un'unica direzione alla volta. Nonostante la velocità di movimento ci possa indurre ad altre conclusioni, un'attenta osservazione sull'attenzione del praticante durante il combattimento non lascia spazio a dubbi: esistono vari livelli di attenzione non cosciente, come l'attenzione meccanica o l'attenzione automatica, che sono supporti essenziali all'attenzione cosciente. Il primo lavoro da fare se si vuole avere una chiarezza mentale sulle strategie da adottare è l'attenzione. La concentrazione sullo spazio circostante può essere il primo passo.

Una questione importante per capirci è anche avere bene in mente la differenza tra strategia e tattica. La  strategia rappresenta le considerazioni globali di un problema che devono coniugare gli obiettivi politici con gli obiettivi militari La tattica è l'ottimizzazione delle formule per applicare la suddetta strategia. Per ciò che si riferisce all'artista marziale le considerazioni globali si devono intendere come lo sviluppo dell'attitudine. Per tal motivo, nel combattimento o nell'azione la riflessione e l'atto devono essere una cosa sola. Questo perché l'artista marziale deve incorporare in se stesso la perfetta attitudine come la maggiore delle strategie.

Sul modello della perfetta attitudine, i Maestri hanno elaborato differenti formulazioni, sebbene si possano trovare spazi comuni ed elaborare, di conseguenza, le seguente sintesi: attenzione (atteggiamento sveglio e rilassato); adattabilità (non avere schemi d'azione rigidi, flessibilità, trarre il massimo da qualsiasi circostanza, etc.); fermezza (temperamento, serenità, decisione, etc.). Anche se la maggior parte delle Scuole è concorde nel definire queste virtù come le più adeguate, in alcuni stili si insiste su di altre che hanno a che vedere più con le peculiarità culturali che con la ricerca di un modello di sistema efficace. La maggior parte dei Maestri è concorde nel sostenere che la formula ideale è quella che presenta una struttura resistente con funzioni duttili.

Questa capacità di resistenza della struttura deve risiedere in un centro forte e stabile: finisce per essere la condizione indispensabile affinché l'adattabilità possa avere luogo. La maggior parte dei sistemi la distinguono chiaramente dalla rigidità, che rende il corpo e la mente totalmente passivi, in attesa degli eventi. Con una buona struttura e con un centro forte e stabile si può pensare di rapportarsi all'altro senza il timore di essere spazzati via.

È la serenità, il temperamento dello spirito ed il corpo del praticante quello che ci interessa. Da questi tre elementi proviene il prudente utilizzo della bravura, il naturale contenimento dell'energia, che traspare e si manifesta nel potere che fluisce, che emana dalla presenza del praticante. Lo sviluppo di queste virtù è una delle conquiste dell'allenamento cosciente dell'atleta; un allenamento che richiede sia l'azione che la riflessione critica sul proprio lavoro.

L'ottimizzazione dell'attenzione consiste nel concentrarsi in un punto che agirà come referente e che permetterà di liberare l'attenzione cosciente affinché si mobiliti rapidamente dove può essere richiesta. Esempi per l'applicazione di questa formula li possiamo sin dalla Siu Nim Tau, nella quale si raccomanda di fissare lo sguardo orizzontale, per poter avere una visione d'insieme (anche periferica) del corpo dell'avversario - ovviamente dopo il proprio, allo specchio -.

Pensiamo alle armi da taglio: non bisogna prestare attenzione alla punta, ma all'impugnatura, poiché questa indica la possibile direzione degli attacchi, etc. Si rischia, altrimenti, di guardare il dito e non la luna... Per ciò che concerne l'adattabilità, possiamo constatare che tutti gli stili tendono a sottolineare la sua importanza, alla sua applicazione, le distanze crescono in maniera particolare.

Il fatto di non avere schemi d'azione rigidi entra, in molti casi, in contraddizione con l'applicazione eccessivamente rigida delle formule che ogni stile prepara per reagire di fronte alle differenti possibilità di difesa-attacco, anche se l'adattabilità, in questo caso, si può interpretare più come un'attitudine o una disposizione dello spirito del praticante che gli permettono di trarre il massimo da qualsiasi circostanza si presenti. 

venerdì 4 febbraio 2011

Interview with Shawn Obasi

Today we meet Shawn Obasi, a Master of Wing Chun, SiFu Jose Grados' ToDai and founder of Wing-Jitsu, who write on his Facebook: "I am here to assist, benifit, promote, support and encourage the cultivation of Wing Chun Kung Fu. My intentions are to simply convey to the world that Wing Chun can be applied in the ring, cage and the streets". [Ringrazio Fabio Ciolli per avermi aiutato nel formulare le domande]

 When did you start Martial Arts and why?

I stared training martial arts when I was 19. The main reason why I started martial arts was for self defense. Since I was a child I found martial artist to be the most admirable people.

Who were your teachers in the past?

I have studied with Sifu Grados, Randy Williams, Raul Ortiz [the man whom is responsible for starting me off by teaching me Kung Fu] and Gerald Doxen.

With who do you study Wing Chun with now?

I study with Sifu Grados privately, however recently I have been given the blessing of my Sifu for me to open my own school. I am now focusing on my way of fighting Wing-Jitsu which stems from Wing Chun and Brazillian Jiu Jitsu. I am currently an active student at Alliance Jiu Jitsu where I study under professors Fabio Clemente, Babs Olusanmokun and Lucas Lepri. I will also take time to meand train with various Wing Chun Masters around the world in order to add to the knowledge I have already attained.

When did you decide to start fighting in mma match? What were your incentives?

I first stepped into an mma match in 2004. At the time there were no monetary incentves since I was fighting for free. The only incentives I could say would b knowing if what I had learned could be applied in actual combat.

You are one of the few practitioners of Wing Chun in the world that has decided to compete in mma. Why do you think so few Wing Chun practioners want to engage in a fight?

I can't speak for everyone but fear could be one of the reason. Fear of losing fear of realizing that all they have learnt was not applicable against other styles. Fear of being hurt...etc I think most of Wing Chun  practitioners don't learn Wing Chun for mma. Some for self-defence, some for exercising, and other reasons but to fight in mma. I see elder practitioners who learn Wing Chun and they are in great shape. I dont expect them to fight in mma, you know.
Tell us about your record, the match as amatuer and a proffesional and those upcoming events?

As an amatuer I have a record 6-2 both as mma grappling matches. I lost my first 2 matches in 2004 and early 2005 but have not lost a fight since then both within controlled events or in the streets. As a proffesional I am going to make my pro debut fighting for the light heavy weight championship belt of Brick City Fighting Championships. Shortly to be announced.
How many hours do you train a day? Would you describe one of your normal weekly routine of training in preparation for a match? 


Varies on a day to day basis but I try to train at 6-8 hrs a day. If I can 10-12 hrs. I tran at Alliance Jiu Jitsu twice a day morning and night. In between I also go to the gym and work of cardio and some strength and conditioning. In my home gym I work on the wooden dummy, perform iron training of the limbs as well as practice ope hand forms. Now I try to have fighters from various styles to work with depending on the style of the opponent I will face.
In view of an mma match how much time do you devote to traditional (dummy, weapons, chi sau) and the integration with oher methods of combat?
In prepration for a match I focus more on cardio and grappling because these are most important to survive in an mma match especially since most fighters don't want to excange blows standing with me so they resort to grappling.
What methods of training and sparring do you think might be useful to those Wing Chun practitioners not intending to fight in a cage?
I think the methods of Wing Chun training and sparring are fine if they only look to fight other Wing Chun practitioners or styles of Kung Fu. However in reality the issue of take down defence needs to be focused on in more detail so that the style won't become obsolete.
We know that many practitioners of Wing Chun focus their goals on defense. Do you think that there are difference between a cage fight and a street fight?
Of course. In a real fight anything goes. I have bever been in a real fight that has lasted more than 2 minutes. With bare knuckles the effects are devastating.
What do you think the statements of Joe Rogan's argument that the traditional Wing Chun and other styles simply doesn't work?
I somewhat agree with him. Until someone proves him wrong it will be forever looked down upon by the more dominate striking style of mma such as Boxing and Muay Thai.
What do you think of other Sifu's and their teaching methods, other associations and families of Wing Chun?
I was a member of Randy Williams CRCA for a short period however due to the long distance I wasn't able to continue training with him. In that short period of time I learnt a lot about Wing Chun but more so I learnt about myself as a martial artist. I am open and respect the teachings of various Wing Chun Sifus. However I realize many Sifus are extremely egotisticle and filled with fear and this is why out of all martial art styles the Wing Chun community is most divided.
Different Kwoons battling each other with hateful words. It really is sad. To each his own; why can't this concept be followed while still sharing among each other. We must end the wars. We must strive for peace.

What are the fighting concepts that are focalized on in your School?

I am currently in the process of building my own organization to be called Obasi Wing-Jitsu association of mixed martial arts. The fighting concepts are that of Wing Chun standing and the submissions of BJJ on the ground. The style will also focus on wrestling and take down defense.