Dopo l'ultimo post sull'equilibrio corpo-mente, Guido Mazzotta (Allievo, amico e compagno di allenamenti) mi ha chiesto di pubblicare lo scritto che segue, nel quale ha voluto condividere con tutti noi i suoi pensieri sull'Arte Marziale e sul rapporto che essa genera con l'Io più profondo dentro di noi. Lascio spazio al caro Pasquale, che ringrazio, come sempre. Buona lettura!
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Dico subito che sono d'accordo, partendo da ciò che hai scritto, che qualunque studio debba cominciare sempre dall'educazione dell'istinto, educazione intesa nella sua accezione etimologica di riscoprire ciò che si ha e, in definitiva, ciò che si è, il famoso "Conosci te stesso" delfico. Non penso necessariamente che questo si debba tradurre in un corpo debole, se non perché in una società come quella odierna la mente viene premiata pù del corpo (sport e veline a parte, naturalmente).
Le Arti Marziali Tradizionali propongono proprio l'unità degli opposti, dove il binomio corpo-mente solo inizialmente è tale. Per mente non si intende la parte di noi preposta alla facoltà di ragionare o di elaborare pensieri di minore o maggiore complessità, ma la parte inconscia di noi stessi, onde conoscerla e integrarla in ogni nostro gesto (non si può essere animali marziali solo per le 2 ore del corso, ma in un certo senso lo si è sempre, proprio perché uno scopo del genere ha senso solo se permanente e se si tratta di uno stato ordinario e non straordinario dell'Io).
Per poterlo fare il piccolo io, fatto di pensieri e di meschinità personali, deve essere in molti casi messo da parte. Questo non è valido sempre, perché il nostro cervello razionale esiste, ci dà certe altre possibilità, compresa quella di farci comprendere che abbiamo bisogno di scendere più in profondita ,dentro noi stessi. In qualche modo è il nostro Virgilio interiore, che ci porta nella parte più profonda di noi stessi, anche se questo in sé e per sé non ci garantisce il raggiungimento del cosiddetto stato di grazia.
Tornando a noi, il cervello, come spettatore esterno di tutto questo, non è il nostro vero Io, anche se fisicamente è parte di noi, un'entità fisica. Sicuramente è la parte del corpo inteso come meccanismo, che lo concepisce, è in grado anche di "disegnare", una volta capito il processo, come meglio possa sfruttare la parte inconscia e di disegnare i drill per mezzo dei quali il mio Io interiore farà esperienza di se stesso.
La mia idea è che non sempre i gesti delle Arti Classiche sono diversi da quelle Sportive, tuttavia potrebbero esserlo, dipendendo dal grado di approfondimento di se stesso raggiunto: le motivazioni interiori del gesto. Il che non è precluso neppure agli sportivi, anzi... Potenzialmente lo possono dimostrare più dei "tradizionalisti".
Secondo me è ciò che fa la differenza nello sport tra un vero campione e un ottimo atleta. Il problema è che, secondo me, si è confusa l'efficacia reale con la pura performance tecnica, in cui gli sportivi di base sono già superiori e anche meglio allenati, già a bassi livelli!
Efficacia reale non deve essere un termine che si riferisce alle tecniche, ma ad una migliore comprensione di se stessi, ad una comprensione reale di sé che permette di essere l'uomo reale taoista. La tecnica fine a se stessa non esiste nelle Arti Orientali: lo studio delle tecniche serve soprattutto per intraprendere uno studio autoconoscitivo, che ci permette di esperire l'autorealizzazione come essere umano integrato.
Questo tipo di essere umano, questo uomo reale, è già di per sé realmente efficace! Ma la tecnica gli è servita principalmente per conoscersi e per conoscersi nell'azione furibonda (diciamo rettile) e non nella contemplazione (diciamo mammifera)! Dunque le motivazioni sono l'aspetto più interno, Yin, dell'Arte Marziale, fondamentale, soprattutto se si tratta di Arti di origine orientale. Forse anche per molti nostri antenati marziali potrebbe essere stato lo stesso.
Molte Arti Orientali spingono a mantenere la calma nel centro dell'azione, come se questa efficacia, efficacia della persona integrata, e questa sua capacità di rispecchiare i movimenti (anche interni), come la luna che si riflette nelle aque calme dello stagno di Hiroshima, derivi da uno stato di calma determinazione, non di collera o di voglia di sopraffazione. Proprio per questa loro qualità le Arti Marziali sono state trasformate, in tempi di pace, in Budo, per via di questa capacità "educativa".
Questa è una delle possibili visioni naturalmente, ma influenza anche il mio modo di allenarmi. Se, dunque, per Arte Marziale intendo il modo di difendersi e di preservare la vita (propria o altrui), piuttosto che abbattere differenti avversari (compreso il possibile avversario sul ring), allora il mio allenamento cercherà di essere conseguente, ma non necessariamente (almeno in apparenza) differente a tutti i costi da quello dello sportivo, che per tanti versi ha molto da insegnarci!
Di base dobbiamo dunque capire da quali motivazioni nasca la voglia di combattere e su quale piano si esplichi, per capire cosa dobbiamo studiare:
1) vogliamo essere forti aumentando il nostro ego?
2) vogliamo essere reali diminuendo il nostro ego?
Mi rendo conto che si potrebbe intravedere un giudizio da parte mia, ma, a ben vedere, non è un giudizio, si tratta solo della scelta mia personale!
Guido Mazzotta
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