lunedì 31 agosto 2009

Taoismo e Wing Chun

Il Wing Chun è un’applicazione diretta e molto evidente dei concetti sviluppati da alcune delle più importanti correnti di pensiero dell’antica cultura cinese. Questo gli dà delle caratteristiche singolari nel panorama delle arti marziali e penso sia utile parlarne.

Se vogliamo andare alla ricerca delle radici culturali dalle quali nacque il Kung Fu e, nello specifico, il Wing Chun, penso che il primo testo cui fare riferimento sia certamente costituito dall’I Ching, “Il libro dei mutamenti”, che include alcune tra le più antiche tracce scritte lasciateci dalla cultura cinese.

L’altro importante riferimento è sicuramente il primo taoismo, corrente di pensiero sviluppatasi intorno al IV secolo avanti Cristo nel “periodo degli Stati combattenti”, che fu detto anche “il periodo delle Cento Scuole”. Quindici secoli più tardi - circa novecento anni fa - il neo confucianesimo, sistema che unì Buddhismo e Taoismo al Confucianesimo, portò avanti in vari modi il concetto di “principio supremo” o Tai Ji, che ci dovrebbe essere familiare…

Vorrei illustrare sia pure in modo incompleto ed affrettato le relazioni del Wing Chun con il primo Taoismo. Farò per questo riferimento ad alcuni passi del “Libro della Via e della Virtù”, testo fondamentale del Taoismo attribuito a Lao Tzu. Probabilmente corro il rischio di banalizzare una materia non semplice, ma proverò a non scrivere ovvietà.

In ordine logico, il primo principio da ricordare tra quelli espressi da Lao Tzu è il riconoscere i cambiamenti ciclici e continui che avvengono nel mondo naturale, principio già enfatizzato dall’I Ching. Dice Lao Tzu: “L’Essere ed il non essere si generano l’uno con l’altro; il lungo ed il corto si formano l’uno dall’altro; l’alto e il basso si invertono l’un l’altro. Ciò che è piegato diventa intero, ciò che è tortuoso diventa diritto, ciò che è vuoto diventa pieno”.

Nel pensiero taoista a questo principio si unisce la considerazione per cui le nostre relazioni con noi stessi e con il mondo che ci circonda hanno un ruolo essenziale. Quello che noi compiamo, quello che riusciamo a essere, dipende sostanzialmente da queste relazioni. La questione fondamentale riguarda perciò il modo con cui i nostri cambiamenti debbono rispondere ai cambiamenti delle cose e delle persone con cui interagiamo. Se il mondo intorno a noi cambia ciclicamente, quale deve essere il comportamento del saggio?

Secondo il pensiero taoista dobbiamo lasciare compiere i mutamenti che non dipendono da noi, assecondandoli e cercando di trarne vantaggio al momento opportuno. “Se si forzano le cose, si va contro il loro sviluppo naturale e le si perde”. Questo è il cosiddetto principio del Wu Wei, letteralmente tradotto come “non agire”. In breve, secondo Lao Tzu, “il saggio compie senza ‘azione’ (senza opporsi ai cambiamenti)”.

Il “non agire” non va inteso, quindi, nel senso di una completa passività, ma nel non opporsi, nel non fare resistenza. Come è stato detto da un famoso traduttore dei testi classici cinesi (Man Jan Cheng, letto nella traduzione di Tam Gibbs, da cui sono prese le citazioni dal testo di Lao Tzu riportate) “il Wu Wei è l’arte di padroneggiare le circostanze senza opporre loro resistenza; è il principio di schivare una forza che si abbatte su di voi in modo che non possa colpirvi”.

Il consiglio di Lao Tzu è quello di cambiare in modo complementare ai cambiamenti di ciò con cui siamo in relazione, in una mutua alternanza: essere deboli contro la forza, essere forti contro la debolezza. Diminuire quando ciò con cui interagiamo si ingrandisce; ingrandirsi quando esso diminuisce. Dice Lao Tzu: “Se si vuole estendere, bisogna innanzitutto restringere. Se si vuole rafforzare, bisogna innanzitutto indebolire. Se si vuole prendere possesso, bisogna innanzitutto offrire”. Questo è quello che si chiama una visione sottile: il molle ed il debole vincono il duro ed il forte.

Nella guerra, cercare di opporsi al nemico quando è forte sarebbe dannoso e non utile. Per avere il sopravvento, bisogna cogliere le occasioni in cui egli è debole. Il principio del “non fare resistenza” ci richiede di essere flessibili per assecondare i mutamenti altrui, siano essi di espansione o di recessione, adattandoci ad essi. Lao Tzu riconosce che in natura la flessibilità è segno di vitalità: “Quando nasce l’uomo è tenero e debole; quando muore, è duro e rigido. I diecimila esseri, piante ed alberi, durante la vita sono teneri e cedevoli; quando muoiono sono secchi ed appassiti. Perché ciò che è duro e rigido è servo della morte; ciò che è tenero e debole è servo della vita. Se un albero è troppo rigido, si spezza. Ciò che è duro e rigido, è posto in basso; ciò che è tenero e debole è posto in alto”.

Per il Taoismo il simbolo più efficace del “non agire” e della flessibilità è rappresentato dall’acqua, che è con evidenza priva di rigidità e disposta ad adattarsi ad ogni situazione nella quale può trovarsi ma è pure capace di penetrare dovunque. Quante volte vi sarà stato detto, durante gli allenamenti, che bisogna essere come l’acqua? Ecco, il senso sta tutto nella visione taoista. Come dice Lao Tzu, “la bontà suprema è come l’acqua. La bontà dell’acqua consiste nel fatto che essa reca profitto ai diecimila esseri senza lottare. Essa resta nel posto più basso, che ogni uomo detesta”.

“Niente al mondo è più molle e debole dell’acqua, ma nel combattere ciò che duro e forte, niente può superarla – continua Lao Tzu -. Così io so che il non agire (il non essere rigidi) ha il sopravvento. Il segreto del successo sta anche nell’essere tempestivi nelle proprie reazioni al cambiamento al fine di ‘intervenire sul piccolo’”.

Quando siamo soliti praticare il Chi Sau in maniera molto morbida e rilassata, diciamo che ci serve per “sentire” o per “percepire” la minima forza dell’avversario e per assecondarla. Il principio taoista esposto da Lao Tzu penso che vada a pennello: “Percepire ciò che è debole vuol dire avere la visione. Ciò che non è apparso si previene facilmente. Ciò che è minuto si disperde facilmente. Agisci prima che qualcosa sia; crea l’ordine prima che ci sia il disordine”.

Per riconoscere al loro nascere i cambiamenti del mondo che ci circonda è necessario “unirci” ad esso e mantenere un continuo ed attento contatto. Occorre cioè ascoltare con continuità ed essere capaci di interpretare. Lao Tzu dice: “Veglia sull’inizio come sulla fine; allora nessun affare rovinerà”.

Nulla di tutto quello che è stato indicato potrebbe essere applicato con successo se non si riuscisse a trovare la propria unità di mente e di corpo ed a sentirsi senza paura parte del mondo che ci circonda, dimenticando se stessi e liberandosi da ogni rigidità e tensione. Questi, che sono anche i principi della meditazione taoista, sono enunciati così da Lao Tzu: “Aggrappandoti all’unità con la tua anima spirituale e la tua anima corporale puoi impedire che si separino? Ripulendo il tuo specchio oscuro (cioè la tua mente), puoi renderlo senza macchia?

Raggiungi il vuoto estremo e conserva una rigorosa tranquillità. Così, mentre i diecimila esseri tutti insieme si dibattono attivamente, io contemplo il loro ritorno nel nulla. Tornare alla radice si chiama la tranquillità; ciò vuol dire deporre il proprio compito (i propri interessi immediati)”.

Credo che di citazioni di Lao Tzu ne abbiate abbastanza (mi fermo qui), trascurando tra l’altro la sua attenzione alle energie interne ed al modello dell’infante (vedete i punti 10 e 55 del testo). Va comunque segnalato che alcune parti del testo di Lao Tzu possono essere difficilmente accettate, poiché sono in contrasto con principi morali e civili che sono i fondamenti della nostra società, ma anche il Wing Chun è una scelta di vita.

Una straordinaria somiglianza tra i principi del primo taoismo e quelli del Wing Chun si vede quando si chiede di raggiungere l’unità di corpo e di mente, liberandosi da rigidità e tensioni fisiche e mentali e concentrando l’attenzione su ciò che si sta facendo, imparando a cambiare in modo flessibile e cedevole, ascoltando per conoscere se stessi e gli altri, accompagnando in modo complementare i cambiamenti dell’avversario e cogliendo le opportunità che egli offre, cedendo quando egli avanza ed avanzando quando egli indietreggia, reagendo con tempestività quando i suoi cambiamenti stanno per manifestarsi. Mi pare che siano principi ben noti a chi pratica questa arte marziale e che permettono, come dice Lao Tzu, che il debole vinca il forte.

Una seconda considerazione è che dopo tanti secoli l’utilità di questi principi in vari settori dell’attività umana - dalla condotta di operazioni militari alla politica ed al governo delle aziende - è sempre più riconosciuta dagli esperti di queste discipline. La loro validità appare evidente anche in molte occasioni - non tutte quelle possibili – della vita quotidiana. In generale, applicando i principi del taoismo adottati dal Wing Chun e concentrando l’attenzione sulle nostre relazioni con il mondo che ci circonda, senza resistere ai cambiamenti che non riusciamo a controllare, possiamo impiegare al meglio le nostre capacità ed al contempo proteggerci da molti stress ritrovando calma e tranquillità, con benefici effetti anche sulla nostra salute.

Un importante esempio è costituito dalle nostre interazioni con altre persone. Ascoltare i nostri interlocutori con attenzione per conoscere le loro motivazioni, invece che resistere “chiudendoci” o allontanarci, ci mette già in una situazione di potenziale vantaggio. Se riconosciamo degli interessi comuni, possiamo coltivarli al meglio delle nostre possibilità. Se viviamo una situazione conflittuale, la calma con la quale possiamo gestirla seguendo gli impulsi delle nostre controparti invece di resistervi, ci permette di trarre vantaggio dei loro punti di debolezza. In ogni caso possiamo avere relazioni interpersonali più efficaci di quanto potremmo fare altrimenti.

In breve, il Wing Chun può essere anche una scuola di vita che ci insegna a difenderci dalle nostre reazioni emotive ed a cambiare utilmente i nostri comportamenti abituali. Certamente non è necessario leggere Lao Tzu per praticare correttamente il Wing Chun. Una delle caratteristiche di questa arte marziale è tuttavia l’essere una sorta di finestra dalla quale ci si può affacciare su una cultura che ci viene da lontano, nel tempo e nello spazio geografico, ma che ha un significato universale ed è di grande modernità per molti aspetti della nostra vita. Questa è un opportunità che è a vostra disposizione. Oltre al testo di Lao Tzu, possono essere utilmente letti Chuang Tzu, che è anche molto piacevole dal punto di vista letterario, e l’Arte della Guerra di Sun Tzu, per entrare appieno nell’alveo del fiume in cui scorre il nostro Wing Chun.

sabato 29 agosto 2009

Il Tao come stile di vita VI

Avendo ricevuto parecchie richieste di chiarimenti circa il Taoismo, mi pare giusto dedicare un post ad un riassunto generale di quanto detto finora, con qualche nota sui due libri più importanti.

Il Taoismo deve la sua grande fama ad uno dei maggiori filosofi cinesi, Lao Tze (letteralmente “Antico Maestro”), il quale visse tra il VI e il V secolo avanti Cristo. Lao Tze è l’autore del Lao Ci, successivamente chiamato Tao Te Ching (“Il libro della via e della virtù”), dove raccolse le sue più importanti riflessioni. Insieme alle opere di Chuang Tzu e Lieh Tzu, fra tutti i classici del Taoismo, il Tao Te Ching rappresenta il testo più importante.

La “dottrina” taoista, se così possiamo chiamarla, nacque sulla base di presupposti magico-religiosi: comprende alcune regole di comportamento (alimentari, igieniche, respiratorie, sessuali, etc.) di derivazione sciamanica, certamente provenienti da una cultura precedente, probabilmente molto più antica dalla stessa di Huang Ti. Attorno a questi presupposti magico-religiosi si è sviluppata la filosofia taoista, alla base della quale vi è un ideale di vita incentrato sull’autonomia dell’individuo, sulla libertà, sulla gioia e sul rapporto con la natura.

Il Taoismo filosofico attribuisce i mali del mondo ai condizionamenti culturali che hanno allontanato l’Uomo dalla sua vera essenza, quella più legata alla natura, indebolendo il suo “spirito vitale”. Gli intralci creati dalla cultura devono quindi essere eliminati. Per far questo l’individuo deve ritornare ad uno stile di vita “primordiale”, “naturale”, più sano, più puro e più armonico rispetto ai ritmi che scandiscono il divenire naturale all’interno dell’universo.

Una delle caratteristiche fondamentali della natura è l'alternanza tra Wei e Wu Wei, tra Azione e Non-azione. Dal concetto di Wu Wei deriva quello del “Grande Termine” nel quale l’indifferenza alle cose del mondo, il silenzio e la quiete regnano sovrani. Sulla base della dicotomia Wei-Wu Wei, il Taoismo tenta di dare una descrizione e una spiegazione delle meccaniche che stanno alla base del divenire universale, dell’esistente e dei suoi mutamenti. Alla base di queste meccaniche vi è il Tao, all’interno del quale vive il Te (la virtù, il potere), una forza inattiva e priva di scopo che si identifica con il Tao stesso.

Il Tao è strettamente connesso con i concetti di Yin e Yang, (già presenti, anche in maniera intuitiva, nel libro dell’I Ching) e, come abbiamo visto (I, II, III, IV, V), potrebbe essere tradotto come “Via”, “Cammino” o anche come “Corso naturale delle cose (o degli eventi)”. Sono tutte parole e frasi riferite al principio del divenire, che sta alla base di ogni evento universale, un vero e proprio flusso vitale, il quale, scorrendo, produce e trasforma la realtà di ogni essere animato e inanimato.

La funzione fondamentale del Tao è dovuta all’azione combinata delle due forze che stanno alla base del divenire delle cose: lo Yang (il moto, il maschile, l’attivo, il bianco) e lo Yin (la quiete, il femminile, il passivo, il nero).

Per quanto riguarda l’I Ching, può essere letteralmente tradotto come “Il Libro classico sul mutamento”. Il testo è scritto secondo la tradizione cinese di quattromila anni fa ed è il più antico libro sapienziale mai scritto. I segni lineari alternativamente interi e spezzati disegnano i mutamenti attivi tra cielo e terra, spiegano le stagioni e i fatti umani in linguaggio simbolico e compilano un’esatta aritmetica del divenire.

L’I Ching è codificato sotto precise regole matematiche, come nella fedele tradizione taoista. Esso è il manifestarsi della Via stessa, dell’evolversi continuo del mutamento. Il testo, spesso di carattere oscuro, diviene chiaro seguendo le precise indicazione taoiste e interpretando l’alternarsi continuo delle linee, così che l’I Ching, pur non prevedendo il futuro, dà modo di capire come una qualunque situazione possa evolversi e, allo stesso tempo, dà indicazioni per far sì che tali situazioni divengano, nel mutamento, favorevoli per noi. Quindi l’I Ching non è un oroscopo sulla fortuna, come ho letto altrove, ma un consiglio su ciò che sarebbe opportuno fare in una determinata situazione.

La consulenza dell’I Ching può avere una durata variabile, dal momento che gli stessi segni e simboli con cui esso risponde possono avere infinite spiegazioni riconducibili, dopo acuta analisi, alla risposta vera e propria. La scienza filosofica e matematica che questo testo racchiude in sé è stata tramandata da generazioni di padre in figlio e da maestro a discepolo. È stata usata per più di quattromila anni nella cultura cinese, mentre in quella occidentale la consapevolezza della saggezza dell’I Ching inizia ad entrare in scena con lo studio che il matematico Willhelm Leibnitz (1646- 1716) portò avanti sul testo. Ritenne di aver individuato un “nuovo” sistema di numerazione basato su principi diversi da quelli fino ad allora utilizzati: il sistema binario, che ora è la base sulla quale è possibile l’utilizzo dei computer e delle tecnologie affini.

Il pensiero taoista prende le mosse dall’I Ching, fondendosi con esso fin dall’antichità. Per questo, per intuire, interpretare e capire l’ I Ching è necessario conoscere la tradizione taoista, così sottile ed enigmatica, antica e moderna, idealistica e pratica.

Ancora due parole sullo Yin e sullo Yang. La filosofia taoista vede l’intero cosmo quale manifestazione del Tao, principio fondamentale che è centro, motore e scopo di ogni elemento, onnipresente ma impercettibile e indefinibile. Il Tao viene raffigurato anche come un cerchio suddiviso in due identiche ma opposte metà sinusoidali, una di colore bianco e una di colore nero con al loro interno un piccolo seme del colore opposto, che rappresentano lo Yin e lo Yang: è la raffigurazione del principio della creazione da cui tutto nasce.

Ogni espressione della natura ed ogni essere vivente sono emanazioni del Tao, che si manifesta attraverso una forza di trasformazione: il Ch’i, soffio vitale, vibrazione vitale dell’universo presente in ogni manifestazione della natura e nell’uomo, espressione dell’attività dinamica di due polarità primordiali opposte ma complementari dette, appunto, Yin e Yang.

La metà di colore nero, con il seme bianco al suo interno, è lo Yin: rappresenta l’aspetto femminile, ricettivo, interno, freddo, oscuro di ogni fenomeno; la metà bianca con il seme nero rappresenta il principio opposto e complementare, lo Yang: questo rappresenta l’aspetto maschile, creativo, esterno, caldo e luminoso. Le due polarità non sono entità materiali, non esistono singolarmente e si completano trasformano vicendevolmente.

Tutte le cose hanno due aspetti Yin e Yang. Ogni aspetto può essere a sua volta diviso in due parti Yin e Yang. Questi si creano vicendevolmente e si controllano vicendevolmente. Lo Yin e lo Yang si trasformano l’uno nell’altro, perché l’uno contiene anche l’altro.

giovedì 27 agosto 2009

Il Tao come stile di vita V

Il sangue, invece, parte dal cuore, carico di sostanze vitali e attraverso arterie, capillari e vene torna al punto di partenza, privo di esse. Durante la fase dell’inspirazione avviene un processo per cui l’aria entra in contatto con il sangue; gli cede ossigeno e lo arricchisce nuovamente di quelle sostanze perse, preparandolo al ciclo successivo. È importantissimo quindi che l’ossigeno si leghi al sangue in maniera adeguata e sufficiente, perché più viene assorbito e tanto più miglioreranno le funzioni dell’intero organismo. Questo si spiega col fatto che l’ossigeno ha il compito di depurare il sangue ed alimentarlo di nuove sostanze. Pertanto, se l’apporto di aria nei polmoni risulta inadeguato, non avviene una completa depurazione e parte delle scorie ritorna in circolo. All’accadere di ciò, l’organismo ne soffre ed accelera il suo processo di invecchiamento: questo si spiega col fatto che poco ossigeno, legandosi con l’emoglobina del sangue, non permette una ottimale rigenerazione delle cellule.

A questo punto, risulta logico che una sana e corretta respirazione agisce in modo estremamente positivo, determinando, oltretutto, un sensibile sviluppo della capacità estensiva, contrattiva ed elastica della muscolatura e degli organi in genere. Il respiro, come spiegato, è un’operazione complessa. Nell’ambito di questa, è opportuno soffermare l’attenzione sul fatto che durante il suo ciclo, oltre le azioni già menzionate, avviene anche il contatto energetico e vitale con la sostanza vibrante dell’universo ovvero con l’essenza della vita stessa.

Le principali tecniche di respirazione tendono infatti ad aumentare e favorire l’assimilazione di ossigeno a livello polmonare e nei tessuti, con un fine quindi altamente positivo. Così, alla normale fase di inspirazione ed espirazione, si aggiunge la fase intermedia, l’intervallo di “ritenzione” del respiro, durante la quale l’ossigeno stesso poteva essere più a fondo assimilato.

Le tecniche che a noi interessano sono due: quella detta semplice e quella a narici alternate, che fu appositamente studiata per poter manipolare singolarmente o insieme le due forza Yin o Yang. Analizziamo la prima. In essa si assume la posizione del loto; la colonna vertebrale deve essere perfettamente dritta, le spalle rivolte all’indietro, il mento ed il corpo rialzati, braccia e mani distese sulle cosce. La prima fase inizia con l’inspirazione, la quale deve essere eseguita con molta calma, rilassamento ed armonia, seguendo il percorso che parte dalle narici e scorre prima verso i polmoni, passando attraverso i bronchi ed il torace; poi giunge in ultimo al diaframma, che con un piccolissimo sforzo dovrà essere abbassato, per consentire l’immagazzinamento di più Ch’i possibile; in questo preciso istante è anche necessario che l’addome sia sospinto all’infuori.

La seconda fase è quella della ritenzione. Restando immobili, si deve mantenere il torace nello stato di maggior dilatazione consentita, senza però forzare eccessivamente: sarebbe molto pericoloso! La suddetta dilatazione si ottiene con una profonda inspirazione. La fase intermedia, serve quindi a dar tempo all’ossigeno di venir assimilato nel miglior modo possibile, a livello degli alveoli polmonari. Bisogna anche fare attenzione che la cassa toracica, nella fase di tensione sia tenuta ferma, senza essere allo stesso tempo troppo rigida o tesa.

In ultimo, si ha il momento di completa espirazione. Essa consiste nell’emettere dalle narici tutta l’aria immagazzinata durante le fasi precedenti. Questo è un momento molto importante: se dovesse incorrere qualche errore proprio adesso, si rischierebbe infatti di gettare al vento tutto il lavoro svolto in precedenza. Dunque, l’aria deve essere espulsa attraverso le narici, impiegando un tempo circa due volte più lungo di quello occorso durante l’inspirazione; bisogna altresì fare attenzione ad espellere l’aria nella maniera più armoniosa e fluida possibile, senza interruzioni, scatti o a velocità incostante. Molto importante è badare a non forzare molto l’emissione. Se non si riesce ad impiegare un ritmo prolungato in questa fase, non si otterranno i migliori risultati, ma ciò nonostante bisognerà che si riesca a mantenere il flusso aereo uguale e costante, come l’alterarsi delle onde del mare, quando è calmo.

Subito dopo aver emesso l’aria, tramite lo svuotamento dei polmoni, occorre, senza lasciar trascorrere pausa alcuna fare un piccolo sforzo: contrarre all’indietro i muscoli addominali e innalzare il diaframma, in modo tale da svuotare completamente i polmoni. Di qui, verrà la successiva fase di inspirazione, in cui immagazzinare altra aria. Durante l’intero ciclo respiratorio – inspirazione, ritenzione ed espirazione – il praticante dovrà concentrarsi non tanto sul respiro, bensì su un punto preciso, il Tan-T’ien, sito, come detto più volte, a circa tre centimetri sotto l’ombelico, a tre dita di profondità, verso l’interno del nostro corpo. Per far intendere che cosa sia il Tan-T’ien è sufficiente affermare che esso rappresenta uno dei sette centri vitali del corpo umano.

A questo punto segue la seconda, fondamentale, tecnica respiratoria. Essa è conosciuta come respirazione a narici alternate, detta Anuloma-Viloma. Attraverso questo tipo di respirazione il praticante può mutare, aumentando o diminuendo, le due energie Yin o Yang dentro di lui. In tal modo potrà quindi adattare il suo corpo, concepito ora come conduttore di energia, alle necessità che gli possono essere richieste dalle circostanze.

Ad ogni narice corrisponde una delle due forze: per l’esattezza dalla narice sinistra si incanala l’energia Yin, mentre dalla narice opposta si incanala l’energia Yang, rispettivamente conosciute coi nomi sanscriti di Ida e Pingala. Vediamo adesso il sistema respiratorio che ne sfrutta l’incanalamento. Dalla consueta posizione, bisogna portare la mano destra a livello delle narici: con il pollice destro si eserciti pressione sulla parete esterna della narice stessa, in modo da occluderla; a questo punto ha inizio il ciclo respiratorio, inspirando dalla narice rimasta libera, vale a dire la sinistra, in tal modo si cominci ad inalare lentamente, seguendo il flusso aereo, prima attraverso il naso, poi tramite la trachea, i bronchi, fino a riempire del tutto i polmoni.

Con il dito anulare della mano destra, a polmoni pieni, si esercita pressione sulla narice sinistra chiudendola; qui subentra la fase di ritenzione del respiro. Una volta terminata, si allontana il pollice dalla narice destra e si espira completamente, attraverso quest’ultima. Conclusa l’espirazione, si inizia istantaneamente la fase ultima inspiratoria, tramite la narice destra, rimasta aperta, la quale verrà poi a trovarsi di nuovo chiusa, al termine del ripetuto atto, dal pollice. E così seguirà la seconda fase di ritenzione del respiro per poi seguire la totale e armoniosa espirazione di tutta l’aria, alzando il dito medio dalla narice sinistra. A questo punto il ciclo è terminato e bisogna soltanto ripeterlo allo stesso modo più volte. Altre modalità respiratorie saranno oggetto di ulteriori approfondimenti.

mercoledì 26 agosto 2009

Una rivista dedicata al Wing Chun

Cari amici e lettori,
sto pensando che sarebbe bello poter avere a disposizione, in Italia, una bella rivista bimestrale dedicata al Wing Chun, al di là del modo in cui scriverlo. Una rivista in cui dare spazio a tutti gli intenditori ed i praticanti di qualsiasi lineage, con qualche finestra filosofica o dedicata alla Medicina Tradizionale Cinese, per esempio.


Ci sto pensanso da un po' e sempre più seriamente. L'ho proposta anche sul più grande forum di Arti Marziali italiano e ne stiamo discutendo piano piano. Mi piacerebbe sapere se ci sono persone interessate. Nel caso, contattatemi, perché stavolta si fa sul serio!

martedì 25 agosto 2009

Il Tao come stile di vita IV

Ringrazio tutti gli amici che hanno contribuito alla ricerca delle informazioni che sto cercando di trasmettere nella serie di post dedicati al Taoismo ed alle connessioni delle stesso con le Arti Marziali e con il corpo umano. Senza determinati aiuti non avrei potuto scrivere post come quello che segue. Bene o male tutti sappiamo che l’azione del corpo viene decisa e pilotata dal cervello. Per fare un esempio, se decidiamo di chiudere la mano a pugno, il cervello invierà, attraverso il nervo spinale, degli impulsi particolari, che fanno espresso riferimento a quella data azione. Essi giungeranno ai muscoli interessati, percorrendo la via più breve possibile.

Il nervo spinale, che si dirama dal midollo spinale, è collegato al muscolo mediante un meccanismo fisiologico, conosciuto come sinapsi. Gli stimoli chimici e fisici possono così essere trasmessi da una fibra nervosa ad una muscolare. Scendendo ancora in profondità, ogni cellula nervosa elabora particolari sostanze, liberate in seguito all’instaurarsi di un impulso nervoso. Tali sostanze, conosciute come mediatori chimici, agiscono sulla cellula immediatamente successiva, consentendo così in connessione sinaptica il passaggio dell’impulso da una fibra all’altra.

Del sistema nervoso ricordiamo i due mediatori più importanti: la noradrenalina, l’acetilcolina ed altri, quali la serotonina, l’acido ammino butirrico, l’acido glutamminico, la dopamina, l’adrenalina, etc. In sintesi, la sinapsi è un collegamento tra fibre nervose e, una volta colmo del mediatore chimico dell’acetilcolina, trasmette l’impulso di cellula in cellula, come ne fosse il ponte di congiunzione. Se ripetiamo molte volte di seguito un dato movimento, accade che quella cavità sinaptica, priva di cellule nervose, secernerà per lungo tempo acetilcolina, che, per le sue caratteristiche fisio-chimiche, renderà quello specifico movimento di volta in volta più lento.

Per velocizzare una tecnica si richiede quindi una profonda conoscenza dei nostri meccanismi interni, onde sopperire agli ostacoli naturali che si presentano di volta in volta. Se l’allenamento alla velocità viene perciò effettuato lasciando correre del tempo tra una tecnica e quella successiva – purché sia sempre la stessa – l’aceticlcolina avrà occasione di essere distrutta da particolari enzimi addetti a tale funzione e il movimento risulterà più rapido.

La ripetizione controllata di una tecnica particolare farà sì che venga sensibilmente accorciato il percorso che l’impulso nervoso dovrà compiere. L’abilità di ognuno deve quindi consistere nel corretto dosaggio dei tempi di intervallo tra le varie ripetizioni meccaniche dei movimenti prestabiliti e preferiti. Ma nella determinazione di un evento drammatico a volte non basta la velocità di reazione esaminata, se questa non sia prima controllata, dominando gli impulsi dell’istinto recondito e primordiale, sito in ognuno. Evidentemente vengono a galla altri fattori, più o meno conosciuti. In questa sede limitiamoci ad esaminare quello più importante.

Ogni uomo probabilmente ha sperimentato la sensazione di tensione che si manifesta all’insorgere di un grave pericolo, che minaccia la nostra incolumità. Secondo i casi, qualcuno avrà agito attivamente, finendo poi per volgere la situazione negativa a suo totale vantaggio, ma qualcun altro avrà “reagito”, restando ghiacciato dalla paura o stabilendo un nuovo record di velocità. Ecco la spiegazione: nei momenti di forte tensione emotiva, inerente il pericolo di vita od anche un pericolo per un nostro caro, la natura ci viene in soccorso con la sua complessa e perfetta organizzazione. Qui, infatti, entra in scena quella famosa sostanza, conosciuta sotto il nome di adrenalina. È un ormone secreto della sostanza midollare delle ghiandole surrenali e agisce sulla circolazione, sulla respirazione, sul metabolismo, fungendo da cardiostimolante, vasocostrittore (in tal caso, costringendosi i vasi sanguigni, la pressione aumenta e al contempo si accelerano notevolmente le principali funzioni dell’organismo) e broncodilatatore, consentendo così una maggiore ventilazione, in vista di un probabile supersforzo da compiere. La scarica di adrenalina produce anche l’effetto di velocizzare al massimo i movimenti e fornisce ai muscoli circa il doppio della normale forza fisica di un solo uomo. Ora diviene molto chiara l’importanza di saper controllare soprattutto l’adrenalina, indirizzando opportunamente a proprio vantaggio le sue potenzialità.

Anche sulla respirazione bisogna soffermarsi per bene. La respirazione è senz’altro la principale funzione degli organismi viventi e, a maggior ragione, dell’uomo, perché senza di essa la vita sarebbe del tutto impossibile. Inoltre, tale funzione, per l’importanza rivestita nel ruolo vitale, segna il destino di ognuno, in quanto, secondo come viene eseguita, possono scaturire i più disparati stati di salute. Tant’è vero che da una corretta respirazione gli immediati vantaggi consistono in una notevole vitalità dell’organismo, sia a livello fisico, sia a livello mentale: da una parte, infatti, si acquista resistenza alle malattie e vigore, dall’altra viene favorito lo sviluppo delle capacità intellettive, il controllo delle facoltà mentali ed uno stato di pacatezza attiva.

Al contrario, una respirazione errata o non controllata inibisce in modo considerevole le difese naturali del nostro corpo e non regola costantemente ed efficacemente la salute psico-fisica: da ciò deriva una precoce vecchiaia e una maggiore esposizione ai rischi di malattie fisiche e mentali, tra cui, in special modo, quelle relative agli stati emotivi, come, ad esempio, la nevrastenia (eccitabilità ed esaurimento del sistema nervoso), senso di angustia, dispepsia (cattiva digestione), cefalgia (mal di testa), etc.

Il respiro, dunque, è vita. In particolare, è molto importante, soprattutto per le due principali funzioni a cui assolve: da una parte permette di avere più ossigeno a disposizione del sangue e del cervello, dall’altra, in modo diretto, consente una migliore potenzialità fisica, sia il necessario controllo del Ch’i, dell’energia vitale, in base alla quale poter controllare anche la mente.

Spiriti e menti evolute, dotati di buona capacità di osservazione dei vari, affascinanti e mutevoli fenomeni della Natura, scoprirono che gli esseri dalla vita più longeva (la tartaruga, l’elefante, etc.) possedevano un ritmo respiratorio, una frequenza di cicli di inspirazione ed espirazione più lenti della norma. In seguito, quasi per imitazione, l’uomo cercò coscientemente di educarsi a questi nuovi ritmi, più lenti e salutari. S’intuiva che al rallentamento del respiro e alla sua funzione vitale, doveva far seguito una riduzione del normale processo metabolico dell’organismo e dei relativi consumi energetici.

Risulta molto interessante notare che in Oriente tutte le discipline esoteriche, di culture e periodi diversi, svilupparono ognuna proprie tecniche respiratorie, ma il risultato di tutti i vari studi e delle molteplici applicazioni si manifestò nel raggiungimento di conclusioni ed effetti simili, se non uguali. Ad esempio, in India la tecnica respiratoria più avanzata rientra nel vasto campo del Pranayama, mentre in Cina, pur se con alcune varianti, fa parte del cosiddetto Ch’i Kunh (o Chi Kung).

Bisogna allora dire che gli organi preposti al processo respiratorio in senso stretto sono i polmoni ed il cuore uniti tra loro, mediante arterie, che si diramano dai bronchi. I polmoni sono rivestiti dal cosiddetto sacco pleurico (composto da due membrane: quella viscerale, aderente alla parete polmonare, e quella parietale, aderente alla parete interna della gabbia toracica), un involucro elastico che consente loro di aderire al petto e di non generare attriti durante il ciclo respiratorio. L’aria, prima di giungere ad essi, inizia il suo percorso entrando dalle narici ed attraversando, nell’ordine, faringe, laringe, trachea e bronchi.

Continua…

domenica 23 agosto 2009

Il Tao come stile di vita III

Nel corso del nostro studio e della nostra ricerca è bene fare un salto anche nella struttura corporea umana, specialmente per spiegare bene ciò che concerne il sistema nervoso, che è in perfetta connessione con la pratica marziale, ma anche con la ricerca del Tao.

Il sistema nervoso è diviso in due parti: il sistema nervoso centrale e quello periferico. Vi è poi il sistema neurovegetativo (Ortosimpatico e Parasimpatico). Il primo comprende il cervello, il midollo spinale e le sue diramazioni. Il secondo è invece costituito dalla massa nervosa che risiede nella zona pelvica, addominale e toracica.

Al sistema cerebro spinale sono affidate le funzioni intellettive e i movimenti del corpo, mentre al sistema simpatico è delegata l’eccitazione delle varie funzioni quali la circolazione, la respirazione, la digestione, etc. A quest’ultimo è attribuita l’immagine di un doppio binario che fiancheggia i lati della spina dorsale, partendo dall’addome fino alla testa e interrotto sistematicamente da gangli nervosi, collegati fra loro. Questi sono poi uniti al sistema cerebro spinale mediante dei nervi, capaci di trasmettere impulsi sensoriali e motori.

Le terminazioni nervose, che partono dai gangli, confluiscono in una zona importantissima, conosciuta sotto il nome di plesso solare, il quale è sito all’altezza della bocca dello stomaco - in corrispondenza dello sterno - e, più in profondità, ai lati della colonna vertebrale. La cultura orientale ha sempre attribuito grande importanza a tale “centro” alla pari del cervello stesso e del basso addome, se non forse di più: sta di fatto che esso viene considerato come la zona in cui il Ch’i viene ad accumularsi. L’uomo deve comunque la propria vitalità al Ch’i, a questa comune essenza e, anche se non pienamente cosciente, deve sapere di poterne sempre disporre. L’energia che è in ogni persona si manifesta in due modi differenti: attraverso la forza fisica o attraverso la forza psichica.

Normalmente l’uomo conosce soltanto una parte di tali forze, le quali si manifestano nella vita quotidiana mediante la possibilità di muoversi (forza fisica) e la volontà di deciderlo (forza psichica). In realtà ne esiste una grande riserva nascosta dentro di noi, che noi ignoriamo. Se potessimo fare un paragone, potremmo immaginarla come la parte immersa di un iceberg che rappresenta i 2/3 del tutto alla quale corrisponde, in superficie, quella emersa che ne rappresenta, invece, 1/3.

L’energia nascosta, la forza interna, è ben nota alla cultura orientale. Accedere ad essa non è cosa facile, perché generalmente si manifesta in modo incontrollato, senza che l’uomo possa avere la capacità o la possibilità di “organizzarla” o di frenarla tanto facilmente. Nella pratica di alcune discipline bisogna, però, imparare ad usare tale forza in qualunque momento sia necessario, mediante l’unificazione dell’energia nostra con quella dell’universo (microcosmo e macrocosmo). In questo modo risulteranno elevate all’ennesima potenza sia la forza fisica, sia quella psichica e si potrà facilmente sopportare uno stress prolungato, a cui nessuno resisterebbe, o altri tipi di stimoli quali il freddo, la sete, il dolore, etc. controllando le funzioni organiche e non organiche.


Al fine del controllo interiore, parecchio servirono le correnti filosofiche, che si ripromettevano di aiutare l’uomo ad affrontare i problemi della vita, a comprendere e ad agire nel modo più valido possibile, di fronte alle avversità. Delle varie correnti, vennero presi in considerazione due concetti abbastanza diffusi ed atti allo scopo: il concetto di Centro ed il principio dell’Energia Interiore.

Osservando con spirito critico il mondo circostante, tenendo sempre presente anche quello interiore, ci si accorge che il caos è dappertutto e si manifesta attraverso la molteplicità, la confusione, la contraddittorietà e la sofferenza. In particolare tutte le angosce dell’animo ci impediscono di guardare le cose nel giusto verso e ciò, nell’uomo, crea instabilità, inganno e deviazione dai fini migliori. Come se non bastasse, l’individuo finisce per travisare il tutto e volgersi anche contro i suoi simili.


L’enorme fenomenologia dei casi dell’esistenza porta l’essere umano ad un disorientamento generale nel mondo delle false apparenze, ciò a causa di insormontabili ostacoli alla realizzazione di ideali di valore assoluto. Nel turbine delle sensazioni e delle esperienze falsate, possiamo e dobbiamo, in compenso, ricercare l’unicità, quale supremo punto di riferimento. L’unicità va intesa come sostanza essenziale o “centro” dell’esistenza: nel Centro il molteplice diviene unico, il disordine ordine, l’incomprensibile comprensibile, la morte vita, etc.

Il punto di incontro di tutte queste caratteristiche opposte è sempre e ovunque individuale e soggettivo, ma è vero Centro solo se comprende ed unifica tutti gli aspetti e le qualità eterogenee del mondo universale. Al contrario è falso se ne coglie soltanto alcuni aspetti. Nella cultura orientale la materializzazione fisica del centro era stata individuata nel basso addome, conosciuto dai cinesi come Tan T’ien (o Dan Dien) e dai giapponesi come Hara, in cui convergono vita e morte, nonché formazione ed evoluzione della personalità.

La dottrina, sviluppatosi su tali teorie, indica all’uomo la Via per comprendere se stesso e a questa via si perviene mediante la meditazione introspettiva, realizzando la prima delle cosiddette tre integrazioni, previste ed affermate da più di una corrente con varie sfumature. Affinché possa conseguirsi l’armonia è però necessario che l’uomo collabori con i suoi simili per il bene collettivo (raggiungimento del Centro della dimensione sociale) e raggiunga, in ultimo, il Centro della dimensione cosmica della “centralizzazione”, mediante la suprema intuizione e coscienza di essere giunto alla meta assoluta.

È in questo che trova luogo l’equilibrio universale. A tal punto è bene chiarire il significato di certa terminologia tecnica. Per “integrazione” si intende la conquista di uno o di tutti e tre gli stadi della saggezza ed è strettamente legata al concetto di Centro. Infatti, si usa la dicitura “integrazione nel Centro individuale - sociale - cosmico”, quando si vuole indicare che l’Iniziato ha raggiunto o carpito l’essenza di questi stati di relativa perfezione. Con l’occasione è meglio specificare l’equivalenza sommaria tra i termini “centralizzazione” e “integrazione”, perché l’uno implica logicamente l’altro. Ad essere meticolosi, “centralizzarsi” significa porre se stessi come punto fermo nel processo di maturazione interiore. I tre gradi (individuale, sociale, cosmico) indicano il livello conseguito nel suddetto processo.


L’esatta fusione dei tre centri rappresenta il fine ultimo dell’uomo: colui che riesce a centralizzarsi nel proprio Tan T’ien, inteso come punto di raccolta e di sfruttamento del Ch’i e, quindi, come potenziale spinta alla saggezza, gode di eterna armonia e beatitudine, non essendo più soggetto a conflitti interiori e tantomeno esteriori. Ciò è possibile, una volta che ci si è liberati dal turbine degli aspetti quotidiani, mediante il controllo nitido e determinato del circostante.

Attraverso la meditazione introspettiva e la conseguente centralizzazione, l’uomo scopre in sé una nuova forma di energia, molto potente e diversa da quella sviluppata dal sistema muscolare. I Cinesi erano convinti che tale forza scaturisse per effetto della suddetta centralizzazione (effetto volontario), oltre che in alcuni casi di grave pericolo per la propria vita (effetto involontario). Credevano anche che, grazie alla forza nascosta, l’uomo potesse adoperarsi con successo nella comprensione e nel controllo della molteplicità dei fenomeni, attraverso un particolare procedimento volto ad “imbrigliarla” e a saperne disporre all’occorrenza.


Una volta compresa la molteplicità caotica, allo stesso modo l’uomo può orientare la sua attenzione sulla vita, che altro non è se non un aspetto della trasformazione, del divenire e, quindi, del molteplice. Durante tale fase di riflessione, il basso addome, il Tan T’ien o l’Hara, muta da centro di comprensione a centro di vita. L’armonia universale è perciò quella che deriva dall’unione dei tre Centri: Individuale, Sociale, Cosmico.

È proprio grazie al controllo e al raggiungimento della triplice centralizzazione che risulta possibile varcare la soglia dell’impossibile, cogliendo l’essenza della forma primordiale, caratterizzata dall’equilibrio conflittuale di tutti gli elementi opposti tra loro. Da questo deriva che più è intensa la centralizzazione nel basso addome, tanto più è vasta l’intensità dell’energia, cui potere attingere. In sintesi vi sono tre gradi per l’uomo, prima che riesca ad afferrare l’Universale: nel primo stadio (ogni stadio inferiore può considerarsi indipendente da quello superiore, perché non lo presuppone; al contrario, ogni stadio superiore implica il già avvenuto raggiungimento di quelli inferiori) si ha la centralizzazione individuale, che viene identificata con la coordinazione tra il corpo e la mente; da ciò deriva grande forza e vitalità. Nel secondo stadio avviene la centralizzazione sociale, in cui alla potenza ed alla vitalità si assommano le energie necessarie per il conseguimento dei fini di interesse collettivo (potere di guidare le masse, carisma). Nel terzo ed ultimo stadio si ha la centralizzazione cosmica, la percezione dell’assoluto e l’onniscienza; a differenza dei due centri precedenti ed inferiori, modificabili dall’uomo per fini positivi o negativi, il terzo centro supremo è esclusivamente giusto, dato il carattere di imparzialità, dovuto al perfetto equilibrio degli elementi opposti, di cui si compone.

Per lo sfruttamento dell’energia coordinata sorsero molte correnti di pensiero; le prime furono originarie del Tibet, della Cina in generale e dell’India. Ognuna aveva caratteristiche proprie ben definite. Un metodo di incanalamento e di controllo dell’energia coordinata era basato su precisi esercizi, per la cui pratica bisognava conoscere tecniche di meditazione, concentrazione e respirazione. In particolare quest’ultima si dimostrava indispensabile per lo sviluppo ed il controllo del Ch’i.

Sulla base dei concetti di Centro e di Energia Iteriore sorse una vera e propria arte, conosciuta sotto il nome di Haragei. L’arte dell’Haragei prometteva in un certo senso ai suoi cultori di aiutare l’uomo nei molteplici problemi esistenziali: detto fine fu dimostrato raggiungibile e tutt’oggi l’Haragei è largamente praticato.

L’effetto principale di una sua corretta applicazione si manifesta nella visione universale e distaccata di ogni fenomeno, di cui si possa avere esperienza mediante i cinque sensi. Però il distacco spesse volte diveniva anche materiale e l’uomo poteva escludere il dolore fisico dal corpo come se da questo potesse sdoppiarsi e guardare freddamente tutto ciò che gli accadeva: questo spiega come fosse possibile per molti Monaci restare impassibili e sereni di fronte alla morte, sopportando il freddo e il fuoco.

L’assimilazione dell’Haragei consentiva e consente, infatti, limpidità interiore, fredda calma, decisionalità, armonia assoluta e distacco totale dal mondo materiale, quando ce ne sia bisogno. Mentre la limpidità interiore, la fredda calma e la decisiomalità sono il frutto della pratica dell’Haragei, la potenza, la precisione e la velocità possono essere invece migliorati con il Kiai. Scomponendo la parola, troviamo che il Ki (o Ch’i) significa “energia intrinseca”, mentre Ai (riunire o condensare) vuol dire armonia: si rammenti che il concetto di armonia implica la concentrazione di tutti gli elementi nella Unicità. Potremmo definire il Kiai come l’energia concentrata o come la potenza armonica della personalità. Il suo agente catalizzatore (che ne accelera, cioè, l’effetto) è la voce umana.

Anche il Kiai affonda le sue radici nel Tibet. Fin dall’antichità il grido dello spirito - così era chiamato – fu tenuto in alta considerazione, raggiungendo in breve tempo un elevato grado di perfezione, al punto tale da divenire la potenziale, unica arma, laddove fosse stato necessario.

Il Kiai è la concentrazione fisica e mentale nella parte del corpo che si vuole utilizzare. Mediante la voce, modulata per altezza, tono e vibrazione è infatti possibile tale concentrazione di energia. La veridicità di quanto detto è comprovata anche dall’uso che se ne fa anche in alcuni sistemi di cura e rianimazione. Esso potrebbe definirsi come l’espressione sonora dell’Haragei.

Esaminiamo come deve essere sviluppato e praticato. Normalmente si assume la posizione del Cavaliere (Ma Bu), si inspira lentamente, in profondità, riempiendo per gradi i polmoni, dopo di che si espira con forza, mediante una potente spinta contrattiva, fornita dal basso ventre. In questo preciso istante si sprigiona un verso molto simile al monosillabo “uhmm”. In tal modo, l’addome passerà dalla posizione di pieno a quella di vuoto, per effetto della violenta contrazione. Questo cambiamento del volume addominale può constatarsi adagiando le dita al di sotto dell’ombelico; l’accorgimento suggerito serve ad aiutare l’autodidatta a comprendere e ripetere correttamente il giusto movimento dell’addome, secondo il seguente ordine cronologico: l’Hara deve essere pieno durante l’inspirazione, mentre deve essere vuoto durante l’espirazione. Il grido che viene emesso è dato quindi dalla violenta contrazione del basso ventre e non dalle corde vocali, come si potrebbe pensare.

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sabato 22 agosto 2009

2000 visite!!!

Ho appena notato che il blog ha superato le 2000 visite! Ringrazio tutti gli amici, i lettori ed i visitatori di passaggio che hanno contribuito al raggiungimento di questo bel risultato. In pochi mesi il blog, nato quasi per gioco, è salito nelle graduatorie di Google. Grazie davvero!

Come mi dicono in molti, probabilmente quello che scrivo è interessante ma i post sono troppo lunghi. Beh, l'unico consiglio che posso dare agli interessati è di stampare i post che vi interessano, per leggerli con comodo, perché non potrei davvero scvrivere meno di quello che sto pubblicando...

Chiedo a tutti, come ho già fatto, di intervenire di più e di relazionarsi maggiormente, perché solo con lo scambio orizzontale di informazioni possiamo crescere assieme.

Un salutone a tutti quanti!

venerdì 21 agosto 2009

Il Tao come stile di vita II

Continuiamo la nostra “chiacchierata” virtuale sul Taoismo e sui suoi principi guida, dopo la breve introduzione di qualche giorno fa. Il Taoismo, si diceva, è una religione o una filosofia – a seconda delle interpretazioni – la quale affonda le sue radici nello sciamanesimo dei radiosi immortali che vivevano sulle montagne sacre nutrendosi di vento. Ha avuto probabilmente origine nel V secolo avanti Cristo.

Avendo letto parecchie cose confuse sul Tao e sullo Zen, è bene pure chiarire che quando parliamo di Zen facciamo riferimento al Buddismo (o Buddhismo) Zen, la versione giapponese importata dalla Cina, definita Buddismo Chán dai cinesi. Il Buddismo Chán, a sua volta, ha preso origini dal Buddismo indiano e si è mescolato con le pratiche esoteriche taoiste. Potremmo definire lo Zen una filosofia buddista impregnata di esoterismo taoista.

Come dicevamo, alla base del Taoismo ci sono dei presupposti sciamanico-religiosi la cui origine è intuibile già dai commenti all’I Ching, per esempio, nel quale per la prima volta vengono in qualche modo definiti i primi principi taoisti, ossia lo Yin e lo Yang. Nell’I-Ching non vengono chiamati con questi nomi, ma i principi esposti sono gli stessi.

Il Buddismo è apparso molto tempo dopo rispetto al Taoismo. Quando arrivò in Cina il Taoismo aveva già conosciuto il suo massimo splendore come religione ufficiale. Gli imperatori avevano già cercato di far risalire la loro discendenza dallo stesso Lao Tze. Solo con l’avvento del Buddismo il Taoismo riesce in qualche modo a copiare la struttura organizzativa del Buddismo. Solo allora si vede la nascita dei vari ordini monastici, un simil-clero ben definito e un popolo di religiosi.


Bisogna ricordare che, pur utilizzando lo stesso termine Tao (la Via), ognuna delle tre maggiori correnti filosofiche cinesi, intende un utilizzo e un percorso ben diverso. Per i seguaci di Confucio, il Tao è la retta via da seguire, la quale si trova unicamente attraverso la rettitudine morale e la conoscenza. Per i buddisti, il Tao è la Via mostrata dal Buddha per uscire fuori dal ciclo delle nascite e delle morti. Per i taoisti il Tao è la via della natura, dove ogni cosa trova il giusto posto, nel giusto e naturale momento.

Per essere più precisi intorno alla questione relativa al Taoismo come religione o come filosofia, dobbiamo dividere le due correnti: una filosofica ed una settaria. In quella filosofica il Taoismo è stato organizzato a somiglianza della filosofia buddista: ci sono un grande sacerdote, vari monaci minori ed un popolo taoista. Sono riconosciuti anche vari Dei e Santi ad immagine di quelli cristiani, per esempio. L’altra corrente è quella settaria, nella quale vi sono pratiche più o meno ortodosse ed è guidata da singoli Maestri.

Se analizziamo la struttura filosofica del Taoismo, notiamo gli imponenti richiami alla tranquillità, che è superiore all’agitazione perché è la residenza del Tao. Lo stato di purezza e tranquillità dovrebbe basarsi sull’evitare i desideri dei sensi. Da questo punto di vista è interessante la questione relativa al sesso. C’è una bella canzone di Franco Battiato, Tao, che descrive proprio la questione. Un’altra cosa importante da non sottovalutare nella struttura filosofica taoista è la figura del saggio, che non interferisce - o lo fa minimamente - nella vita delle persone e sul corso delle cose.

La tranquillità è uno degli obbiettivi apparentemente più semplici da raggiungere, ma che rappresenta una delle prime grandi conquiste da ottenere. Per quel che riguarda i desideri da abbandonare, vi basti pensare a quante volte non vi allenate perché attirati da altro (un film alla tv, una birra con gli amici, una cena succulenta, la compagna che quella sera il mal di testa, eh eh eh, etc.). Forse sembra banale, ma anche il fatto di saper dire no a se stessi prima che agli altri contribuisce molto a migliorare l’atteggiamento necessario a mantenere lo stato di tranquillità.

Il Taoismo come religione è una via pratica che richiede una trasmissione da un Insegnante. Se sono concetti astratti non portano che a deviazioni mentali. Se lo studio resta un insieme di pensieri nella mente, si rischia di sbagliare strada. In linea di massima, i comportamenti errati vengono a galla da soli quando la pratica e la disciplina sono corrette, ma non c’è una regola precisa. Diciamo che due pilastri con cui bisogna sempre fare i conti sono la tranquillità o la quiete (Jing). Non necessariamente essere tranquilli significa stare fermi così come non significa che ci debba essere assenza di azione. L’altro pilastro è lo stato di purezza (Qing). Possiamo considerarla una qualità delle emozioni, non di qualche emozione a cui possiamo fare riferimento per comodità morale. Si tratta dell’emozione nel suo più puro momento di creazione.

Le emozioni e i desideri disperdono l’energia, ma sono necessari per vivere. Eppure solo rinunciando ai desideri si può raggiungere la tranquillità. Il Tao è un flusso vitale che genera tutto, è l’armonia universale del cosmo che unisce terra, uomo e cielo. L’armonia è la tranquillità.

Se è vero che il Taoismo affonda le sue radici nell’antica cultura cinese, bisogna ricordare che ha visto nel corso dei secoli molteplici sviluppi e declinazioni: nell’arte come nella vita quotidiana e naturalmente nella spiritualità. Sulla via del Tao, della saggezza dell’antica visione filosofica cinese, l’individuo raggiunge uno stato di armonia con il mondo naturale e lo fa integrando nella sua vita quotidiana meditazioni, attività motorie e spirituali specifiche volte a rivitalizzare il soffio vitale.

Tra i valori più importanti che il Tao ci trasmette, io metterei tra i primi il rispetto e la sincerità, la cancellazione dell’io e la pratica della non azione nei confronti delle cose quotidiane. Sono solo tre principi da perseguire sulla via del Tao, i quali, uniti a tecniche specifiche indirizzate al controllo del corpo, del respiro e delle principali funzioni fisiologiche, portano verso il Tao. Il Wu Wei, la non azione, è concetto assai caro al Taoismo, come alle Arti Marziali Tradizionali Cinesi, che da esso hanno attinto. Concetti che troviamo nel Kung Fu, sia negli stili interni che esterni delle arti marziali cinesi.

Se vogliamo scendere nello specifico della connessione tra le arti marziali ed i principi taoisti, bisogna dire che fin dall’antichità risulta affermata in alcuni dotti la convinzione che nell’aria risiedesse il principio vitale dell’universo; questo stesso era conosciuto sotto vari nomi, secondo le varie culture dei diversi Paesi, ma tutte le civiltà che lo presero in considerazione furono concordi nell’attribuirgli la vita di ogni essere animale e vegetale.

Essendo l’aria la sede di questa forma di energia primordiale, dai Cinesi chiamata Ch’i (o Chi, Ki, etc.), è molto importante che l’uomo sappia sfruttarne tutti i possibili vantaggi. Per arrivare a ciò, occorre saper estrarre dall’aria la sostanza vitale, nella maggior quantità possibile. A tal fine la cultura orientale si è sempre occupata della respirazione, quale processo vitale, mediante la concentrazione di ossigeno e, parallelamente, di Ch’i. Pensiamo quindi alla connessione tra la nostra pratica marziale e la respirazione. Senza una buona respirazione non c’è flusso d’energia e, di conseguenza, non c’è armonia.

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mercoledì 19 agosto 2009

Il Kung Fu fa bene ai giovani? II

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La durata media di una lezione dovrebbe essere di un’ora o un’ora e trenta minuti al massimo, suddivisi in preparazione fisica, studio del Kung Fu e attività extra (giochi di gruppo, etc.). Ovviamente è nel programma delle lezioni che stanno le differenze maggiori rispetto ad un corso per adulti.

Le differenze tecniche, alla fine, sono poche - al di là dei colpi portati in determinate zone del corpo -, perchè gli esercizi sono sostanzialmente gli stessi che vengono proposti al pubblico adulto. La cosa che cambia radicalmente è la metodologia d’insegnamento e il modo in cui i bambini allenano le tecniche. Viene dato più spazio agli esercizi che potenziano l’intelligenza motoria del giovane e che renderanno per lui più semplice l’approccio a qualsiasi altro tipo di sport in futuro. Un esempio su tutti: l’allungamento muscolare il quale, se acquisito da subito, donerà al corpo adulto grande flessibilità e un’escursione dei movimenti più ampia.

Nelle Arti Marziali i giovani imparano così il rispetto verso se stessi e verso gli altri ed il rispetto verso le proprie e le altrui capacità. Contemporaneamente potranno sviluppare un corpo sano, agile e robusto. Sono soprattutto questi corsi praticati in giovane età che sviluppano l’autocontrollo e la disciplina. I bambini imparano qual è l’atteggiamento più consono alla pratica individuale e lo fanno inseriti in un gruppo di coetanei; così cominciano ben presto a divertirsi godendo di momenti in cui sfogarsi in maniera sana, alternando momenti di gioco e di sforzo muscolare, a momenti tranquilli e silenziosi, come durante le ampie fasi di allungamento muscolare.

Il bambino che non riesce a controllarsi o che necessita di continue attenzioni sulla sua persona non deve essere allontanato, ma aiutato ad integrarsi. È necessario seguire i bambini e guidarli nello sviluppo di un sano atteggiamento, cercando di offrir loro sempre nuove occasioni per migliorarsi; ma nel caso in cui il comportamento irresponsabile dovesse essere recidivo l’Insegnante deve intervenire in maniera seria ed anche dura, se necessario.

La punizione nella Scuola di Arti Marziali spesso è di natura fisica (piegamenti, corsa, etc.), ma può anche essere di natura psicologica, proibendo al giovane di allenarsi nella lotta corpo a corpo, che è la parte più ricreativa in assoluto del corso. Questo pensiero può sembrare severo ma in realtà si rende indispensabile per mantenere alto lo standard qualitativo e soprattutto educativo del gruppo. Non voglio che la classe assuma modelli irresponsabili come esempi di comportamento ma che capisca che la responsabilità di un individuo passa attraverso il rispetto degli altri individui. Individuo e comunità devono essere i due poli di attrazione di tutto il gruppo dei praticanti.

Se dovessi spiegare ad un giovane che cos’è il Kung Fu, inserendolo in un contesto storico, direi che esso è l’insieme di tutte le arti marziali tradizionali cinesi. Comparso circa nel primo millennio avanti Cristo, da esso nacquero innumerevoli Scuole. Rappresenta il seme che oggi vediamo dischiuso negli innumerevoli stili marziali presenti al mondo. Nel Kung Fu si fusero tutti i primi studi teorici, filosofici e soprattutto pratici sulla dinamica del corpo umano, proprio per questo il Kung Fu rappresenta l’espressione massima dell’uomo nel movimento.

Esistono poche discipline marziali in grado di stimolare ed ampliare in armonia tutte le componenti del corpo umano, il Kung Fu non solo è una di queste, ma è quella più antica. La vastità del Kung Fu è originata da due famiglie di stili che si compenetrano ed insieme si elevano per creare una rigogliosa armonia. Essi sono gli stili cosiddetti “esterni”, dinamici, acrobatici e marziali; dall’altra parte troviamo gli stili “interni”, caratterizzati da movimenti leggeri, morbidi e meditativi.

La pratica del Kung Fu deve trascendere lo scopo marziale; se si vuole comprendere nel profondo l’esecuzione del Kung Fu occorre tralasciare il suo fine estetico, fisico od offensivo ed abbracciare invece quello di Arte; l’essenza del Kung Fu non consiste nel risultato di quest’ultimo, ma nella Motivazione, nella Volontà e nella Dignità che ci muovono nel viverlo.

Il Kung Fu è famoso per il suo carattere eclettico che comprende molteplici aspetti. Si studia il movimento dell’uomo nello spazio in molte delle sue infinite applicazioni. La velocità, la resistenza e la potenza sono solo alcune delle caratteristiche che vengono sviluppate nel corso. Si impara a rafforzare il corpo attraverso la pratica di esercizi mirati ad incrementare l’allungamento e la flessibilità muscolare, la potenza e la resistenza. Bisogna rendere tonico, scattante e veloce il corpo, acquistando la capacità di muoversi con confidenza nello spazio.

Durante il corso si studiano le tecniche fondamentali di attacco: si colpisce con tutte le parti del corpo umano (pugni, colpi a mano aperta, colpi di gomito, di spalla, di testa, di ginocchia, calci e leve articolari). Si studiano, ovviamente, anche le principali tecniche di difesa (parate e schivate, spostamenti nello spazio, proiezioni). Il contatto con il suolo è fondamentale, soprattutto per i più giovani. Proprio per questo una abbondante fetta di tempo sarà dedicata allo studio della lotta e delle proiezioni. Tutte queste conoscenze serviranno all’Allievo per cominciare lo studio delle forme e dell’applicazione delle stesse.

Lo studio delle forme insegna a sviluppare forza e agilità, donando la capacità di muoversi velocemente nello spazio colpendo al massimo della potenza. Sia armato che disarmato, sia da solo che contro degli avversari, il Kung Fu va praticato alla ricerca continua della precisione e della perfezione. Le armi non saranno studiate, ma ci sarà un approccio al bastone corto, in modo da dare ai giovani Allievi uno strumento per studiare anche a casa alla ricerca di una corretta gestione posturale. Quello che il corso propone è un percorso che aiuta a migliorare la consapevolezza del corpo.

Andiamo a vedere quali sono gli aspetti benefici della pratica. Quando il Kung Fu cominciò a prendere vita (circa tremila anni fa), si fusero in esso sia le conoscenze marziali più avanzate che la saggezza dei più famosi medici taoisti. Gli aspetti più benefici del Kung Fu risiedono innanzitutto nella sua pratica delle movenze quasi complete che di per sé è immensamente salutare.

La vera cura che il Kung Fu opera è quella capacità di accrescere in chi lo pratica una consapevolezza del movimento fuori dal comune. Si capiscono quali movimenti sono sani per il corpo o fino a che punto devono essere spinte le articolazioni. Si riesce a sviluppare la postura corretta imparando come mantenerla al meglio anche sotto sforzo; questi sono solo alcuni aspetti dell’intelligenza motoria che si sviluppa nella pratica del Kung Fu.

I concetti che vengono studiati a lezione permetteranno all’Allievo di usare sempre al meglio il suo corpo, non solo per difendersi, ma soprattutto per vivere meglio durante la vita di tutti i giorni. Ci si renderà conto del fatto che il corpo è una macchina progettata in maniera splendida e che aspetta solo di essere impiegata in maniera corretta. Con il Kung Fu si arriva a capire come adoperare il corpo in ogni situazione. In questo senso il Kung Fu racchiude in sé degli aspetti terapeutici eccezionali.

In definitiva, io penso che il Kung Fu sia non solo una pratica salutare anche per i giovani, ma che possa essere addirittura un valido supporto alla loro educazione, alla sensibilizzazione riguardo valori antichi e fondamentali per la vita. Se avessi un figlio, vorrei che praticasse un’Arte Marziale.

martedì 18 agosto 2009

Il Kung Fu fa bene ai giovani? I

Molti amici mi hanno chiesto di iniziare un corso per i bambini ed i ragazzi, perché pensano che il Kung Fu possa far bene soprattutto a loro. Effettivamente è da un po’ che ci penso, perché insegnare ai bambini significa avere sulle proprie spalle una grossa responsabilità, sia per ciò che imparano, sia per il modo in cui apprendono.

Il Wing Chun è a mio avviso molto indicato per i bambini di entrambe i sessi, sin dai 6 anni. Diciamo che una fascia potrebbe essere quella dai 6 ai 12 anni, in cui i giovanissimi apprendono le basi del sistema, ma, soprattutto, imparano a divertirsi nel rispetto di regole ferree e di una disciplina che, oggi, trovano sempre meno presente all’esterno della Scuola di Arti Marziali.

Una seconda fascia potrebbe essere quella dei ragazzi dai 13 ai 17 anni, in cui i giovani iniziano a praticare l’Arte Marziale nella sua totalità, ma con ritmi ridotti e con modalità meno realistiche. La fascia successiva, ovviamente, comprende tutto il resto delle persone, senza limiti d’età, perché il Kung Fu può essere praticato fino all’istante prima di lasciare il corpo attuale…

La preparazione fisica, mentale e spirituale accompagna per sempre l’Allievo, il quale non deve far altro che seguire l’Insegnante, allenandosi costantemente e con serietà, pur studiando in un’atmosfera rilassata e familiare all’interno del Kwoon (la Scuola di Arti Marziali).

Le età qui sopra riportate sono solo indicative, cari amici, perché fanno riferimento all’età mediamente consigliata per cominciare la pratica (principianti), genericamente considerata. Caso per caso può essere valutato. Ho visto ragazzette di 14 anni in corsi da adulti per le loro capacità spiccate nell’Arte Marziale, quindi non porrei limiti rigidi. Ad ogni modo molto dipende dalla condizione psicofisica dell’aspirante Allievo. In caso di dubbio è l’Istruttore che saprà sicuramente consigliare.

In termini più generali possiamo dire che la consapevolezza dei danni associati ad una ridotta attività fisica ha portato ad una crescente diffusione della pratica sportiva, sia in età evolutiva che in età adulta. Questa tendenza ha dato ottimi risultati in termini di miglioramento dello stato di salute e di prevenzione delle patologie cronico-degenerative dell’età adulta (per esempio l’obesità, il diabete, l’ipertensione arteriosa e le malattie cardiovascolari).

Bisognerebbe chiedersi quali siano gli sport più indicati per i bambini. Io penso che lo sport, praticato fin dai primi anni di vita, sia in grado di indurre sostanziali benefici, promuovere un buono stato di salute e stimolare un adeguato sviluppo delle capacità motorie, in qualsiasi forma venga praticato. Il movimento fa comunque bene, anche se penso che ci siano delle discipline più adatte rispetto ad altre.

Una corretta formazione relativa al movimento in età giovanile può evolversi successivamente nella pratica agonistica, se lo si desidera, oppure come sport del tempo libero. È importante scegliere una disciplina che sia adatta all’età, alle capacità fisiche del bambino e che rispetti i suoi gusti. Se è vero che verso i 3 anni è consigliabile il nuoto, con un programma di acquaticità che si sviluppa nel rispetto delle esigenze evolutive del bambino, dai 3 ai 6 anni sono indicati lo stesso nuoto, il calcio (siamo in Italia) e tutte quelle attività chiamate “ludico-motorie”, in grado cioè di avviare il bambino all’attività sportiva attraverso un approccio vissuto sotto forma di gioco e di svago.

Dai 6 anni in su sono consigliate le discipline che favoriscono un migliore controllo dei movimenti e una maggiore disponibilità all’accettazione di regole: le arti marziali, la ginnastica ritmica e artistica, la danza. Dal momento in cui il bambino è in grado di accettare le regole e le dinamiche del gruppo, il gioco che si fa durante il movimento fisico assume il carattere tipicamente pre-sportivo. A questa età sono adatti anche il minibasket (la pallacanestro) o il minivolley (la pallavolo). A partire dai 14 anni è possibile effettuare anche allenamenti mirati allo sviluppo della forza, con una preferenza per gli sport di squadra: pallanuoto, calcio, pallavolo, pallacanestro, etc. Prima dei 12 anni si sconsiglia la pratica sportiva a livello agonistico, perché prima di questa età non sussistono ancora i presupposti psicofisici idonei per affrontare intensi carichi di lavoro sia a livello fisiologico che psicologico.

Il Kung Fu, nello specifico, se viene studiato con un metodo adeguato, dona all’Allievo sia la capacità di difendersi, sia le modalità per rimanere in piena salute. Un normale programma di studio per i giovani prevede un progressivo sviluppo armonico finalizzato all’equilibrio delle tre sfere corpo, mente e spirito. Nel nostro Kung Fu non vi è ombra di violenza o di supremazia tra gli Allievi. Viene data la possibilità ad ogni studente di utilizzare al meglio le proprie capacità naturali e di crescere in un ambiente sereno.

Il Kung Fu è un’Arte Marziale e come tale ha delle regole che vanno rispettate. Solo con questo metodo l’Allievo impara a disciplinarsi ed a realizzarsi. Queste regole finalizzano lo sviluppo della stima tra i compagni, dell’amicizia, dell’onestà, del rispetto, dell’umiltà, dell’armonia e della sincerità, in un mondo teso sempre più a non considerare questi come autentici valori.

Per queste ragioni ho pensato di aprire un corso ai giovani ed ai giovanissimi dal mese di settembre. Il corso servirà a sviluppare la consapevolezza delle loro potenzialità, permettendo loro di conoscere le capacità motorie, alla ricerca dell’equilibrio psicofisico e della coordinazione corporea durante i movimenti. Particolare attenzione sarà dedicata allo sviluppo della struttura corporea, nelle sue componenti osteo-articolari, nonché alle sue capacità muscolari.

Un corso di Kung Fu per ragazzi aiuta gli Allievi ad aumentare le loro capacità di concentrazione, stimolando la creatività. Vengono certamente apprese delle tecniche marziali per lo sviluppo delle capacità difensive, ma in un contesto gioioso e rilassato, non incentrato sulla lotta.

Gran parte dei lavori svolti nella Scuola di Arti Marziali deve essere dedicata alla ricerca della disciplina attraverso l’Autocontrollo dell’Allievo, che dovrà frequentare il corso come pratica sportiva, come attività culturale e come gioco.

Durante il corso i genitori non dovrebbero assistere alle lezioni per evitare di distrarre i bambini. Penso che nelle prime due o tre lezioni sia giusta la loro presenza, ma più è duratura, meno l’Allievo si responsabilizza. Quando i giovani entrano nella sala d’allenamento è bene che lo facciano in silenzio, in fila e dopo aver salutato la sala stessa. Da quel momento in poi sono praticanti di Kung Fu e tutto il resto va lasciato all’esterno. Proprio per questo la presenza di un parente potrebbe legare sempre i giovani all’esterno, non dando mai loro la possibilità di cavarsela da soli.

Penso che la frequenza al corso vada vista come obbligatoria, giustificando ogni assenza, in modo da far capire al giovane che il corso non è un gioco o un’attività ludica gratuita. In fin dei conti, per frequentarlo il genitore paga una retta mensile e mi pare giusto che l’Allievo si responsabilizzi sin da giovanissimo sul valore dei soldi spesi per fare qualcosa.

Per un giovane praticante di Kung Fu l’Istruttore – che deve essere un Insegnante qualificato - ha il compito di proporre e portare avanti un programma tecnico di insegnamento per la durata di almeno 3 mesi, in modo da rendere i genitori edotti su cosa andrà a studiare il giovane. Ogni lezione deve contenere dei programmi utili ed interessanti, facili da assimilare, oltre ad una buona dose di tempo dedicato al gioco propedeutico all’Arte Marziale.

Continua...

martedì 11 agosto 2009

Il Tao come stile di vita I

Cari amici e lettori, sto passando alcuni giorni nelle terre senesi, tra le colline e la vista del Monte Amiata. In queste terre di pace e tranquillità la meditazione è più semplice e vi si può ricorrere con estrema facilità in qualsiasi momento della giornata, perché i suoni, gli odori ed i sapori ti aiutano ad allontanarti dalle passioni quotidiane.

In questi momenti di estrema serenità ho pensato di dedicarmi al blog e, quindi, a voi, cari amici e lettori, per parlarvi della mia scelta di vivere secondo i principi taoisti, per quanto mi è possibile e per quanto la natura umana – fallibile e imperfetta – me lo permette.


Secondo il pensiero taoista – diversamente da quello confuciano, per esempio – esiste un’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: cielo, uomo e terra (heaven, human, earth, vi ricorda niente?). Il principio su cui si fonda il Taoismo è il Tao, termine di non facile interpretazione, tanto che un verso del Taodeing (o Tao Te Ching) recita: “Il tao che può essere definito col nome non è il tao costante”. L’essere nella sua essenza scorre, si modifica, non si cristallizza; per questo non può essere spiegato con una frase. Tao () potrebbe essere letteralmente tradotto come la Via o il Sentiero; la traslitterazione in pinyin è dào.

Possiamo, però, dire che il tao, presente in ogni cosa, la condiziona. Esso è un flusso vitale da cui ha avuto origine tutto, che scorre incessantemente, mutando sempre pur rimanendo sempre lo stesso. Il simbolo del tao è formato da due spirali: una che avvolge l’altra e viceversa, partendo da un unico Centro. Le due spirali rappresentano la discesa e l’ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo. Il simbolo è una simmetria rotazionale ciclica: la spirale bianca ha l’inizio dove termina la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo, ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (punto nero), il quale si svolge proprio a partire da lì. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finché si manifesta la tendenza opposta (punto bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente.

Come religione popolare, il Taoismo dispone di diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (il vegetarismo, l’ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo Yoga), ginniche, sessuali e contemplative. Più che alla religione, noi dobbiamo guardare all’obiettivo del Taoismo filosofico: raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite la meditazione, che permette l’identificazione con il Tao. La natura non deve essere alterata dall’azione umana: il taoista pratica e predica il “non agire” (Wu Wei) in tutti i campi, non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte.

Nella filosofia taoista il Tao ha come funzione fondamentale quella di rappresentare l’universo, il quale nacque nello stato di Wu Chi, assenza di differenziazioni e di polarità. Ad un certo punto si formarono due polarità di segno diverso che rappresentano i principi fondamentali dell’universo: lo Yang, il principio positivo, maschile, rappresentato dal bianco nel Tao; lo Yin, il principio negativo, femminile, rappresentato dal nero.

I due principi interagirono sin dal principio, dando origine alla suprema polarità (T’ai Chi). Tutti i simboli che rappresentano questa suprema polarità (compreso il Tao) sono chiamati T’ai Chi T’u. Yin e Yang non hanno alcun significato morale, ma sono considerati elementi di differenziazione complementari.

Nel Tao Te Ching di Lao Tzu si dice che il Tao nutre tutte le cose, che crea una trama nel caos. La caratteristica propria di questa trama è una condizione di inappagabile desiderio, per cui i filosofi taoisti associano il Tao al cambiamento; le rappresentazioni artistiche che tentano di rappresentare il Tao sono caratterizzate da flussi.

Yin e Yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere Yin sotto un certo aspetto e Yang sotto un altro), ma mai antitetici, tanto che nella pienezza dell’uno è implicita l’origine dell’altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose. Yin e Yang sono i due princìpi che mantengono l’ordine naturale del Tao.

Ogni manifestazione dell’energia del Tao si palesa in cinque categorie indipendenti, i cinque elementi: Legno, Fuoco, Metallo, Terra, Acqua. Questi influiscono sulla vita dell’uomo sia esternamente, attraverso il clima e l’ambiente, sia internamente, attraverso i processi chimici che avvengono dentro al corpo.

Ognuno dei cinque elementi è caratterizzato dalla tendenza ad una polarità, o Yin o Yang. Legno e Fuoco sono di natura Yang; Metallo e Acqua sono di natura Yin; la Terra è di natura neutra, è sia Yin che Yang, poiché è il perno su cui si basano e in cui si ritrovano tutti gli altri elementi. L’Acqua e il Fuoco simboleggiano dunque la totale opposizione dei principi Yin e Yang, per questo sono disposti simmetricamente in contrapposizione nel bagua, per esempio (ne riparleremo).

Veniamo all’oggetto di questo blog e alla connessione di questo con il Tao. Le arti marziali orientali, in particolare quelle di origine cinese, trovano il loro fondamento filosofico nelle principali correnti di pensiero storicamente diffuse nell’area asiatica: il Taoismo, il Buddhismo e il Confucianesimo. Da ognuna di esse le arti marziali traggono gli aspetti più importanti della loro esistenza, fino a creare un sistema di condotta che prevede la capacità di comprendere i processi e i mutamenti naturali propria del Taoismo, la ricerca dell’essenza spirituale umana e del distacco dalla dimensione terrena di derivazione buddista, nonché, infine, la propensione all’autodisciplina e alla gerarchia fondata sul sapere, elemento mutuato dalla tradizione confuciana.

Nel sistema di condotta marziale, nella nostra etica, la ricerca interiore è quindi un cammino che percorre due strade: da una parte si guarda all’interno di se stessi, si medita e ci si concentra sul proprio essere individuandone limiti e capacità; dall’altra ci si rivolge al divenire delle cose e ai cambiamenti che stanno alla base di ogni processo creativo. Sebbene la strada sia duplice, la mèta è comunque unica: partecipare all’infinito mutamento dell’esistente ed essere in perfetta armonia con esso. Quindi, nel praticante marziale ogni lato del proprio comportamento, ogni momento dell’agire umano deve essere teso verso questo duplice obbiettivo.

Il praticante di arti marziali ricava e persegue un insegnamento fondamentale dal processo di mutamento dovuto alle leggi del Tao: in ogni cosa, uomini compresi, esiste un’energia (detta Ci, Chi, Qi o Ki) che partecipa al divenire delle cose; non necessariamente ne siamo coscenti e non sempre riusciamo a controllarla e a vivere in armonia con essa. Si deve riuscire a ridurre al minimo il tempo in cui le potenzialità vengono mal veicolate, male utilizzate o, addirittura, disperse. Si deve quindi raggiungere uno stato di completa armonia col mutamento universale. Naturalmente, perché ciò sia possibile, è necessario sottolineare che il cammino marziale deve essere percorso per tutta la vita.

La vita interiore di chi pratica le arti marziali deve quindi essere improntata all’armonia e ispirata dalla perfezione del cerchio del Tao; al concetto di armonia si ricollega quello di “equilibrio”. L’equilibrio fisico e mentale del praticante deve scorrere come scorrono le opposte energie del Tao: il positivo e il negativo, il duro e il molle, la verità e l’apparenza.

Il Taoismo, si diceva, ha influenzato in modo determinante le Arti Marziali Tradizionali Cinesi e, per questo, ha influenzato anche il mio personale cammino su questa terra. Nei giorni più bui, nei momenti peggiori della giornata, solo il Tao mi aiuta a superare la difficoltà.

Il principio guida della filosofia taoista, dicevamo, è il Wu Wei, che segue il motto “Il Tao non fa nulla tuttavia compie ogni cosa”. Può essere tradotto con “non-azione” o “assenza di attività”. Il termine non va preso tuttavia alla lettera, perché significa semplicemente che non bisogna agire in modo artificioso, forzato, in disaccordo con le leggi della Natura. Il Kung Fu non è un’arte violenta, proprio per questo, infatti, non bisogna “agire” attaccando, ma semplicemente adattare la nostra azione a quella dell’avversario. La morbidezza e la rotondità dei movimenti (che troviamo soprattutto nel nostro stile) sono qualità essenziali nella pratica del Kung Fu. L’armonia e la calma sono gli elementi che contraddistinguono l’arte cinese del Kung Fu, chi lo pratica solitamente rinuncia a qualsiasi forma di autoaffermazione, competizione e pratica l’arte dell’oblio di sé, per distaccarsi non solo dal suo avversario ma anche dal proprio ego.

Lo stesso Lao Tzu dice:
Un buon guerriero non è bellicoso
Un buon combattente non è collerico
Un buon vincitore non dà battaglia

La morbidezza e la cedevolezza sono qualità essenziali nella pratica delle arti marziali. Non bisogna infatti opporsi alla forza dell’avversario, ma bisogna utilizzare la sua forza per batterlo. Ecco perché Lao Tzu afferma che “fra due combattenti vince colui che cede”.

Nel Tao Te Ching (il Libro della via e della Virtù) è messa in evidenza l’importanza di non prendere sottogamba il proprio avversario: “Non c'è disgrazia più grande di prendere alla leggera il proprio avversario; se faccio così rischio di perdere i miei tesori”. L’umiltà deve essere una delle virtù fondamentali di un capo: "Un buon comandante è un uomo umile”.

Anche le tecniche taoiste fisiche di respirazione, di meditazione e di circolazione del Chi hanno avuto un’importanza determinante sullo sviluppo del Kung Fu, come scrivo da qualche tempo.

Ora, per tornare al discorso principale, mentre Confucio accettava la società in cui viveva ed insegnava i metodi per renderla migliore, la scuola di pensiero taoista negava tale società e cercava la salvezza al di fuori di essa. L’idea fondamentale consiste nell’identificazione con la Natura e con la sua Via. Secondo i taoisti ciò che deriva dall’uomo è l’origine della sofferenza, ciò che proviene dalla Natura è invece fonte di felicità. Il Taoismo è, in definitiva, una filosofia mistica.

Con il passare dei secoli i taoisti misero a punto tecniche complesse per la purificazione della mente e del corpo con l’ideale intento di raggiungere ciò che essi chiamavano “immortalità”. Immortale (Hsien) è colui che arriva a purificare la propria carne dal decadimento per il tramite di pratiche specifiche. Queste erano tecniche di concentrazione mentale e meditazione connesse con esercizi respiratori per la circolazione del Chi (Chi Kung). Essi impararono inoltre ad utilizzare erbe medicinali per promuovere e preservare la vitalità. Furono studiati speciali esercizi ginnici (Tao Yin) per la salute del corpo.

Taoismo viene pure scritto come Daojian (道 教), come metodo per studiare il Tao e per portare l’individuo in armonia con esso o, più precisamente, per unirlo allo stesso Tao. I saggi dicono: “Il Tao è per sempre e colui che lo possiede, benché il suo corpo possa cessare, non sarà distrutto”. Il Tao si riferisce ad un potere senza nome, privo di ogni forma, che pervade ogni cosa, porta all’esistenza tutte le cose e poi le riporta al non essere in un ciclo eterno. Le persone sono diverse e il Tao non è mai statico.

Il Taoismo è un sistema spirituale a molti livelli. Uno dei suoi punti basilari di origine filosofica consiste nell’accettare l’umanità e il mondo come sono. Partendo dalla stessa umanità, i Taoisti apprezzano le sue caratteristiche intrinseche di peccato e di aspirazione, di miseria e nobiltà, barbarie e scaltrezza, emozione e intelligenza, perversità e purezza, sadismo e compassione, violenza e pacifismo, egoismo e trascendenza.

Probabilmente soltanto il Tao può condurre l’Uomo verso la santità che ricerchiamo, sia nella sua pratica fisica che nella sua pratica spirituale. Non possiamo far a meno di dedicarci alla meditazione ed alla respirazione profonda, cari amici, lettori e praticanti di arti marziali…