Visualizzazione post con etichetta materiale didattico. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta materiale didattico. Mostra tutti i post

giovedì 27 agosto 2009

Il Tao come stile di vita V

Il sangue, invece, parte dal cuore, carico di sostanze vitali e attraverso arterie, capillari e vene torna al punto di partenza, privo di esse. Durante la fase dell’inspirazione avviene un processo per cui l’aria entra in contatto con il sangue; gli cede ossigeno e lo arricchisce nuovamente di quelle sostanze perse, preparandolo al ciclo successivo. È importantissimo quindi che l’ossigeno si leghi al sangue in maniera adeguata e sufficiente, perché più viene assorbito e tanto più miglioreranno le funzioni dell’intero organismo. Questo si spiega col fatto che l’ossigeno ha il compito di depurare il sangue ed alimentarlo di nuove sostanze. Pertanto, se l’apporto di aria nei polmoni risulta inadeguato, non avviene una completa depurazione e parte delle scorie ritorna in circolo. All’accadere di ciò, l’organismo ne soffre ed accelera il suo processo di invecchiamento: questo si spiega col fatto che poco ossigeno, legandosi con l’emoglobina del sangue, non permette una ottimale rigenerazione delle cellule.

A questo punto, risulta logico che una sana e corretta respirazione agisce in modo estremamente positivo, determinando, oltretutto, un sensibile sviluppo della capacità estensiva, contrattiva ed elastica della muscolatura e degli organi in genere. Il respiro, come spiegato, è un’operazione complessa. Nell’ambito di questa, è opportuno soffermare l’attenzione sul fatto che durante il suo ciclo, oltre le azioni già menzionate, avviene anche il contatto energetico e vitale con la sostanza vibrante dell’universo ovvero con l’essenza della vita stessa.

Le principali tecniche di respirazione tendono infatti ad aumentare e favorire l’assimilazione di ossigeno a livello polmonare e nei tessuti, con un fine quindi altamente positivo. Così, alla normale fase di inspirazione ed espirazione, si aggiunge la fase intermedia, l’intervallo di “ritenzione” del respiro, durante la quale l’ossigeno stesso poteva essere più a fondo assimilato.

Le tecniche che a noi interessano sono due: quella detta semplice e quella a narici alternate, che fu appositamente studiata per poter manipolare singolarmente o insieme le due forza Yin o Yang. Analizziamo la prima. In essa si assume la posizione del loto; la colonna vertebrale deve essere perfettamente dritta, le spalle rivolte all’indietro, il mento ed il corpo rialzati, braccia e mani distese sulle cosce. La prima fase inizia con l’inspirazione, la quale deve essere eseguita con molta calma, rilassamento ed armonia, seguendo il percorso che parte dalle narici e scorre prima verso i polmoni, passando attraverso i bronchi ed il torace; poi giunge in ultimo al diaframma, che con un piccolissimo sforzo dovrà essere abbassato, per consentire l’immagazzinamento di più Ch’i possibile; in questo preciso istante è anche necessario che l’addome sia sospinto all’infuori.

La seconda fase è quella della ritenzione. Restando immobili, si deve mantenere il torace nello stato di maggior dilatazione consentita, senza però forzare eccessivamente: sarebbe molto pericoloso! La suddetta dilatazione si ottiene con una profonda inspirazione. La fase intermedia, serve quindi a dar tempo all’ossigeno di venir assimilato nel miglior modo possibile, a livello degli alveoli polmonari. Bisogna anche fare attenzione che la cassa toracica, nella fase di tensione sia tenuta ferma, senza essere allo stesso tempo troppo rigida o tesa.

In ultimo, si ha il momento di completa espirazione. Essa consiste nell’emettere dalle narici tutta l’aria immagazzinata durante le fasi precedenti. Questo è un momento molto importante: se dovesse incorrere qualche errore proprio adesso, si rischierebbe infatti di gettare al vento tutto il lavoro svolto in precedenza. Dunque, l’aria deve essere espulsa attraverso le narici, impiegando un tempo circa due volte più lungo di quello occorso durante l’inspirazione; bisogna altresì fare attenzione ad espellere l’aria nella maniera più armoniosa e fluida possibile, senza interruzioni, scatti o a velocità incostante. Molto importante è badare a non forzare molto l’emissione. Se non si riesce ad impiegare un ritmo prolungato in questa fase, non si otterranno i migliori risultati, ma ciò nonostante bisognerà che si riesca a mantenere il flusso aereo uguale e costante, come l’alterarsi delle onde del mare, quando è calmo.

Subito dopo aver emesso l’aria, tramite lo svuotamento dei polmoni, occorre, senza lasciar trascorrere pausa alcuna fare un piccolo sforzo: contrarre all’indietro i muscoli addominali e innalzare il diaframma, in modo tale da svuotare completamente i polmoni. Di qui, verrà la successiva fase di inspirazione, in cui immagazzinare altra aria. Durante l’intero ciclo respiratorio – inspirazione, ritenzione ed espirazione – il praticante dovrà concentrarsi non tanto sul respiro, bensì su un punto preciso, il Tan-T’ien, sito, come detto più volte, a circa tre centimetri sotto l’ombelico, a tre dita di profondità, verso l’interno del nostro corpo. Per far intendere che cosa sia il Tan-T’ien è sufficiente affermare che esso rappresenta uno dei sette centri vitali del corpo umano.

A questo punto segue la seconda, fondamentale, tecnica respiratoria. Essa è conosciuta come respirazione a narici alternate, detta Anuloma-Viloma. Attraverso questo tipo di respirazione il praticante può mutare, aumentando o diminuendo, le due energie Yin o Yang dentro di lui. In tal modo potrà quindi adattare il suo corpo, concepito ora come conduttore di energia, alle necessità che gli possono essere richieste dalle circostanze.

Ad ogni narice corrisponde una delle due forze: per l’esattezza dalla narice sinistra si incanala l’energia Yin, mentre dalla narice opposta si incanala l’energia Yang, rispettivamente conosciute coi nomi sanscriti di Ida e Pingala. Vediamo adesso il sistema respiratorio che ne sfrutta l’incanalamento. Dalla consueta posizione, bisogna portare la mano destra a livello delle narici: con il pollice destro si eserciti pressione sulla parete esterna della narice stessa, in modo da occluderla; a questo punto ha inizio il ciclo respiratorio, inspirando dalla narice rimasta libera, vale a dire la sinistra, in tal modo si cominci ad inalare lentamente, seguendo il flusso aereo, prima attraverso il naso, poi tramite la trachea, i bronchi, fino a riempire del tutto i polmoni.

Con il dito anulare della mano destra, a polmoni pieni, si esercita pressione sulla narice sinistra chiudendola; qui subentra la fase di ritenzione del respiro. Una volta terminata, si allontana il pollice dalla narice destra e si espira completamente, attraverso quest’ultima. Conclusa l’espirazione, si inizia istantaneamente la fase ultima inspiratoria, tramite la narice destra, rimasta aperta, la quale verrà poi a trovarsi di nuovo chiusa, al termine del ripetuto atto, dal pollice. E così seguirà la seconda fase di ritenzione del respiro per poi seguire la totale e armoniosa espirazione di tutta l’aria, alzando il dito medio dalla narice sinistra. A questo punto il ciclo è terminato e bisogna soltanto ripeterlo allo stesso modo più volte. Altre modalità respiratorie saranno oggetto di ulteriori approfondimenti.

martedì 25 agosto 2009

Il Tao come stile di vita IV

Ringrazio tutti gli amici che hanno contribuito alla ricerca delle informazioni che sto cercando di trasmettere nella serie di post dedicati al Taoismo ed alle connessioni delle stesso con le Arti Marziali e con il corpo umano. Senza determinati aiuti non avrei potuto scrivere post come quello che segue. Bene o male tutti sappiamo che l’azione del corpo viene decisa e pilotata dal cervello. Per fare un esempio, se decidiamo di chiudere la mano a pugno, il cervello invierà, attraverso il nervo spinale, degli impulsi particolari, che fanno espresso riferimento a quella data azione. Essi giungeranno ai muscoli interessati, percorrendo la via più breve possibile.

Il nervo spinale, che si dirama dal midollo spinale, è collegato al muscolo mediante un meccanismo fisiologico, conosciuto come sinapsi. Gli stimoli chimici e fisici possono così essere trasmessi da una fibra nervosa ad una muscolare. Scendendo ancora in profondità, ogni cellula nervosa elabora particolari sostanze, liberate in seguito all’instaurarsi di un impulso nervoso. Tali sostanze, conosciute come mediatori chimici, agiscono sulla cellula immediatamente successiva, consentendo così in connessione sinaptica il passaggio dell’impulso da una fibra all’altra.

Del sistema nervoso ricordiamo i due mediatori più importanti: la noradrenalina, l’acetilcolina ed altri, quali la serotonina, l’acido ammino butirrico, l’acido glutamminico, la dopamina, l’adrenalina, etc. In sintesi, la sinapsi è un collegamento tra fibre nervose e, una volta colmo del mediatore chimico dell’acetilcolina, trasmette l’impulso di cellula in cellula, come ne fosse il ponte di congiunzione. Se ripetiamo molte volte di seguito un dato movimento, accade che quella cavità sinaptica, priva di cellule nervose, secernerà per lungo tempo acetilcolina, che, per le sue caratteristiche fisio-chimiche, renderà quello specifico movimento di volta in volta più lento.

Per velocizzare una tecnica si richiede quindi una profonda conoscenza dei nostri meccanismi interni, onde sopperire agli ostacoli naturali che si presentano di volta in volta. Se l’allenamento alla velocità viene perciò effettuato lasciando correre del tempo tra una tecnica e quella successiva – purché sia sempre la stessa – l’aceticlcolina avrà occasione di essere distrutta da particolari enzimi addetti a tale funzione e il movimento risulterà più rapido.

La ripetizione controllata di una tecnica particolare farà sì che venga sensibilmente accorciato il percorso che l’impulso nervoso dovrà compiere. L’abilità di ognuno deve quindi consistere nel corretto dosaggio dei tempi di intervallo tra le varie ripetizioni meccaniche dei movimenti prestabiliti e preferiti. Ma nella determinazione di un evento drammatico a volte non basta la velocità di reazione esaminata, se questa non sia prima controllata, dominando gli impulsi dell’istinto recondito e primordiale, sito in ognuno. Evidentemente vengono a galla altri fattori, più o meno conosciuti. In questa sede limitiamoci ad esaminare quello più importante.

Ogni uomo probabilmente ha sperimentato la sensazione di tensione che si manifesta all’insorgere di un grave pericolo, che minaccia la nostra incolumità. Secondo i casi, qualcuno avrà agito attivamente, finendo poi per volgere la situazione negativa a suo totale vantaggio, ma qualcun altro avrà “reagito”, restando ghiacciato dalla paura o stabilendo un nuovo record di velocità. Ecco la spiegazione: nei momenti di forte tensione emotiva, inerente il pericolo di vita od anche un pericolo per un nostro caro, la natura ci viene in soccorso con la sua complessa e perfetta organizzazione. Qui, infatti, entra in scena quella famosa sostanza, conosciuta sotto il nome di adrenalina. È un ormone secreto della sostanza midollare delle ghiandole surrenali e agisce sulla circolazione, sulla respirazione, sul metabolismo, fungendo da cardiostimolante, vasocostrittore (in tal caso, costringendosi i vasi sanguigni, la pressione aumenta e al contempo si accelerano notevolmente le principali funzioni dell’organismo) e broncodilatatore, consentendo così una maggiore ventilazione, in vista di un probabile supersforzo da compiere. La scarica di adrenalina produce anche l’effetto di velocizzare al massimo i movimenti e fornisce ai muscoli circa il doppio della normale forza fisica di un solo uomo. Ora diviene molto chiara l’importanza di saper controllare soprattutto l’adrenalina, indirizzando opportunamente a proprio vantaggio le sue potenzialità.

Anche sulla respirazione bisogna soffermarsi per bene. La respirazione è senz’altro la principale funzione degli organismi viventi e, a maggior ragione, dell’uomo, perché senza di essa la vita sarebbe del tutto impossibile. Inoltre, tale funzione, per l’importanza rivestita nel ruolo vitale, segna il destino di ognuno, in quanto, secondo come viene eseguita, possono scaturire i più disparati stati di salute. Tant’è vero che da una corretta respirazione gli immediati vantaggi consistono in una notevole vitalità dell’organismo, sia a livello fisico, sia a livello mentale: da una parte, infatti, si acquista resistenza alle malattie e vigore, dall’altra viene favorito lo sviluppo delle capacità intellettive, il controllo delle facoltà mentali ed uno stato di pacatezza attiva.

Al contrario, una respirazione errata o non controllata inibisce in modo considerevole le difese naturali del nostro corpo e non regola costantemente ed efficacemente la salute psico-fisica: da ciò deriva una precoce vecchiaia e una maggiore esposizione ai rischi di malattie fisiche e mentali, tra cui, in special modo, quelle relative agli stati emotivi, come, ad esempio, la nevrastenia (eccitabilità ed esaurimento del sistema nervoso), senso di angustia, dispepsia (cattiva digestione), cefalgia (mal di testa), etc.

Il respiro, dunque, è vita. In particolare, è molto importante, soprattutto per le due principali funzioni a cui assolve: da una parte permette di avere più ossigeno a disposizione del sangue e del cervello, dall’altra, in modo diretto, consente una migliore potenzialità fisica, sia il necessario controllo del Ch’i, dell’energia vitale, in base alla quale poter controllare anche la mente.

Spiriti e menti evolute, dotati di buona capacità di osservazione dei vari, affascinanti e mutevoli fenomeni della Natura, scoprirono che gli esseri dalla vita più longeva (la tartaruga, l’elefante, etc.) possedevano un ritmo respiratorio, una frequenza di cicli di inspirazione ed espirazione più lenti della norma. In seguito, quasi per imitazione, l’uomo cercò coscientemente di educarsi a questi nuovi ritmi, più lenti e salutari. S’intuiva che al rallentamento del respiro e alla sua funzione vitale, doveva far seguito una riduzione del normale processo metabolico dell’organismo e dei relativi consumi energetici.

Risulta molto interessante notare che in Oriente tutte le discipline esoteriche, di culture e periodi diversi, svilupparono ognuna proprie tecniche respiratorie, ma il risultato di tutti i vari studi e delle molteplici applicazioni si manifestò nel raggiungimento di conclusioni ed effetti simili, se non uguali. Ad esempio, in India la tecnica respiratoria più avanzata rientra nel vasto campo del Pranayama, mentre in Cina, pur se con alcune varianti, fa parte del cosiddetto Ch’i Kunh (o Chi Kung).

Bisogna allora dire che gli organi preposti al processo respiratorio in senso stretto sono i polmoni ed il cuore uniti tra loro, mediante arterie, che si diramano dai bronchi. I polmoni sono rivestiti dal cosiddetto sacco pleurico (composto da due membrane: quella viscerale, aderente alla parete polmonare, e quella parietale, aderente alla parete interna della gabbia toracica), un involucro elastico che consente loro di aderire al petto e di non generare attriti durante il ciclo respiratorio. L’aria, prima di giungere ad essi, inizia il suo percorso entrando dalle narici ed attraversando, nell’ordine, faringe, laringe, trachea e bronchi.

Continua…

domenica 23 agosto 2009

Il Tao come stile di vita III

Nel corso del nostro studio e della nostra ricerca è bene fare un salto anche nella struttura corporea umana, specialmente per spiegare bene ciò che concerne il sistema nervoso, che è in perfetta connessione con la pratica marziale, ma anche con la ricerca del Tao.

Il sistema nervoso è diviso in due parti: il sistema nervoso centrale e quello periferico. Vi è poi il sistema neurovegetativo (Ortosimpatico e Parasimpatico). Il primo comprende il cervello, il midollo spinale e le sue diramazioni. Il secondo è invece costituito dalla massa nervosa che risiede nella zona pelvica, addominale e toracica.

Al sistema cerebro spinale sono affidate le funzioni intellettive e i movimenti del corpo, mentre al sistema simpatico è delegata l’eccitazione delle varie funzioni quali la circolazione, la respirazione, la digestione, etc. A quest’ultimo è attribuita l’immagine di un doppio binario che fiancheggia i lati della spina dorsale, partendo dall’addome fino alla testa e interrotto sistematicamente da gangli nervosi, collegati fra loro. Questi sono poi uniti al sistema cerebro spinale mediante dei nervi, capaci di trasmettere impulsi sensoriali e motori.

Le terminazioni nervose, che partono dai gangli, confluiscono in una zona importantissima, conosciuta sotto il nome di plesso solare, il quale è sito all’altezza della bocca dello stomaco - in corrispondenza dello sterno - e, più in profondità, ai lati della colonna vertebrale. La cultura orientale ha sempre attribuito grande importanza a tale “centro” alla pari del cervello stesso e del basso addome, se non forse di più: sta di fatto che esso viene considerato come la zona in cui il Ch’i viene ad accumularsi. L’uomo deve comunque la propria vitalità al Ch’i, a questa comune essenza e, anche se non pienamente cosciente, deve sapere di poterne sempre disporre. L’energia che è in ogni persona si manifesta in due modi differenti: attraverso la forza fisica o attraverso la forza psichica.

Normalmente l’uomo conosce soltanto una parte di tali forze, le quali si manifestano nella vita quotidiana mediante la possibilità di muoversi (forza fisica) e la volontà di deciderlo (forza psichica). In realtà ne esiste una grande riserva nascosta dentro di noi, che noi ignoriamo. Se potessimo fare un paragone, potremmo immaginarla come la parte immersa di un iceberg che rappresenta i 2/3 del tutto alla quale corrisponde, in superficie, quella emersa che ne rappresenta, invece, 1/3.

L’energia nascosta, la forza interna, è ben nota alla cultura orientale. Accedere ad essa non è cosa facile, perché generalmente si manifesta in modo incontrollato, senza che l’uomo possa avere la capacità o la possibilità di “organizzarla” o di frenarla tanto facilmente. Nella pratica di alcune discipline bisogna, però, imparare ad usare tale forza in qualunque momento sia necessario, mediante l’unificazione dell’energia nostra con quella dell’universo (microcosmo e macrocosmo). In questo modo risulteranno elevate all’ennesima potenza sia la forza fisica, sia quella psichica e si potrà facilmente sopportare uno stress prolungato, a cui nessuno resisterebbe, o altri tipi di stimoli quali il freddo, la sete, il dolore, etc. controllando le funzioni organiche e non organiche.


Al fine del controllo interiore, parecchio servirono le correnti filosofiche, che si ripromettevano di aiutare l’uomo ad affrontare i problemi della vita, a comprendere e ad agire nel modo più valido possibile, di fronte alle avversità. Delle varie correnti, vennero presi in considerazione due concetti abbastanza diffusi ed atti allo scopo: il concetto di Centro ed il principio dell’Energia Interiore.

Osservando con spirito critico il mondo circostante, tenendo sempre presente anche quello interiore, ci si accorge che il caos è dappertutto e si manifesta attraverso la molteplicità, la confusione, la contraddittorietà e la sofferenza. In particolare tutte le angosce dell’animo ci impediscono di guardare le cose nel giusto verso e ciò, nell’uomo, crea instabilità, inganno e deviazione dai fini migliori. Come se non bastasse, l’individuo finisce per travisare il tutto e volgersi anche contro i suoi simili.


L’enorme fenomenologia dei casi dell’esistenza porta l’essere umano ad un disorientamento generale nel mondo delle false apparenze, ciò a causa di insormontabili ostacoli alla realizzazione di ideali di valore assoluto. Nel turbine delle sensazioni e delle esperienze falsate, possiamo e dobbiamo, in compenso, ricercare l’unicità, quale supremo punto di riferimento. L’unicità va intesa come sostanza essenziale o “centro” dell’esistenza: nel Centro il molteplice diviene unico, il disordine ordine, l’incomprensibile comprensibile, la morte vita, etc.

Il punto di incontro di tutte queste caratteristiche opposte è sempre e ovunque individuale e soggettivo, ma è vero Centro solo se comprende ed unifica tutti gli aspetti e le qualità eterogenee del mondo universale. Al contrario è falso se ne coglie soltanto alcuni aspetti. Nella cultura orientale la materializzazione fisica del centro era stata individuata nel basso addome, conosciuto dai cinesi come Tan T’ien (o Dan Dien) e dai giapponesi come Hara, in cui convergono vita e morte, nonché formazione ed evoluzione della personalità.

La dottrina, sviluppatosi su tali teorie, indica all’uomo la Via per comprendere se stesso e a questa via si perviene mediante la meditazione introspettiva, realizzando la prima delle cosiddette tre integrazioni, previste ed affermate da più di una corrente con varie sfumature. Affinché possa conseguirsi l’armonia è però necessario che l’uomo collabori con i suoi simili per il bene collettivo (raggiungimento del Centro della dimensione sociale) e raggiunga, in ultimo, il Centro della dimensione cosmica della “centralizzazione”, mediante la suprema intuizione e coscienza di essere giunto alla meta assoluta.

È in questo che trova luogo l’equilibrio universale. A tal punto è bene chiarire il significato di certa terminologia tecnica. Per “integrazione” si intende la conquista di uno o di tutti e tre gli stadi della saggezza ed è strettamente legata al concetto di Centro. Infatti, si usa la dicitura “integrazione nel Centro individuale - sociale - cosmico”, quando si vuole indicare che l’Iniziato ha raggiunto o carpito l’essenza di questi stati di relativa perfezione. Con l’occasione è meglio specificare l’equivalenza sommaria tra i termini “centralizzazione” e “integrazione”, perché l’uno implica logicamente l’altro. Ad essere meticolosi, “centralizzarsi” significa porre se stessi come punto fermo nel processo di maturazione interiore. I tre gradi (individuale, sociale, cosmico) indicano il livello conseguito nel suddetto processo.


L’esatta fusione dei tre centri rappresenta il fine ultimo dell’uomo: colui che riesce a centralizzarsi nel proprio Tan T’ien, inteso come punto di raccolta e di sfruttamento del Ch’i e, quindi, come potenziale spinta alla saggezza, gode di eterna armonia e beatitudine, non essendo più soggetto a conflitti interiori e tantomeno esteriori. Ciò è possibile, una volta che ci si è liberati dal turbine degli aspetti quotidiani, mediante il controllo nitido e determinato del circostante.

Attraverso la meditazione introspettiva e la conseguente centralizzazione, l’uomo scopre in sé una nuova forma di energia, molto potente e diversa da quella sviluppata dal sistema muscolare. I Cinesi erano convinti che tale forza scaturisse per effetto della suddetta centralizzazione (effetto volontario), oltre che in alcuni casi di grave pericolo per la propria vita (effetto involontario). Credevano anche che, grazie alla forza nascosta, l’uomo potesse adoperarsi con successo nella comprensione e nel controllo della molteplicità dei fenomeni, attraverso un particolare procedimento volto ad “imbrigliarla” e a saperne disporre all’occorrenza.


Una volta compresa la molteplicità caotica, allo stesso modo l’uomo può orientare la sua attenzione sulla vita, che altro non è se non un aspetto della trasformazione, del divenire e, quindi, del molteplice. Durante tale fase di riflessione, il basso addome, il Tan T’ien o l’Hara, muta da centro di comprensione a centro di vita. L’armonia universale è perciò quella che deriva dall’unione dei tre Centri: Individuale, Sociale, Cosmico.

È proprio grazie al controllo e al raggiungimento della triplice centralizzazione che risulta possibile varcare la soglia dell’impossibile, cogliendo l’essenza della forma primordiale, caratterizzata dall’equilibrio conflittuale di tutti gli elementi opposti tra loro. Da questo deriva che più è intensa la centralizzazione nel basso addome, tanto più è vasta l’intensità dell’energia, cui potere attingere. In sintesi vi sono tre gradi per l’uomo, prima che riesca ad afferrare l’Universale: nel primo stadio (ogni stadio inferiore può considerarsi indipendente da quello superiore, perché non lo presuppone; al contrario, ogni stadio superiore implica il già avvenuto raggiungimento di quelli inferiori) si ha la centralizzazione individuale, che viene identificata con la coordinazione tra il corpo e la mente; da ciò deriva grande forza e vitalità. Nel secondo stadio avviene la centralizzazione sociale, in cui alla potenza ed alla vitalità si assommano le energie necessarie per il conseguimento dei fini di interesse collettivo (potere di guidare le masse, carisma). Nel terzo ed ultimo stadio si ha la centralizzazione cosmica, la percezione dell’assoluto e l’onniscienza; a differenza dei due centri precedenti ed inferiori, modificabili dall’uomo per fini positivi o negativi, il terzo centro supremo è esclusivamente giusto, dato il carattere di imparzialità, dovuto al perfetto equilibrio degli elementi opposti, di cui si compone.

Per lo sfruttamento dell’energia coordinata sorsero molte correnti di pensiero; le prime furono originarie del Tibet, della Cina in generale e dell’India. Ognuna aveva caratteristiche proprie ben definite. Un metodo di incanalamento e di controllo dell’energia coordinata era basato su precisi esercizi, per la cui pratica bisognava conoscere tecniche di meditazione, concentrazione e respirazione. In particolare quest’ultima si dimostrava indispensabile per lo sviluppo ed il controllo del Ch’i.

Sulla base dei concetti di Centro e di Energia Iteriore sorse una vera e propria arte, conosciuta sotto il nome di Haragei. L’arte dell’Haragei prometteva in un certo senso ai suoi cultori di aiutare l’uomo nei molteplici problemi esistenziali: detto fine fu dimostrato raggiungibile e tutt’oggi l’Haragei è largamente praticato.

L’effetto principale di una sua corretta applicazione si manifesta nella visione universale e distaccata di ogni fenomeno, di cui si possa avere esperienza mediante i cinque sensi. Però il distacco spesse volte diveniva anche materiale e l’uomo poteva escludere il dolore fisico dal corpo come se da questo potesse sdoppiarsi e guardare freddamente tutto ciò che gli accadeva: questo spiega come fosse possibile per molti Monaci restare impassibili e sereni di fronte alla morte, sopportando il freddo e il fuoco.

L’assimilazione dell’Haragei consentiva e consente, infatti, limpidità interiore, fredda calma, decisionalità, armonia assoluta e distacco totale dal mondo materiale, quando ce ne sia bisogno. Mentre la limpidità interiore, la fredda calma e la decisiomalità sono il frutto della pratica dell’Haragei, la potenza, la precisione e la velocità possono essere invece migliorati con il Kiai. Scomponendo la parola, troviamo che il Ki (o Ch’i) significa “energia intrinseca”, mentre Ai (riunire o condensare) vuol dire armonia: si rammenti che il concetto di armonia implica la concentrazione di tutti gli elementi nella Unicità. Potremmo definire il Kiai come l’energia concentrata o come la potenza armonica della personalità. Il suo agente catalizzatore (che ne accelera, cioè, l’effetto) è la voce umana.

Anche il Kiai affonda le sue radici nel Tibet. Fin dall’antichità il grido dello spirito - così era chiamato – fu tenuto in alta considerazione, raggiungendo in breve tempo un elevato grado di perfezione, al punto tale da divenire la potenziale, unica arma, laddove fosse stato necessario.

Il Kiai è la concentrazione fisica e mentale nella parte del corpo che si vuole utilizzare. Mediante la voce, modulata per altezza, tono e vibrazione è infatti possibile tale concentrazione di energia. La veridicità di quanto detto è comprovata anche dall’uso che se ne fa anche in alcuni sistemi di cura e rianimazione. Esso potrebbe definirsi come l’espressione sonora dell’Haragei.

Esaminiamo come deve essere sviluppato e praticato. Normalmente si assume la posizione del Cavaliere (Ma Bu), si inspira lentamente, in profondità, riempiendo per gradi i polmoni, dopo di che si espira con forza, mediante una potente spinta contrattiva, fornita dal basso ventre. In questo preciso istante si sprigiona un verso molto simile al monosillabo “uhmm”. In tal modo, l’addome passerà dalla posizione di pieno a quella di vuoto, per effetto della violenta contrazione. Questo cambiamento del volume addominale può constatarsi adagiando le dita al di sotto dell’ombelico; l’accorgimento suggerito serve ad aiutare l’autodidatta a comprendere e ripetere correttamente il giusto movimento dell’addome, secondo il seguente ordine cronologico: l’Hara deve essere pieno durante l’inspirazione, mentre deve essere vuoto durante l’espirazione. Il grido che viene emesso è dato quindi dalla violenta contrazione del basso ventre e non dalle corde vocali, come si potrebbe pensare.

Continua...

venerdì 21 agosto 2009

Il Tao come stile di vita II

Continuiamo la nostra “chiacchierata” virtuale sul Taoismo e sui suoi principi guida, dopo la breve introduzione di qualche giorno fa. Il Taoismo, si diceva, è una religione o una filosofia – a seconda delle interpretazioni – la quale affonda le sue radici nello sciamanesimo dei radiosi immortali che vivevano sulle montagne sacre nutrendosi di vento. Ha avuto probabilmente origine nel V secolo avanti Cristo.

Avendo letto parecchie cose confuse sul Tao e sullo Zen, è bene pure chiarire che quando parliamo di Zen facciamo riferimento al Buddismo (o Buddhismo) Zen, la versione giapponese importata dalla Cina, definita Buddismo Chán dai cinesi. Il Buddismo Chán, a sua volta, ha preso origini dal Buddismo indiano e si è mescolato con le pratiche esoteriche taoiste. Potremmo definire lo Zen una filosofia buddista impregnata di esoterismo taoista.

Come dicevamo, alla base del Taoismo ci sono dei presupposti sciamanico-religiosi la cui origine è intuibile già dai commenti all’I Ching, per esempio, nel quale per la prima volta vengono in qualche modo definiti i primi principi taoisti, ossia lo Yin e lo Yang. Nell’I-Ching non vengono chiamati con questi nomi, ma i principi esposti sono gli stessi.

Il Buddismo è apparso molto tempo dopo rispetto al Taoismo. Quando arrivò in Cina il Taoismo aveva già conosciuto il suo massimo splendore come religione ufficiale. Gli imperatori avevano già cercato di far risalire la loro discendenza dallo stesso Lao Tze. Solo con l’avvento del Buddismo il Taoismo riesce in qualche modo a copiare la struttura organizzativa del Buddismo. Solo allora si vede la nascita dei vari ordini monastici, un simil-clero ben definito e un popolo di religiosi.


Bisogna ricordare che, pur utilizzando lo stesso termine Tao (la Via), ognuna delle tre maggiori correnti filosofiche cinesi, intende un utilizzo e un percorso ben diverso. Per i seguaci di Confucio, il Tao è la retta via da seguire, la quale si trova unicamente attraverso la rettitudine morale e la conoscenza. Per i buddisti, il Tao è la Via mostrata dal Buddha per uscire fuori dal ciclo delle nascite e delle morti. Per i taoisti il Tao è la via della natura, dove ogni cosa trova il giusto posto, nel giusto e naturale momento.

Per essere più precisi intorno alla questione relativa al Taoismo come religione o come filosofia, dobbiamo dividere le due correnti: una filosofica ed una settaria. In quella filosofica il Taoismo è stato organizzato a somiglianza della filosofia buddista: ci sono un grande sacerdote, vari monaci minori ed un popolo taoista. Sono riconosciuti anche vari Dei e Santi ad immagine di quelli cristiani, per esempio. L’altra corrente è quella settaria, nella quale vi sono pratiche più o meno ortodosse ed è guidata da singoli Maestri.

Se analizziamo la struttura filosofica del Taoismo, notiamo gli imponenti richiami alla tranquillità, che è superiore all’agitazione perché è la residenza del Tao. Lo stato di purezza e tranquillità dovrebbe basarsi sull’evitare i desideri dei sensi. Da questo punto di vista è interessante la questione relativa al sesso. C’è una bella canzone di Franco Battiato, Tao, che descrive proprio la questione. Un’altra cosa importante da non sottovalutare nella struttura filosofica taoista è la figura del saggio, che non interferisce - o lo fa minimamente - nella vita delle persone e sul corso delle cose.

La tranquillità è uno degli obbiettivi apparentemente più semplici da raggiungere, ma che rappresenta una delle prime grandi conquiste da ottenere. Per quel che riguarda i desideri da abbandonare, vi basti pensare a quante volte non vi allenate perché attirati da altro (un film alla tv, una birra con gli amici, una cena succulenta, la compagna che quella sera il mal di testa, eh eh eh, etc.). Forse sembra banale, ma anche il fatto di saper dire no a se stessi prima che agli altri contribuisce molto a migliorare l’atteggiamento necessario a mantenere lo stato di tranquillità.

Il Taoismo come religione è una via pratica che richiede una trasmissione da un Insegnante. Se sono concetti astratti non portano che a deviazioni mentali. Se lo studio resta un insieme di pensieri nella mente, si rischia di sbagliare strada. In linea di massima, i comportamenti errati vengono a galla da soli quando la pratica e la disciplina sono corrette, ma non c’è una regola precisa. Diciamo che due pilastri con cui bisogna sempre fare i conti sono la tranquillità o la quiete (Jing). Non necessariamente essere tranquilli significa stare fermi così come non significa che ci debba essere assenza di azione. L’altro pilastro è lo stato di purezza (Qing). Possiamo considerarla una qualità delle emozioni, non di qualche emozione a cui possiamo fare riferimento per comodità morale. Si tratta dell’emozione nel suo più puro momento di creazione.

Le emozioni e i desideri disperdono l’energia, ma sono necessari per vivere. Eppure solo rinunciando ai desideri si può raggiungere la tranquillità. Il Tao è un flusso vitale che genera tutto, è l’armonia universale del cosmo che unisce terra, uomo e cielo. L’armonia è la tranquillità.

Se è vero che il Taoismo affonda le sue radici nell’antica cultura cinese, bisogna ricordare che ha visto nel corso dei secoli molteplici sviluppi e declinazioni: nell’arte come nella vita quotidiana e naturalmente nella spiritualità. Sulla via del Tao, della saggezza dell’antica visione filosofica cinese, l’individuo raggiunge uno stato di armonia con il mondo naturale e lo fa integrando nella sua vita quotidiana meditazioni, attività motorie e spirituali specifiche volte a rivitalizzare il soffio vitale.

Tra i valori più importanti che il Tao ci trasmette, io metterei tra i primi il rispetto e la sincerità, la cancellazione dell’io e la pratica della non azione nei confronti delle cose quotidiane. Sono solo tre principi da perseguire sulla via del Tao, i quali, uniti a tecniche specifiche indirizzate al controllo del corpo, del respiro e delle principali funzioni fisiologiche, portano verso il Tao. Il Wu Wei, la non azione, è concetto assai caro al Taoismo, come alle Arti Marziali Tradizionali Cinesi, che da esso hanno attinto. Concetti che troviamo nel Kung Fu, sia negli stili interni che esterni delle arti marziali cinesi.

Se vogliamo scendere nello specifico della connessione tra le arti marziali ed i principi taoisti, bisogna dire che fin dall’antichità risulta affermata in alcuni dotti la convinzione che nell’aria risiedesse il principio vitale dell’universo; questo stesso era conosciuto sotto vari nomi, secondo le varie culture dei diversi Paesi, ma tutte le civiltà che lo presero in considerazione furono concordi nell’attribuirgli la vita di ogni essere animale e vegetale.

Essendo l’aria la sede di questa forma di energia primordiale, dai Cinesi chiamata Ch’i (o Chi, Ki, etc.), è molto importante che l’uomo sappia sfruttarne tutti i possibili vantaggi. Per arrivare a ciò, occorre saper estrarre dall’aria la sostanza vitale, nella maggior quantità possibile. A tal fine la cultura orientale si è sempre occupata della respirazione, quale processo vitale, mediante la concentrazione di ossigeno e, parallelamente, di Ch’i. Pensiamo quindi alla connessione tra la nostra pratica marziale e la respirazione. Senza una buona respirazione non c’è flusso d’energia e, di conseguenza, non c’è armonia.

Continua...

martedì 11 agosto 2009

Il Tao come stile di vita I

Cari amici e lettori, sto passando alcuni giorni nelle terre senesi, tra le colline e la vista del Monte Amiata. In queste terre di pace e tranquillità la meditazione è più semplice e vi si può ricorrere con estrema facilità in qualsiasi momento della giornata, perché i suoni, gli odori ed i sapori ti aiutano ad allontanarti dalle passioni quotidiane.

In questi momenti di estrema serenità ho pensato di dedicarmi al blog e, quindi, a voi, cari amici e lettori, per parlarvi della mia scelta di vivere secondo i principi taoisti, per quanto mi è possibile e per quanto la natura umana – fallibile e imperfetta – me lo permette.


Secondo il pensiero taoista – diversamente da quello confuciano, per esempio – esiste un’armonia universale che lega tutti i livelli del cosmo: cielo, uomo e terra (heaven, human, earth, vi ricorda niente?). Il principio su cui si fonda il Taoismo è il Tao, termine di non facile interpretazione, tanto che un verso del Taodeing (o Tao Te Ching) recita: “Il tao che può essere definito col nome non è il tao costante”. L’essere nella sua essenza scorre, si modifica, non si cristallizza; per questo non può essere spiegato con una frase. Tao () potrebbe essere letteralmente tradotto come la Via o il Sentiero; la traslitterazione in pinyin è dào.

Possiamo, però, dire che il tao, presente in ogni cosa, la condiziona. Esso è un flusso vitale da cui ha avuto origine tutto, che scorre incessantemente, mutando sempre pur rimanendo sempre lo stesso. Il simbolo del tao è formato da due spirali: una che avvolge l’altra e viceversa, partendo da un unico Centro. Le due spirali rappresentano la discesa e l’ascesa degli aspetti opposti di ogni energia del cosmo. Il simbolo è una simmetria rotazionale ciclica: la spirale bianca ha l’inizio dove termina la spirale nera; essa si avvolge ed aumenta fino ad un massimo, ma poi manifesta in se stessa la sua tendenza opposta (punto nero), il quale si svolge proprio a partire da lì. Anche questo aspetto raggiunge un massimo finché si manifesta la tendenza opposta (punto bianco), che si avvolge e così via, ciclicamente.

Come religione popolare, il Taoismo dispone di diverse pratiche per potenziare e per rendere immortale il corpo: diete alimentari di vario tipo (il vegetarismo, l’ingestione di prodotti ottenuti tramite ricerche alchemiche), tecniche respiratorie (come lo Yoga), ginniche, sessuali e contemplative. Più che alla religione, noi dobbiamo guardare all’obiettivo del Taoismo filosofico: raggiungere la santità, lo stato di perfetta armonia con il mondo naturale, uno stato che si acquista uniformandosi ad esso tramite la meditazione, che permette l’identificazione con il Tao. La natura non deve essere alterata dall’azione umana: il taoista pratica e predica il “non agire” (Wu Wei) in tutti i campi, non lasciandosi turbare né dai mutamenti, né dalla morte.

Nella filosofia taoista il Tao ha come funzione fondamentale quella di rappresentare l’universo, il quale nacque nello stato di Wu Chi, assenza di differenziazioni e di polarità. Ad un certo punto si formarono due polarità di segno diverso che rappresentano i principi fondamentali dell’universo: lo Yang, il principio positivo, maschile, rappresentato dal bianco nel Tao; lo Yin, il principio negativo, femminile, rappresentato dal nero.

I due principi interagirono sin dal principio, dando origine alla suprema polarità (T’ai Chi). Tutti i simboli che rappresentano questa suprema polarità (compreso il Tao) sono chiamati T’ai Chi T’u. Yin e Yang non hanno alcun significato morale, ma sono considerati elementi di differenziazione complementari.

Nel Tao Te Ching di Lao Tzu si dice che il Tao nutre tutte le cose, che crea una trama nel caos. La caratteristica propria di questa trama è una condizione di inappagabile desiderio, per cui i filosofi taoisti associano il Tao al cambiamento; le rappresentazioni artistiche che tentano di rappresentare il Tao sono caratterizzate da flussi.

Yin e Yang sono opposti e complementari tra di loro, relativi (si può essere Yin sotto un certo aspetto e Yang sotto un altro), ma mai antitetici, tanto che nella pienezza dell’uno è implicita l’origine dell’altro. Il loro alternarsi determina tutte le cose. Yin e Yang sono i due princìpi che mantengono l’ordine naturale del Tao.

Ogni manifestazione dell’energia del Tao si palesa in cinque categorie indipendenti, i cinque elementi: Legno, Fuoco, Metallo, Terra, Acqua. Questi influiscono sulla vita dell’uomo sia esternamente, attraverso il clima e l’ambiente, sia internamente, attraverso i processi chimici che avvengono dentro al corpo.

Ognuno dei cinque elementi è caratterizzato dalla tendenza ad una polarità, o Yin o Yang. Legno e Fuoco sono di natura Yang; Metallo e Acqua sono di natura Yin; la Terra è di natura neutra, è sia Yin che Yang, poiché è il perno su cui si basano e in cui si ritrovano tutti gli altri elementi. L’Acqua e il Fuoco simboleggiano dunque la totale opposizione dei principi Yin e Yang, per questo sono disposti simmetricamente in contrapposizione nel bagua, per esempio (ne riparleremo).

Veniamo all’oggetto di questo blog e alla connessione di questo con il Tao. Le arti marziali orientali, in particolare quelle di origine cinese, trovano il loro fondamento filosofico nelle principali correnti di pensiero storicamente diffuse nell’area asiatica: il Taoismo, il Buddhismo e il Confucianesimo. Da ognuna di esse le arti marziali traggono gli aspetti più importanti della loro esistenza, fino a creare un sistema di condotta che prevede la capacità di comprendere i processi e i mutamenti naturali propria del Taoismo, la ricerca dell’essenza spirituale umana e del distacco dalla dimensione terrena di derivazione buddista, nonché, infine, la propensione all’autodisciplina e alla gerarchia fondata sul sapere, elemento mutuato dalla tradizione confuciana.

Nel sistema di condotta marziale, nella nostra etica, la ricerca interiore è quindi un cammino che percorre due strade: da una parte si guarda all’interno di se stessi, si medita e ci si concentra sul proprio essere individuandone limiti e capacità; dall’altra ci si rivolge al divenire delle cose e ai cambiamenti che stanno alla base di ogni processo creativo. Sebbene la strada sia duplice, la mèta è comunque unica: partecipare all’infinito mutamento dell’esistente ed essere in perfetta armonia con esso. Quindi, nel praticante marziale ogni lato del proprio comportamento, ogni momento dell’agire umano deve essere teso verso questo duplice obbiettivo.

Il praticante di arti marziali ricava e persegue un insegnamento fondamentale dal processo di mutamento dovuto alle leggi del Tao: in ogni cosa, uomini compresi, esiste un’energia (detta Ci, Chi, Qi o Ki) che partecipa al divenire delle cose; non necessariamente ne siamo coscenti e non sempre riusciamo a controllarla e a vivere in armonia con essa. Si deve riuscire a ridurre al minimo il tempo in cui le potenzialità vengono mal veicolate, male utilizzate o, addirittura, disperse. Si deve quindi raggiungere uno stato di completa armonia col mutamento universale. Naturalmente, perché ciò sia possibile, è necessario sottolineare che il cammino marziale deve essere percorso per tutta la vita.

La vita interiore di chi pratica le arti marziali deve quindi essere improntata all’armonia e ispirata dalla perfezione del cerchio del Tao; al concetto di armonia si ricollega quello di “equilibrio”. L’equilibrio fisico e mentale del praticante deve scorrere come scorrono le opposte energie del Tao: il positivo e il negativo, il duro e il molle, la verità e l’apparenza.

Il Taoismo, si diceva, ha influenzato in modo determinante le Arti Marziali Tradizionali Cinesi e, per questo, ha influenzato anche il mio personale cammino su questa terra. Nei giorni più bui, nei momenti peggiori della giornata, solo il Tao mi aiuta a superare la difficoltà.

Il principio guida della filosofia taoista, dicevamo, è il Wu Wei, che segue il motto “Il Tao non fa nulla tuttavia compie ogni cosa”. Può essere tradotto con “non-azione” o “assenza di attività”. Il termine non va preso tuttavia alla lettera, perché significa semplicemente che non bisogna agire in modo artificioso, forzato, in disaccordo con le leggi della Natura. Il Kung Fu non è un’arte violenta, proprio per questo, infatti, non bisogna “agire” attaccando, ma semplicemente adattare la nostra azione a quella dell’avversario. La morbidezza e la rotondità dei movimenti (che troviamo soprattutto nel nostro stile) sono qualità essenziali nella pratica del Kung Fu. L’armonia e la calma sono gli elementi che contraddistinguono l’arte cinese del Kung Fu, chi lo pratica solitamente rinuncia a qualsiasi forma di autoaffermazione, competizione e pratica l’arte dell’oblio di sé, per distaccarsi non solo dal suo avversario ma anche dal proprio ego.

Lo stesso Lao Tzu dice:
Un buon guerriero non è bellicoso
Un buon combattente non è collerico
Un buon vincitore non dà battaglia

La morbidezza e la cedevolezza sono qualità essenziali nella pratica delle arti marziali. Non bisogna infatti opporsi alla forza dell’avversario, ma bisogna utilizzare la sua forza per batterlo. Ecco perché Lao Tzu afferma che “fra due combattenti vince colui che cede”.

Nel Tao Te Ching (il Libro della via e della Virtù) è messa in evidenza l’importanza di non prendere sottogamba il proprio avversario: “Non c'è disgrazia più grande di prendere alla leggera il proprio avversario; se faccio così rischio di perdere i miei tesori”. L’umiltà deve essere una delle virtù fondamentali di un capo: "Un buon comandante è un uomo umile”.

Anche le tecniche taoiste fisiche di respirazione, di meditazione e di circolazione del Chi hanno avuto un’importanza determinante sullo sviluppo del Kung Fu, come scrivo da qualche tempo.

Ora, per tornare al discorso principale, mentre Confucio accettava la società in cui viveva ed insegnava i metodi per renderla migliore, la scuola di pensiero taoista negava tale società e cercava la salvezza al di fuori di essa. L’idea fondamentale consiste nell’identificazione con la Natura e con la sua Via. Secondo i taoisti ciò che deriva dall’uomo è l’origine della sofferenza, ciò che proviene dalla Natura è invece fonte di felicità. Il Taoismo è, in definitiva, una filosofia mistica.

Con il passare dei secoli i taoisti misero a punto tecniche complesse per la purificazione della mente e del corpo con l’ideale intento di raggiungere ciò che essi chiamavano “immortalità”. Immortale (Hsien) è colui che arriva a purificare la propria carne dal decadimento per il tramite di pratiche specifiche. Queste erano tecniche di concentrazione mentale e meditazione connesse con esercizi respiratori per la circolazione del Chi (Chi Kung). Essi impararono inoltre ad utilizzare erbe medicinali per promuovere e preservare la vitalità. Furono studiati speciali esercizi ginnici (Tao Yin) per la salute del corpo.

Taoismo viene pure scritto come Daojian (道 教), come metodo per studiare il Tao e per portare l’individuo in armonia con esso o, più precisamente, per unirlo allo stesso Tao. I saggi dicono: “Il Tao è per sempre e colui che lo possiede, benché il suo corpo possa cessare, non sarà distrutto”. Il Tao si riferisce ad un potere senza nome, privo di ogni forma, che pervade ogni cosa, porta all’esistenza tutte le cose e poi le riporta al non essere in un ciclo eterno. Le persone sono diverse e il Tao non è mai statico.

Il Taoismo è un sistema spirituale a molti livelli. Uno dei suoi punti basilari di origine filosofica consiste nell’accettare l’umanità e il mondo come sono. Partendo dalla stessa umanità, i Taoisti apprezzano le sue caratteristiche intrinseche di peccato e di aspirazione, di miseria e nobiltà, barbarie e scaltrezza, emozione e intelligenza, perversità e purezza, sadismo e compassione, violenza e pacifismo, egoismo e trascendenza.

Probabilmente soltanto il Tao può condurre l’Uomo verso la santità che ricerchiamo, sia nella sua pratica fisica che nella sua pratica spirituale. Non possiamo far a meno di dedicarci alla meditazione ed alla respirazione profonda, cari amici, lettori e praticanti di arti marziali…

venerdì 3 luglio 2009

Materiale didattico e rapporto Insegnante-Allievo II

Riprendiamo il discorso di ieri. L'Insegnante deve tener conto delle diverse tipologie di Allievi in termini capacità di apprendimento, nonché delle diverse abilità pregresse, così come delle varie corporature, etc. La metodologia dell’insegnamento deve combinare tecniche e modalità diverse fra di loro, anche opposte, per coprire la maggior parte delle tipologie.

Nell’insegnare una postura o un movimento, oltre ad una spiegazione razionale, scientifica, va affiancato un approccio intuitivo e sensitivo possibilmente basato su esperienze corporee già interiorizzate. Si può ricorrere ad immagini o forme verbali, che suscitino nell’allievo sensazioni immediatamente riscontrabili nel proprio corpo. La “spiegazione” deve estendersi a 360 gradi; la capacità dell'Insegnante si riscontra anche da questo e non soltanto dalla sua co
mpetenza o abilità tecnica.

L’Allievo, da parte sua, deve interpretare per sé tale percorso, partendo dalla manifestazione scaturita dall’applicazione dei Principi. Deve sapere qual è il modo migliore per lui di apprendere e valorizzarlo, lasciarsi “penetrare” o meglio “permeare” dall'Insegnante, pur mantenendo la propria identità e personalità. Si devono creare le condizioni migliori per uno scambio “osmotico” fra Insengante ed Allievo, ma anche fra Allievo anziano (o fratello maggiore) e Allievo giovane (o fratello minore); lo spirito di collaborazione ed una sincera voglia di apprendere con un buon pizzico di umiltà e pazienza completano l’atmosfera nella quale viene a crearsi il processo di apprendimento. Infine, l’allievo deve studiare e capire per interiorizzare i Principi.

Nell’osservazione e nella ripetizione dei movimenti compiuti dall'Insegnante l’Allievo attraversa una fase di imitazione nella quale la manifestazione esterna del movimento costituisce soltanto una faccia del movimento complessivo. Infatti, le persone sono sostanzialmente simili fra loro nella media, pertanto non vi saranno differenze significative nella manifestazione corporea del principio applicato. Ma se, ad esempio, abbiamo un Insegnante di piccola statura che esegue posizioni molto basse relativamente alle nostre dimensioni, il volerlo imitare solo dall’esterno richiederebbe uno sforzo inutile oltre che dannoso nel cercare di raggiungere le sue prestazioni.

giovedì 2 luglio 2009

Materiale didattico e rapporto Insegnante-Allievo I

Quanta importanza riveste l’ausilio di materiale didattico nel processo di apprendimento (come dell'insegnamento) di un'arte marziale? Come si passa dalla lettura, dalla visione e dallostudio di un testo, di un dvd o di un articolo di Arti Marziali all’apprendimento di un principio, di un movimento o di un concetto?

Le problematiche che emergono dalla formulazione di queste domande determinano la necessità di chiarire un concetto fondamentale: la parola (scritta o parlata) deve essere collegata al corpo, al gesto, al movimento, seguendo un percorso preciso: dall'acquisizione dell’informazione da un materiale (es. libro o audio-video) all'interpretazione; solo dopo si può avere la comprensione intellettuale, poi quella gestuale e, infine, l'efficacia gestuale.

Secondo me è necessario sviluppare un percorso didattico che affronti le difficoltà di insegnamento e di apprendimento nella trasmissione di un sapere che non è soltanto cerebrale, ma anche vissuto sul proprio corpo in quanto ogni corpo ha proprie capacità e potenzialità percettive.


Ciò significa che ognuno di noi deve filtrare ed elaborare ciò che vede e sente, non prendendo tutto per oro colato. Si deve far tesoro della propria esperienza diretta, non di quella di altri, perché ognuno di noi ha una propria fisicità, una predisposizione per un certo tipo di distanza di lotta o per un certo tipo di tecnica. Bisogna fidarsi delle proprie esperienze più che delle parole di qualcuno.

Nel processo di apprendimento (o di insegnamento) è fondamentale conoscere, per l’Allievo, e riconoscere, per l'Insegnante, i Principi che sono all’origine dell'arte marziale, sopratutto per quelle cosiddette “interne”. Per l'Insegnatne si tratta di tradurre costantemente i Principi nella loro manifestazione corporea.

Bisogna far capire che i Principi (per definizione) sono uguali per tutti, ma la loro manifestazione nel corpo può variare a seconda della persona e dello stile praticato e quindi, dell'Insegnante, non va copiato soltanto il movimento ma ne va compreso il percorso interpretativo dal Principio alla sua manifestazione.