giovedì 29 settembre 2011

Intervista a Luigi Rossi

Oggi incontriamo il Maestro Luigi Rossi, fondatore della Scuola dell'Acqua - Wing Txun.  

Ci puoi dire qualcosa sulla tua vita?  

Sono cresciuto in una famiglia in cui sia mio padre che mia madre uscivano di casa molto presto per andare al lavoro e tornavano tardi, per cui ero lasciato essenzialmente a me stesso per tutto il giorno. Gli amici dell’epoca mi fecero conoscere l’ambiente dei tifosi più accaniti e violenti “della curva” (romanista) e divenni anch’io uno di loro. Devo quindi dire che purtroppo, pur essendo di buona famiglia e con niente che mi mancasse, per le ragioni che ho detto ero una testa calda e sono cresciuto in strada. Fortunatamente, due eventi hanno cambiato questo corso di cose: l’incontro con la ragazza che poi è divenuta mia moglie che dimostrando grande pazienza è riuscita a tirarmi fuori da quell’ambiente e – in secondo luogo – l’incontro proprio con il WX. Voglio sottolineare che a contribuire al mio cambiamento interiore non è stato l’incontro con un’arte marziale qualunque, perché io già praticavo full contact. Invece è stata proprio l’impostazione che richiedeva il mio primo insegnante (sifu Fries) a provocare questo mutamento. Fries insisteva molto sull’aspetto della gestione delle situazioni da strada: non essere aggressivo e non aggredire, bensì imparare a difendersi quando necessario e non perché siamo stati noi i primi a provocare. Questo ha cambiato la mia mentalità: ho smesso di essere un attaccabrighe, passando dalla logica dell’aggressore a quella dell’eventuale aggredito. Come facilmente comprensibile, ciò comporta una visione interiore completamente diversa dell’approccio della persona alle situazioni di potenziale scontro fisico. 

Quando hai iniziato a praticare Arti Marziali?  

Ho iniziato a fare WX nel 1989. Prima, da ragazzino, avevo praticato judo (fino al grado di cintura blu) e in seguito full contact (dai 16 anni e per i sette successivi). I miei risultati nel full contact erano di buon livello: ho partecipato a diversi campionati regionali e poi nazionali, un anno arrivando terzo agli assoluti. Poi accadde che nel corso di una preparazione per una gara di full contact presi un colpo d’incontro dal mio sparring partner, il che mi provocò una frattura scomposta al setto nasale, con un periodo di allontanamento dalla palestra di 6 mesi, per la post-degenza. Quando tornai a praticare full contact avevo già conosciuto sifu Fries che ben presto mi fece nascere l’amore per il WX. Così abbandonai il full e passai alla nuova arte. Nel 1991 divenni istruttore di WX e l’anno successivo aprii il mio primo corso come insegnante e sempre nel 1992 il wx diventò la mia unica professione.   

Con chi iniziasti a studiare lo stile WingTsun? 

Come ho già avuto modo di dire, il mio primo insegnante è stato sifu Michael Fries. A quel tempo egli era il responsabile per Roma di una grossa organizzazione internazionale di WX. Ciò mi ha dato modo di partecipare ben presto a stage e incontri tecnici che ampliavano i limiti connessi ai frequentatori di una sola palestra, nel senso che avevo spesso modo di confrontarmi tecnicamente con praticanti di tutta Italia. Questo aspetto, senza dimenticare quello parallelo delle amicizie e conoscenze che nel corso degli stage venivano a maturarsi sul piano personale e relazionale, ha indubbiamente contribuito positivamente alla mia crescita nel WX.   

Chi sono stati i tuoi Maestri nel passato?  

Quasi subito, all’epoca di sifu Fries, iniziai ad allenarmi a Livorno. Qui, come referenti tecnici per gli stage c’erano il Maestro Kernspecht e il Maestro Leung Ting. 

E chi è il tuo attuale Maestro? 


Per rispondere a questa domanda devo fare una premessa, necessaria per evitare di essere considerato una persona presuntuosa o poco riconoscente. Io mi sono staccato dall’organizzazione nella quale ho iniziato a praticare WX, per ragioni tra le quali spiccano quelle di carattere tecnico. Non mi riconoscevo più in ciò che veniva insegnato e trovavo fossero necessarie delle profonde modifiche se si voleva che i principi dell’arte dovessero – come credo – essere rispettati. Per questa ragione, avvalendomi dell’esperienza maturata e delle personali considerazioni critiche che si erano sviluppate parallelamente ad essa, ho elaborato una mia interpretazione del WX che – appunto – tiene in gran conto i principi dell’evitare la forza dell’avversario e del conservare quella che chiamo “lucidità” nei movimenti. In base a questa lunga premessa, non posso più dire di avere un maestro di riferimento. E questo – ripeto – non perché non riconosca chi mi ha fatto crescere nel mio percorso marziale ma perché ho elaborato personalmente e indipendentemente ciò che pratico e insegno oggi.   

Come si può diventare SiFu nella tua associazione? 

Il primo requisito è l’aver conseguito il secondo grado tecnico da almeno un anno e avere degli allievi diretti. Non è importante il loro numero ma è richiesto che essi abbiano un regolare inquadramento all’interno di un corso collettivo o individuale. Questo per il significato stesso del termine sifu (=padre): non si può essere padre se non si hanno dei figli (allievi). Il secondo requisito è avere una visione comune e sinergica alla mia circa gli obiettivi e le metodologie didattiche all’interno della Scuola. Un sifu non può agire solo per proprio conto e interesse, bensì deve perseguire il bene dell’intera organizzazione. E’ ovvio e normale che un sifu abbia le proprie inclinazioni ed i propri interessi personali ma è altrettanto evidente che tali interessi non possono porsi in contrasto con quelli della Scuola.   

Quante ore ti alleni al giorno? 

Attualmente mi alleno 3, al massimo 4 ore al giorno. Fino a qualche anno fa mi allenavo di più, ma si trattava di un lavoro diverso, in un certo senso più “meccanico”, derivante come ho detto sopra da un’impostazione completamente diversa (e che ho trovato progressivamente sempre meno soddisfacente) del WX. Oggi l’impegno psico-fisico e il grado di concentrazione sono diversi, senz’altro superiori, in quanto la caratteristica della mia Scuola è una grande attenzione ad ogni singolo movimento e alla lucidità mentale che lo deve necessariamente accompagnare. Ogni istante richiede la massima attenzione e “presenza cosciente” in chi sta praticando, perché ogni movimento deve essere perfettamente controllato dalla volontà e comporta la possibilità di modificare in ogni istante gli obiettivi e le finalità del movimento stesso. Io non insegno mosse o sequenze di mosse prestabilite, quindi è facile comprendere che ogni situazione richiede un’attenzione “fresca” ed elevata, sia visiva che tattile. Lo sforzo è tale che al termine di ogni lezione sono esausto e 3-4 ore al giorno sono il massimo che ritengo giusto permettermi per un allenamento di qualità, sia mio personale che con gli allievi. A completamento di queste riflessioni, devo dire che in passato ho gestito classi anche di 20 praticanti, il che mi permetteva, nei momenti in cui passavo tra i vari gruppi per controllare il loro lavoro, di godere di momenti - per così dire - di pausa. Ora invece mi dedico esclusivamente agli allenamenti individuali, in cui sono chiamato in prima persona a muovermi e concentrarmi con l’allievo cui sto facendo lezione. In altri termini, non ho pause in cui supervisiono il lavoro altrui, ma lavoro costantemente e senza interruzione con il singolo allievo. Sono quindi preso sia fisicamente che mentalmente al 100% del tempo che dedico all’allenamento. In un senso più ampio, vorrei aggiungere che benché da solo non mi alleni, la mia giornata è permeata dal WX. In un certo senso “non stacco mai la spina”. A casa, in motorino nei miei spostamenti e persino nelle occasioni sociali, cerco di muovermi in un modo coerente con il mio modo di muovermi in palestra. Questo può apparire strano, ma il WX è la mia vita e io credo molto in quello che faccio. In questa prospettiva, può apparire meno strano se dico che anche in motorino bado a un certo tipo di rilassamento muscolare, alla mia postura, alla capacità di non irrigidirmi e restare invece reattivo. Per me il WX è innanzitutto lucidità mentale e uno stato fisico che permette di agire prontamente e senza doversi prima “mettere in guardia”. Quindi sono io che ora faccio la domanda: quanto mi alleno al giorno? 

Hai mai combattuto in contesti sportivi? Quando, dove e con quali risultati? 

La domanda non si può riferire al WX, perché in massima parte nel WX non sono contemplati tornei di questo tipo. I recenti tentativi di inserire il WX in circuiti agonistici non li considero, perché non fanno parte della mia filosofia dell’arte. Quindi la risposta è No. Per il resto, ho già risposto in precedenza, quando ho accennato ai miei trascorsi nel full contact.   

Quante ore a settimana dovrebbe praticare uno studente per progredire in maniera seria?  

Qui le chiedo cortesemente di permettermi di rispondere ponendo la sua domanda all’interno di un discorso più generale. Secondo me la prima cosa da chiarire riguarda non la quantità, bensì la qualità dell’allenamento. Purtroppo in giro vedo molti discorsi basati sulla quantità, in cui la qualità è data per scontata, mentre non è affatto così. Se lo stile di WX si fonda su di un approccio coerente, in cui in ogni singolo movimento sono rispettati i principi dello stile, ci possono essere praticanti che si allenano con me anche solo una volta al mese con buoni risultati, nel senso che i loro progressi nello stile sono apprezzabili ed evidenti. Questo perché qualunque tipo di tecniche stiano allenando in un certo momento, esse vanno ad arricchire anche le tecniche che al momento non vengono allenate. Mi rendo conto che quanto sto dicendo può apparire di difficile comprensione ma va tenuto presente che nel mio approccio tout se tient: ogni tecnica allena anche le altre, perché si fonda sull’attenzione maniacale per gli stessi principi che supportano nel medesimo modo e grado tutte le altre tecniche. Il fatto è che noi alleniamo principi, prima ancora che tecniche. Faccio un esempio. Il modo di gestire il movimento del corpo è per noi della massima importanza. Se alleno una tecnica di attacco che rispetta il giusto modo di muovermi, ne trarrò giovamento anche quando farò esercizi di chi-sao, perché non tratterò quest’ultimo come una cosa “a sé stante”, bensì inserita in un approccio in cui mi devo necessariamente muovere in un certo modo. Tenuto debito conto del livello qualitativo complessivo dell’allievo, io non ammetto che eserciti una tecnica “dimenticando” quanto ha già imparato esercitando le altre. Un altro esempio: se alleno un attacco che comporta un contatto, dovrò saper gestire quel contatto a seconda del mio livello nel chi-sao. Non ammetto che un allievo che ha già una buona esperienza di chi-sao “regredisca” a una gestione più elementare. Se quindi l’allievo in quel periodo si sta allenando correttamente nel chi-sao, questo alzerà il suo livello complessivo anche nella gestione dell’attacco con contatto. In altri lineage di WX capita di veder allenare in modo separato tecniche e combinazioni, tanto che poi c’è una certa difficoltà a ricondurle ad un’ unicità di gestione. Ovvio che in queste Scuole la quantità di allenamento sia un metro assoluto o perlomeno serva a giudicare quanto un allievo è bravo in quella singola tecnica. Si progredisce – per così dire – per compartimenti, per capitoli. Il problema è che se l’allievo non è abituato a considerare quello che pratica come un tutt’ uno, in cui sempre tutti i principi a fondamento della sua arte sono rispettati, progredirà in modo discontinuo, portandosi gli errori di impostazione da una tecnica all’altra. Avendo sottolineato fino ad ora che l’allenamento deve obbligatoriamente essere di alta qualità, resta inteso che se a questa si accompagna la quantità, tanto meglio. Io alleno tanto persone che vedo una volta la settimana, quanto altre che oltre a far lezione con me hanno a propria volta degli allievi, con i quali si allenano di conseguenza. Nella mia Scuola ci sono praticanti che si allenano anche 5 volte per settimana, poiché gestiscono più corsi e hanno anche allievi privati, per cui in complesso praticano per 8-10 ore la settimana, non tenendo conto di quanto possono poi fare aggiuntivamente a casa loro, in privato. È chiaro che in questi casi i loro progressi saranno più significativi. Ci sono poi gli stage mensili e le sessioni di esame in cui gli istruttori sono chiamati a dare il loro contributo. C’è quindi chi si allena anche 45-50 ore al mese. Ma il punto fermo per me rimane la qualità di quello che si fa. Mentre è possibile, benché limitativo, allenarsi in qualità e non in quantità, il viceversa non produce nessun risultato, nel senso che si rischia di fare per ore e ore cose sbagliate. Un po’ come accade con la tela di Penelope: la quantità non supportata dalla qualità cancella i progressi ottenuti e non consente un miglioramento effettivo nel mio modo di intendere il WX. In sintesi: quantità di allenamento, preparazione fisica, forza, velocità e aggressività sono tutti elementi importanti ma assolutamente aggiuntivi alla qualità di quel che si allena. Essi contribuiscono in maniera importante alla crescita dell’allievo ma senza la qualità rappresentano solo una perdita di tempo. Esiste ed esisterà sempre quello più forte, più veloce, più aggressivo di noi. Se quindi queste nostre caratteristiche non sono supportate dalla qualità della nostra tecnica, saremo sempre destinati a soccombere. Negli anni, poi, la nostra fisicità è naturalmente destinata ad affievolirsi, per un naturale processo di invecchiamento. Cosa ci resterà, se non abbiamo una tecnica che invece può crescere sempre, anche a 60 anni?   

Cosa ne pensi degli altri SiFu e dei loro metodi di insegnamento, nelle altre associazioni e Famiglie di Wing Chun? 

Dividiamo innanzitutto il mondo cui lei fa riferimento in 4 gruppi di persone. Il primo gruppo è formato da persone che conosco direttamente, con le quali ho condiviso a Livorno, nel corso dei miei 16 anni di appartenenza alla stessa organizzazione, dei momenti importanti della mia vita marziale. A questo gruppo appartengono tra gli altri sifu Paolo Delisio, sifu Michele Stellato, sifu Gianluca Cesana e sifu Carlo Bernardi. Questi ed altri avranno sempre un posto speciale nei miei ricordi, perché con loro ho condiviso periodicamente momenti marziali e conviviali importanti. Un secondo gruppo è formato da persone che conosco molto bene sotto il profilo umano e marziale perché sono stati miei allievi, anche se ora essi magari sono insegnanti di altri stili, di altri lineage. Soprattutto a Roma, di appartenenti a questo gruppo ce ne sono molti. Alcuni nomi sono Stefano Lucaferri, Alessandro Messina, Fabrizio Screpante, Enrico Toro, Antonio Pantaloni e Simone Pietrobono. Voglio sottolineare che nella stragrande maggioranza dei casi queste persone si sono allontanate da me non per problemi con il sottoscritto, bensì per un certo livello di incomprensione con i vertici dell’organizzazione che io all’epoca rappresentavo a Roma. Quindi, quando costoro hanno avuto la possibilità di andarsi ad allenare con qualche maestro di un certo livello di altre organizzazioni, lo hanno fatto. Sia pure – mi piace ricordarlo – a malincuore. Nel medesimo gruppo inserisco anche coloro che sono rimasti nella mia organizzazione di origine anche quando me ne sono andato io: Enrico Tosini, Massimiliano Forti e Resurrection Jules. Il terzo gruppo è formato di persone che non conosco personalmente ma che si allenano nelle loro rispettive Scuole e lineage con convinzione, dedizione e amore; e che mostrano rispetto nei confronti degli altri lineage e Scuole. Nel quarto gruppo metto quelli dotati di ignoranza tecnica e stupidità caratteriale, in genere direttamente proporzionali ad una buona dose di arroganza infantile. Questi purtroppo esistono, anche se il loro livello tecnico e umano è in grado di impressionare solo i loro (pochi, quando non pochissimi) allievi. Non a caso, credo che costoro nel panorama del WX italiano contino meno di niente, benché si diano un gran daffare a forza di urla e strepiti per far capire che esistono. Ritengo che, per fortuna, gli appartenenti al quarto gruppo siano una sparuta minoranza. Le prime tre categorie godono del mio rispetto, anche se hanno un’interpretazione del WX molto distante dalla mia. Da questa diversa interpretazione deriva anche quello che penso dei loro metodi: non mi permetto di giudicarli.   

Possiamo sapere la differenza tra il tuo Wing Txun e le altre interpretazioni? 

Provo a rispondere riportando le parole di un mio allievo che si allena da 6-7 mesi con me, con un trascorso di 10 anni in seno a due grandi organizzazioni di WX: “La gestione del corpo della Scuola di Rossi, il suo modo di affrontare il tema della mobilità, con tutte le conseguenze che queste cose comportano sul piano tecnico e di visione del combattimento, spalanca al praticante delle ‘finestre logiche’ che prima non solo erano chiuse ma delle quali non si sospettava nemmeno l’esistenza”. Io non mi sento di parlare di differenze, perché il confronto tra queste è possibile quando alla base c’è un impianto comune e quindi le singole differenze sono distinguibili individualmente. Per noi invece l’intera struttura del sistema, dai principi alla gestione del movimento, giù fino alle singole tecniche, si caratterizza in modo così specificamente diverso dal WX che comunemente si vede in giro, da non rendere significativa un’analisi “per differenze”. Ha senso confrontare una tigre con un leone, molto meno con un delfino. Una tecnica nostra non si differenzia dalla tecnica con lo stesso nome ma di un altro stile per l’angolo di contatto o il tipo di passo o la forza impressa ma per come è gestita dal corpo in coerenza con i principi. Quindi, nonostante qualcuno ci dica che noi non facciamo WX ma qualcos’altro, la nostra Scuola si basa con la più assoluta coerenza sui principi tramandati dal WX stesso. Questo credo spieghi anche quanto ho detto prima sull’allenamento di qualità: il nostro modo di muoverci, di attaccare e di difenderci è una conseguenza diretta dell’applicazione logica dei principi. Senza eccezioni. Se uno stile dice di voler evitare la forza dell’avversario, come può accettare gli scontri frontali forza-contro-forza? Qui torniamo al tema dell’allenamento di forza, velocità e aggressività, dove necessariamente prevale chi è più forte, veloce e aggressivo. Noi crediamo che la tecnica conseguente all’applicazione dei principi possa far prevalere anche chi è meno forte, purché sappia come muoversi e conservi la capacità di cambiare-mutare se gli eventi lo richiedono, con la necessaria lucidità mentale. Se proprio devo caratterizzare la nostra Scuola in tre punti, parlerei di a) coerenza con i principi del WX, b) gestione del corpo, c) lucidità mentale. Non per questo rispetto dei principi noi diciamo di fare WX “tradizionale”. Secondo me, come per tutti gli aspetti della vita ciò che è tradizionale deve sapersi evolvere con il tempo e le mutate esigenze. Un WX fermo a 100 anni fa, che si sforzi di replicare il modo originario di applicare i principi, è destinato a fallire. Ciò che non si evolve, arretra. I calciatori di 50 anni fa oggi non vedrebbero palla. Le nuove arti marziali, le MMA, le nuove tecniche di altri stili impongono uno studio continuo e progressivo di quanto si fa. Un WX “non critico” è un WX morto: ciò che si evolve smette ipso facto di essere tradizionale. Io credo nei principi del WX e credo che funzionino. Ma credo altrettanto fortemente che per farli funzionare serva una tecnica che ad essi si ispira e su di essi si costruisce. Se invece la tecnica viene costruita su uno stile ingessato o – peggio – su basi incoerenti con i principi, si hanno dei problemi che poi sfociano nello “studio dell’angolo giusto per il tan-sao” o in certe guardie statiche e – quindi – presuntuose. Uno dei temi recenti del dibattito sul WX è la sua eccessiva staticità. Molte scuole, vecchie e nuove, provano a modificare questo stato di cose, ma quasi tutte a nostro avviso non tengono ancora in sufficiente conto l’aspetto dell’energia complessiva dell’avversario che non è un movimento di 5 cm più a destra o a sinistra a farla evitare. Secondo noi – e qui concludo – serve proprio un nuovo modo di gestire il corpo.   

Quali sono i concetti di combattimento su cui è focalizzata la tua Scuola? 

Il WX nasce come disciplina non agonistica, ma come difesa da strada. Perciò la sua funzionalità deve essere rivolta alle situazioni da strada. A questo proposito, vorrei ricordare quanto mi ripeteva in diverse occasioni un mio amico, campione di Sanda in Russia e detentore di molti titoli a livello internazionale: “Nonostante tutte le situazioni che mi si sono presentate sul ring, se le guardo dal punto di vista mentale, tecnico, psicologico, non ce n’è mai stata una sola che potesse paragonarsi a quello che può accadere in strada”. Con ciò voglio dire che anche un atleta con enorme esperienza di combattimento deve “riprogrammarsi” quando affronta una situazione da strada. Il WX, sotto questo profilo, offre appunto il vantaggio di essere fatto apposta per gestire un confronto senza regole, come accade per strada. Con ciò non voglio assolutamente dire che un esperto di altre arti marziali debba per forza trovarsi impotente per strada: può anzi essere che egli risulti estremamente efficace, devastante e quant’altro ma credo che il confronto di tipo casuale che si può proporre per strada debba essere trattato con un approccio specifico e dedicato, quale il WX può offrire. L’abbigliamento nostro e dell’aggressore, il nostro e il suo stato fisico e mentale, il grado di pericolosità della situazione (noi soli o con qualcuno da difendere), le condizioni logistiche, lo stress sono tutti fattori variabili che devono essere studiati uno per uno e in combinazione per saperli gestire quando si presentano. Devo ammettere che la mia esperienza personale, maturata soprattutto negli anni giovanili a cui ho fatto cenno prima, in cui frequentavo compagnie piuttosto “vivaci” e francamente orientate allo scontro con compagini rivali, mi è servita non poco per analizzare con cognizione di causa la gamma di situazioni che si possono ricreare in uno scontro senza regole. Il mio metodo di insegnamento cerca quindi di tener conto, nel modo più approfondito che una simulazione in palestra rende possibile, di tutti quegli aspetti imponderabili di cui ho parlato sopra. Essi devono assolutamente essere tenuti in considerazione come condizioni “normali”, per non lasciare l’allievo alle prese con un livello di stress ingestibile, tale da impedirgli di reagire con le tecniche che pure può aver imparato correttamente.   

Ci puoi dire qualcosa sulle varie forme, dalla Siu Nim Tau alla Chum Kiu, sino ad arrivare alla Luk Dim Poon Kwan ed alla Bart Cham Dao? 

Le forme della tradizione del WX non corrispondono alla mia interpretazione dei principi, soprattutto per quanto riguarda la gestione del corpo. Per questa ragione, nella mia Scuola non vengono insegnate, mentre invece ne sto introducendo di diverse, coerenti con il nostro modo di muoverci, di gestire la forza dell’avversario, di conservare una capacità reattiva fondata sulla costante presenza dell’equilibrio dinamico. 

Grazie! 

Grazie a te Riccardo, colgo l’occasione per salutarti e farti i migliori auguri per il tuo cammino marziale!

martedì 27 settembre 2011

Il rilassamento

Pubblico con piacere questo articolo dell'amico Fabio Rossetti, scusandomi con lo stesso per il tremendo ritardo, dovuto a diverse ragioni, che non sto qui a spiegare. Ringrazio il buon Fabio per averci dato nuovamente modo di interrogarci in senso ampio e generale sul rilassamento. Auguro buona lettura a tutti!

---


Il rilassamento è una delle parole più diffuse ed usate in molti ambiti, ma occorre, per fare un buon lavoro, sapere esattamente oppure avere un’idea chiara, anche se non definibile a parole, di cosa è realmente, chiaramente attraverso le tecniche di rilassamento.
Ciò si può ottenere attraverso la pratica costante e cosciente il più possibile, poiché vivendo con attenzione le esperienze, naturalmente sorge la comprensione e la consapevolezza di ciò che si sta facendo, e le parole diventano un qualcosa di vivo e chiaro.
Il rilassamento è uno stato interiore che si riflette all’esterno, dove c’è equilibrio dinamico e dal quale si comincia a camminare lungo la strada dell’armonia. Per giungere allo stato di rilassamento come si fa? La premessa è che questo stato interno è una naturale prerogativa dell’essere umano, il quale tende naturalmente a ripristinare ogni qualvolta vi è un qualcosa che lo turba. Poiché viviamo in un contesto nel quale né sappiamo cos’è, con: l’aggiunta di molti fattori esterni che squilibrano questo equilibrio interno in modo continuo, con l’inesperienza e il non sapere esattamente cosa fare per riequilibrarlo, con inoltre una serie di abitudini e condizionamenti che sono radicati in noi e che svolgono un lavoro di squilibrio, in realtà il rilassamento è una nostra spontaneità che, pur sapendo cos’è, né conosciamo e né sappiamo ricrearla volontariamente. Ogni essere umano ha ovviamente dei modi spontanei e quasi sempre meccanici di riconduzione al rilassamento, quindi la condizione non è completamente passiva, e ciò si vede attraverso le infinite e varie modalità soggettive con le quali ogni persona si rilassa: dalla lettura alle passeggiate, dallo studiare al ballare, dal guardare le stelle ad altre modalità ed espedienti. I mezzi sono più o meno efficaci e ciò dipende sia dal mezzo in sé e sia dalle caratteristiche peculiari di ogni persona. Tutti sanno esattamente cos’è questo stato equilibrato, ma quasi tutti per via meccanica ed istintiva. Per conoscere se stessi e quindi le naturali peculiarità di cui ogni essere umano è dotato occorre fare un lavoro cosciente attraverso l’attenzione su di sé.
A questo proposito l’essere umano ha tramandato una serie di esercizi, di tecniche che servono proprio a questo: rilassarsi e,mentre lo si fa, essere presenti a sé stessi. Esercizi e tecniche sono tantissimi ed eseguite in modo differente, ma la base è la stessa per tutte: giungere al rilassamento con la pratica e nel frattempo conoscersi, per rendere nel quotidiano ciò che è spontaneo in modo cosciente.
Gli esercizi e le tecniche sono schemi di lavoro dai quali poi ci si libera progressivamente nel momento in cui, con l’esperienza vissuta coscientemente, questo stato ritorna naturale, come in realtà é. Essi sono comunque strumenti sempre utilizzabili nonché tramandabili e sono veramente tesori. La loro semplicità è la loro efficacia, ma ovviamente laddove l’essere umano comunque crea blocchi continui, non c’è speranza. L’esercizio va vissuto perché si vuole vivere e sperimentare, essendo motivati, dove ciò manca in realtà non è eseguito e quindi l’efficacia insita in lui viene preclusa dalla stessa persona che sembra eseguirlo: fare e non fare finta di fare. Se voglio testare una lama affilata non basta prendere la spada e fare finta di tagliare qualcosa, occorre tagliare qualcosa. Se taglia, bene, altrimenti occorre perfezionarla. Gli esercizi vanno eseguiti con costanza e progressivamente, poiché lo strumento , per essere utilizzato al meglio occorre conoscerlo con l’esperienza pratica, e quindi occorre essere pazienti e motivati. Ricordo che ogni esercizio porta con sé tradizioni antiche quanto l’uomo e aggiornate ai tempi che si vivono, quindi se è utile ed efficace persiste nel tempo altrimenti viene abbandonato o quanto meno migliorato fino ad avere un risultato soddisfacente. Occorre ricordarsi che non sappiamo quanti e quali persone hanno portato nel tempo questi tesori reali, forse non lo sapremo mai, ma occorre averne rispetto e considerare che sono il frutto ed il lavoro di ogni essere che vi ha contribuito rendendogli il merito di quanto fatto e ricordando che essi hanno imparato così come ora noi stiamo facendo, soprattutto gli uni dagli altri. Senza fratellanza niente può essere trasmesso e ciò significa agire insieme collaborando e cooperando ognuno secondo le capacità che sinceramente mette a servizio di tutti. L’egoismo ha le gambe più corte delle bugie e non ci serve. 
 
Lo strumento quindi c’è, occorre imparare ad usarlo e poi utilizzare al massimo quello per cui è stato creato: raggiunto lo scopo si mette da parte senza gettarlo. Per tagliare il pane usiamo il coltello. Nella vita ognuno di noi ha imparato ad usarlo con la pratica e poi ha cominciato a tagliare fette più precise e non si è più tagliato. Tagliata la fetta, il coltello si posa senza buttarlo. Se serve a qualcuno viene prestato per la stessa cosa.
Allo stesso modo facendo l’esercizio si impara a farlo meglio e questo dipende unicamente da chi lo fa. Ognuno poi valuterà l’efficacia o meno, ma prima di farlo serve praticare qualitativamente e poi quantitativamente.
Una tecnica di rilassamento è fatta per riportare anche il corpo fisico a quello stato naturale dove ogni parte funziona nel miglior modo possibile: il corpo ha precise strutture e funzioni che consentono di essere in salute: rilassarsi significa mantenere questo stato naturale fisico dove esprimiamo il massimo della vitalità e che consente di riportare sempre lo stato naturale in caso di turbamento. Per fare ciò ogni aspetto duale del corpo, inteso come espansione e contrazione deve mantenersi equilibrato e quando vi sono eccessi di uno o l’altro, occorre ricondurre il tutto ad equilibrio tra i due.
Ad esempio: i muscoli per natura hanno una modo di espandersi e contrarsi che serve per svolgere una serie di compiti che per natura assolvono. Nel dormire essi si rilassano fino a rilasciarsi completamente e si espandono al massimo, poiché le attività sono minime e quindi non è loro richiesto di impiegarsi. Se si cammina si contraggono e si espandono ritmicamente, se si solleva qualcosa la contrazione persiste poiché è necessaria per svolgere quella azione. Questa tendenza naturale che ogni momento facciamo si basa quindi sull’alternarsi della dualità espansione e contrazione. Gli eccessi persistenti sono nocivi : l’uno conduce all’atrofia e l’altro all’irrigidimento completo. I muscoli quindi lavorano in un modo dove vi é una naturale contrazione ed attività, che se si mantiene, consente di esprimere il massimo delle loro potenzialità poiché essi sono, tra le altre cose, “veicolatori” di energia cinetica e stabilizzatori dell’equilibrio. La forza di un essere umano dipende soprattutto dalla sua capacità di veicolare energia cinetica e mantenere costantemente questo equilibrio. Le persone che non si muovono mai perdono di vitalità poiché il corpo è fatto per muoversi e ha bisogno di riposo, non il contrario. Ma occorre muoversi senza irrigidire altrimenti si blocca. Questo principio vale per tutte le componenti del corpo fisico.
Bene, cosa c’entra il rilassamento? Noi abbiamo una non conoscenza del corpo ed un eccesso di attività o di passività, e di norma i muscoli sono rigidi, soprattutto quelli profondi: viene dalla non educazione coscienziale del corpo e da fattori psicoemotivi che nessuno di norma insegna ad equilibrare.
L’esercizio di rilassamento pone l’essere umano che lo esegue in una posizione dove non si disloca nello spazio e con gli occhi chiusi. Lo stato interno cambia, poiché il soggetto esclude la vista, principale senso di riferimento per l’esterno, e si concentra su di sé. Non muovendosi diventa “passivo”, cioè respira e basta. Facendo ciò si espande la ricettività nei confronti della totalità del corpo, cosa che di norma nessuno fa, e gli altri sensi si espandono. A questo punto i sensi vanno direzionati dentro di sé: ci si ascolta, ci si osserva, ci si percepisce. La ricettività si espande e si lavora per lasciarsi andare, a se stessi. L’attenzione, l’essere vigili, si concentra sul respiro che si lascia andare e progressivamente prende il suo ritmo naturale. Più si è ricettivi più recepiamo i messaggi del corpo ( le sensazioni), che in realtà manda sempre, e la differenza è che il nostro spettro di percezione si espande. Impariamo a ricevere segnali che continuamente ci arrivano ma sui quali non siamo attenti. Fatto con attenzione diventerà, la ricettività, di nuovo uno stato naturale. Ogni persona si accorge delle sensazioni calde e fredde, di pressione, percepisce zone doloranti o che sono piacevolmente rilassate, comincia a sentire la collocazione delle proprie parti del corpo, sente il respiro, le vibrazioni del battito del cuore, parti del corpo che pulsano e altro ancora. Più si è attenti più si è ricettivi e più si è coscienti del corpo, dentro e fuori. Ciò è conoscenza del corpo che è coscienza del corpo. Nell’esercizio l’attenzione verrà spostata dai piedi alla testa o viceversa, possono essere dati comandi mentali, possono essere fatte visualizzazioni ed altro ancora. Con il respiro calmo e tranquillo ed il corpo rilassato, si crea armonia fisica e quello che si vive si cerca poi di renderlo di nuovo naturale nel quotidiano, poiché è lo stato naturale dell’essere umano.
L’attenzione tramite la concentrazione, il respirare fluidamente e col proprio ritmo, il rilassare il corpo senza contrarlo, effettuano già un lavoro sul successivo rilassamento emotivo e mentale.
Le successive visualizzazioni e comandi mentali continuano a creare equilibrio e si genera armonia, nonché l’energia comincia a scorrere sempre più libera attivando naturali proprietà guaritrici e rigeneratrici insite in noi. L’essere si armonizza sul piano mentale, emotivo e fisico, che sono interdipendenti ed interconnessi, e quindi ogni cosa su uno influenza e ha effetti comunque sugli altri. Dal centro di noi si espande uno stato di serenità e di pace, uno stato di calma e tranquillità interiore, sinonimo di cuore. Quello stato, detto anche di centratura, è il centro della sfera che siamo ed è, espanso, la sfera stessa. Quello stato serve per combattere ed è il punto da dove ci si può spostare e fare ogni cosa. Corrisponde allo Essere di Cuore, che il Guerriero incarna, poiché è finalmente tornato ad esserlo dopo la sua ricerca facendo un cammino coscienziale. Di questo ne parla bene e chiaramente Morihei Ueshiba, fondatore dell’Aikido, così come altri Maestri che hanno scritto qualcosa in merito.
L’esercizio lavora in un modo che comprende tutti piani dell’essere umano, un modo completo e che è la base per i successivi, sia tecnicamente e soprattutto coscienzialmente. 
 
Col rilassamento renderemo stabile la centratura e più sarà così tutti i giorni, soprattutto nel ricercarla nel quotidiano, più impareremo e raffineremo il nostro percorso con la forma che si confà al nostro essere, quella dell’Arte Marziale nella sua forma chiamata Wing Chun, Weng Chun o come volete chiamarla.
Viviamo con coscienza quello che facciamo, ognuno sperimenti ciò che si fa, quello è importante. Il resto sono conseguenze spontanee del cammino verso la libertà interiore. Il nostro lavoro é di liberarsi; con la pratica ognuno si metterà nelle condizioni per vivere ciò, se lo desidera ed è motivato.

Fabio Rossetti

domenica 18 settembre 2011

SiFu Ignatius Siu passed away - Rest in peace

SiFu Ignatius Siu was one of last "Tigers" of the Siu Lam Weng Chun style, from Chu Chung Man family lineage. I'm sorry to say, but I have to inform all the community that Siu Lam Weng Chun SiFu Ignatius has passed away yesterday. We all have lost a great Man, Teacher and Friend. My sincerest condolences to all the Siu Family, expecially to Stephen.

venerdì 2 settembre 2011

Intervista a Simone Sebastiani

Oggi incontriamo il Maestro Simone Sebastiani, fondatore della Scuola di Discipline Orientali San Bao, rappresentante italiano della International Wing Chun Organization del Maestro Donald Mak di Hong Kong e Regional Coordinator per l’Italia della World Wing Chun Union.

Ci puoi dire qualcosa sulla tua vita? Quando hai iniziato a praticare Arti Marziali?

Effettivamente non ricordo la mia vita senza Arti Marziali. Ho cominciato quando ero bambino, all’età di 10, 11 anni circa. Un giorno accesi la TV e casualmente (sempre che il caso esista) mi trovai davanti la scena di un piccolo ma agile uomo cinese che a calci e pugni combatteva contro più avversari rimanendo imbattuto (più tardi scopri che si trattava del famoso Bruce Lee). Rimasi talmente colpito ed affascinato dal filmato che andai immediatamente sul cortile di casa e comincia ad “allenarmi”…senza il minimo rudimento di Arti Marziali, ma con quella sana improvvisazione che solo i bambini posseggono. Ero talmente trasportato ed affascinato dalle Arti Marziali che cominciai a chiedere a tutti i miei amici che già praticavano Karate o Judo (le più diffuse all’epoca) di insegnarmi qualcosa, fino a quando i miei genitori, comprendendo che non si trattava di una semplice passione passeggera, decisero di iscrivermi in una Scuola di Arti Marziali. Sono stato molto fortunato ad aver trovato e scelto la Scuola di Kung Fu Tradizionale Cinese del Maestro Paolo Cangelosi, con cui ho praticato per molti anni sotto la sua guida diretta e dei suoi più stretti e migliori collaboratori ed allievi.

Con chi iniziasti a studiare lo stile Wing Chun?

Ebbi l’opportunità di conoscere il Wing Chun nella Scuola del Maestro Cangelosi, anche se, con il senno di poi, posso dire che “quel” Wing Chun era molto carente di principi, tecniche e metodiche di allenamento fondamentali del sistema. Per essere sincero trovavo all’epoca il Wing Chun abbastanza noioso e statico, ma ciò è normale essendo io molto giovane ed essendo il sistema di allenamento dell’epoca poco vicino al “Concetto” Wing Chun; a quel tempo il mio ideale di Kung Fu era quello cinematografico, fatto di “strani” pugni e “calci volanti”. Non amavo il Wing Chun, ma mi piaceva il Kung Fu e mi allenavo diligentemente su tutto quello che il mio Maestro mi chiedeva di fare. Con il tempo invece, soprattutto con l’esperienza e la conoscenza di Maestri qualificati, ho cominciato a comprendere meglio il Wing Chun ed a studiarlo sistematicamente, comprendendo che si trattava dello Stile che meglio si adattava al mio fisico, alla mia mente ed alle mie esigenze.

Chi sono stati i tuoi Maestri nel passato? E chi è il tuo attuale Maestro?

Provenendo dal Kung Fu Tradizionale, ho avuto l’opportunità di conoscere, allenarmi e studiare con molti Maestri e Rappresentanti di diversi Lineage Marziali; ho spaziato dalla Boxe (con il Campione dei pesi medio-massimi Ray Sugar Beya) all’Aikido, dal Tang Lang (con il Maestro Lee Kam Wing) allo Shaolin, dal Tai Chi Chuan al Pa Kua, e molto altro. Per quanto riguarda il Wing Chun invece, dopo il Maestro Paolo Cangelosi ho avuto l’opportunità di avvicinarmi a diverse Scuole di Wing Chun tra cui quella del Maestro Lok You, grazie al suo allievo diretto Willelm Blesch, il Maestro Austin Goh (allievo diretto di Lee Shing) e la Scuola del Maestro Leung Ting durante la mia permanenza nei Paesi Baschi.

Dal 2006 circa seguo unicamente il Maestro Mak Kwong Kuen, meglio conosciuto con il suo nome d’arte Donald Mak, allievo diretto del Maestro Chow Tze Chuen, diretto discendente del Gran Maestro Ip Man. In questa Scuola ho trovato prima di tutto una Famiglia ed un modo di vivere e manifestare il Wing Chun più consono al mio modo di essere e di vivere la pratica. Dopo anni di ricerca in cui la mia “sete” di sapere non era stata soddisfatta, ho trovato finalmente un “luogo” in cui fermarmi ma anche un trampolino di lancio verso le altre avventure nel mondo Wing Chun che spero mi attendono.

Come si diventa SiFu nella tua Scuola?

Ti ringrazio per questa domanda perché mi permetti di spiegare un concetto a cui tengo molto: il termine SiFu. Effettivamente noi occidentali tendiamo ad abusare di questo termine, considerandolo un titolo (come Ingegnere, Professore, Avvocato, Principe…) mentre, nella sua accezione Orientale, indica esclusivamente una “relazione” tra persone. “Io” sono SiFu dei “Miei” allievi e non “un SiFu”; perché SiFu, nel Kung Fu Tradizionale, è associato al termine “To Dai” che significa allievo o studente. 

Effettivamente il termine sifu viene utilizzato anche in oriente (come Lao Sze, Sien Sun ed altri) per indicare un insegnate, un professore, ma nel Kung Fu Tradizionale, ed in particolare nel Wing Chun di Hong Kong, si dovrebbe intendere il significato più alto del termine SiFu (che noi indichiamo appunto con la “s” e la “f” maiuscole) ovvero quello di “Padre”, inteso come Padre Spirituale, Magister, in grado di trasmettere ed insegnare oltre l’Arte Marziale anche la sua Moralità, la sua Rettitudine e la Spiritualità.

Nella nostra Scuola, sia la SAN BAO che la INTERNATIONAL WING CHUN ORGANIZATION, questo concetto è molto chiaro ed importante, è per questo che sono stato accettato come allievo interno diretto dal Maestro Donald Mak. Ormai in Occidente (soprattutto in Italia) consideriamo il termine Sifu un titolo di cui fregiarsi, e siccome sono tutti “sifu” bisogna inventarsi dei termini nuovi, come Master, Gran Master, Dai Sifu etc. Come diceva Bruce Lee: “il Kung Fu (e tutto il mondo che gli gravita intorno) è soltanto un nome, il Kung Fu sei Tu!”. Ovviamente ognuno vede il proprio Wing Chun e l’organizzazione della propria Scuola come vuole e come meglio crede, ho soltanto paura che questo modo di operare produca più che altro una scissione, una suddivisione, una separazione (che a noi occidentali viene molto bene) piuttosto che creare unità, integrazione e coerenza.

Detto questo posso rispondere alla tua domanda in due modi: “sifu” si diventa con il tempo, progredendo con il programma, impegnandosi nell’allenamento, avendo esperienza nell’insegnamento (prima di un piccolo gruppo e poi magari sempre più grande) fino a quando il proprio Maestro non ritiene opportuno concedere una totale fiducia. Per diventare “SiFu” ci vuole molto più tempo e soprattutto un’attitudine innata, una capacità speciale e, perché no,……Karma?

Quante ore ti alleni al giorno?

La risposta ti sorprenderà: non lo so! Preferisco dire che “Vivo” Kung Fu, o come si usa dire nella nostra Scuola, tendo ad avere una “Kung Fu Life”. Effettivamente non ho un orario o un tempo predefinito di allenamento settimanale, dipende soprattutto dalle lezioni che faccio e dagli allievi. Diciamo che mi “muovo” sempre e trascorro molto tempo in palestra (minimo 5/6 ore al giorno), poi faccio molte lezioni private oltre che girare nelle nostre Sedi e seguire il mio SiFu nei vari Seminari Internazionali. La mia attenzione è rivolta soprattutto ai miei allievi ed alla volontà di farli progredire. Ovviamente insegnando continuamente ho modo di allenarmi molte ore al giorno, ripassando le forme, praticando gli esercizi di base ed il Chi Sao con persone differenti. Quindi direi che mi alleno “mai e sempre”! Come disse Yoghi Bajan (un grande Maestro di Kundalini Joga) “se vuoi sapere qualcosa leggilo, se vuoi capire qualcosa insegnalo”.

Hai mai combattuto in contesti sportivi? Quando, dove e con quali risultati?

No, mai. Per scelta. Non ho mai partecipato a gare sportive perché ritengo il contesto sportivo ben lontano dall’Arte Marziale. Ritengo l’Arte Marziale, indipendentemente dal Sistema, un’Arte, cioè una forma di ricerca ed espressione e non uno sport. Considerarle sport significherebbe vederle sotto un aspetto riduttivo.
Ovviamente questo è il mio punto di vista e non ho nulla da obbiettare a chi organizza o partecipa a gare di Arti Marziali, ma non è la mia Via. L’Arte Marziale Tradizionale interessa diversi aspetti dell’essere umano: quello mentale, fisico e spirituale. Inoltre è permeata dalle tradizioni culturali e dalle filosofie orientali. Lo Sport manca di questi aspetti, quindi per me non possono essere paragonati. Però siamo Occidentali e le persone hanno spesso il bisogno di confrontarsi e di affrontare i propri “Mostri” interiori. La mia visione è che viviamo nel 2011 e non possiamo più basarci su un’Arte Marziale per combattere contro qualcuno o per sentirci più forti; chi vive un’Arte Marziale in questo modo è, secondo me, ancora molto indietro nel percorso Marziale. Oggi l’Arte Marziale deve essere una Via di Conoscenza e di Auto miglioramento. Come disse lo scrittore Francese Jean Girardoux: “L’Arte Marziale consiste nel delegare al corpo alcune delle più forti virtù dell’Anima: l’energia, l’audacia, la pazienza. E’ il contrario della malattia”

Quante ore a settimana dovrebbe praticare uno studente per progredire in maniera seria? 

Penso che non dipenda dalle ore di allenamento, o per lo meno non solo. Nel Kung Fu Tradizionale si dice che “un terzo lo fa il Maestro, un terzo lo fa il cielo ed un terzo lo fa l’allievo”. Si potrebbero anche definire delle ore minime di allenamento, ma sarebbe difficile e non opportuno, perché ognuno di noi è diverso e ci sono diverse tipologie di allenamento (allenamento fisico, allenamento sull’energia interna, allenamento tecnico, allenamento a solo, allenamento in coppia etc..), inoltre la vita ci pone dinanzi a diverse fasi, in cui il nostro tempo libero per l’allenamento può essere diverso. Penso che sia meglio parlare di costanza e continuità nell’allenamento. Io dico sempre che la continuità paga molto più di pochi allenamenti intensi fatti ogni tanto. Potrebbe bastare una sola ora a settimana, vissuta con passione e continua nel tempo, per poter progredire in modo serio. Ovviamente più ci si allena e prima si raggiungono dei risultati. Ma escludendo il caso di atleti professionisti, gli altri, le persone comuni, non dovrebbero aver fretta. Il Kung Fu in generale ed il Wing Chun in particolare, sono una Via di crescita e trasformazione, una Via di Autoelevazione quindi un percorso che richiede molto tempo…..forse tutta la vita. 

Cosa ne pensi degli altri SiFu e dei loro metodi di insegnamento, nelle altre associazioni e Famiglie di Wing Chun?

In generale tendo ad interessarmi poco degli altri, visto la mole di impegni che ho. I metodi di insegnamento suppongo dovrebbero essere gli stessi espressi in modo diverso, in modo personale; cosi come i principi e le forme. Ci sono buonissime Scuole di Wing Chun in Italia e nel mondo; quelli che conosco personalmente sono ottimi insegnanti con delle buonissime Associazioni e lineage alle spalle. Si potrebbe lavorare di più sulla condivisione piuttosto che proteggere con timore il proprio operato. Ma sono sicuro che con il tempo questo avverrà, è un normale processo di evoluzione. La cosa più importante è che ognuno lavori con sincerità e purezza, portando avanti il proprio lignaggio con rispetto verso il proprio SiFu, Si Gung e verso le altre Scuole di Wing Chun. Purtroppo ci sono persone in Italia che, per puri scopi personali ed economici, si celano dietro grandi nomi, anche quando non dovrebbero perché non gli appartengono. Trovo inoltre molto brutto e squallido chi si permette di criticare altre Scuole di Wing Chun o Grandi Maestri del Sistema; o ancora chi pretende di essere allievo dell’unico grande maestro che conosce la verità sul Wing Chun. Tutte queste cose non fanno altro che impoverire il Wing Chun e le persone che mettono in giro queste voci. Esiste solo chi opera con serietà, professionalità e passione, basandosi su un Lignaggio Tradizionale. Questo secondo me ha senso, anche se non si è “i migliori”, anche se non si sono vinti premi internazionali o sconfitto 100 avversari con un braccio solo. Il tempo dei barbari è finito. Oggi è il tempo della Luce.

Possiamo sapere la differenza tra il Wing Chun del Maestro Mak Kwong Kuen e le altre interpretazioni?

Nessuna. Non ci sono differenze tra le diverse Scuole di Wing Chun, solo diverse interpretazioni, o meglio diversi modi di espressione di una stessa verità. E’ per questo che bisogna studiare molto e seguire con umiltà il proprio Maestro, per fare più esperienza possibile e creare un “Marzialista” completo, che non conosca solo parte della verità pensando che sia tutta. Penso che nel Kung Fu le persone debbono trovare una Via di espressione e ricerca in base alla propria fisicità, attitudine e cultura. Le diversità tra una Scuola e l’altra, penso che scaturiscono da questo (dal modo di esprimere ed intendere del Maestro), ma non sono vere e proprie diversità. E’ bene non vederle come diversità ne insegnarle come tali. Ad esempio il Maestro Chow Tze Chuen, allievo di prima generazione del Gran Maestro Ip Man e Maestro di SiFu Mak Kwong Kuen, aveva un fisico ed un attitudine molto simile a quella di Ip Man, inoltre non essendo molto alto, ha sviluppato enormemente il lavoro di gambe del Wing Chun. Potremmo dire che la “Differenza” del nostro Wing Chun rispetto agli altri è proprio nel lavoro di Gambe (Calci, Spostamenti e Posizioni); ma penso che sia più corretto dire che il Maestro Chow Tze Chuen ha lavorato molto sulle gambe, sia perchè era molto affascinato dai Calci, sia perchè una serie di aneddoti (che non sto qui a raccontare) ha indotto il Maestro Chow a lavorare maggiormente sulle gambe e gli spostamenti. Inoltre sembra che il Maestro Ip Man gli abbia trasmesso una ulteriore sequenza all’Uomo di Legno, rispetto alle tradizionali 8 sequenze, interamente basata su tecniche di Calci (nella nostra Scuola infatti si studiano 9 sequenze all’Uomo di Legno). Ma questo non fa di noi e della nostra Scuola una differenza, semmai una particolarità, visto che anche gli altri Maestri e Scuole conoscono i calci e gli spostamenti Wing Chun, è solo che, probabilmente, li hanno lavorati meno o in maniera meno oculata rispetto a noi.

Quali sono i concetti di combattimento su cui è focalizzata la tua Scuola?

Riprendendo il nostro punto di forza direi sicuramente la Struttura e gli Spostamenti. Nella nostra Scuola esiste un Kuen Kuit (Poesia Marziale) che recita più o meno cosi: “La struttura neutralizza, lo spostamento dissolve”. Questo significa che in una situazione di combattimento noi mettiamo molta importanza prima di tutto sulla struttura interna del corpo che, se ben realizzata, tenderà a neutralizzare la forza di impatto dell’avversario, trasportandola a terra attraverso l’impostazione del bacino e le gambe. Solo se l’avversario è molto irruento, forte o tende a destabilizzarci allora utilizzeremo gli spostamenti per dissolvere le forze in gioco e trovare l’angolo migliore per contrattaccare da una posizione di sicurezza.

Altro punto su cui poniamo molta attenzione (e che è strettamente collegato alla Struttura) è la fluidità e la morbidezza che deve essere utilizzata in ogni situazione. Morbidezza non significa rilassamento estremo degli arti (sicuramente pericoloso), bensì utilizzare solo ed esclusivamente la muscolatura interessata, potremmo definirla, più propriamente, Resilienza. Questo ti permette di non muoverti in modo erratico, ma seguire l’avversario ed inoltre utilizzare tutta la massa del corpo quando si trova il momento di contrattaccare. La Morbidezza, la Struttura interna e gli Spostamenti ci garantiscono, nel nostro modo di intendere il combattimento, di trovare l’angolo migliore senza scontrarci con la forza dell’avversario.

Ci puoi dire qualcosa sul 'Luk Dim Poon Kwan'?

Molto tempo fa le Armi venivano utilizzate nelle Arti Marziali principalmente per apprenderne l’utilizzo in battaglia. Oggi questa necessità è scomparsa e quindi l’utilizzo delle Armi riguarda prevalentemente il secondo aspetto fondamentale: creare e rinforzare le connessioni interne. Nella forma del Bastone Lungo dello stile Wing Chun, oltre che studiare le tecniche marziali di parata, attacco e controllo, si tende a portare l’attenzione sullo sviluppo degli arti: braccia e gambe. Essendo il Bastone Wing Chun molto lungo occorre una buona presa ed un buon lavoro di avambraccio per poter controllare completamente l’arma; lo sbalzo in avanti rispetto al corpo genera infatti degli sforzi pliometrici nei muscoli del braccio e dell’avambraccio (ma anche in polso e dita) tali da rinforzare muscolarmente gli arti superiori e, soprattutto, sviluppare forza elastica.
Nella forma sono inoltre presenti delle posizioni “diverse” rispetto a quelle tradizionalmente viste nelle prime forme a mano nuda, alcune delle quali molto basse che impongono al praticante un buon lavoro sia sulla muscolatura che sulla scioltezza e flessibilità delle gambe. Queste posizioni, aiutano lo sviluppo del “Qi” ed inoltre sono di particolare importanza per alcune tecniche di combattimento a mano nuda soprattutto in caso di combattimento libero o difesa personale (ci aiutano ad esempio a portare a terra l’avversario mantenendo comunque una posizione stabile di vantaggio).

Ci puoi dire qualcosa sui 'Bart Cham Dao'?

Anche per i Coltelli a Farfalla dello stile Wing Chun valgono le stesse considerazioni fatte per il Bastone Lungo. L’utilizzo dei Coltelli ci aiuta a lavorare maggiormente con il polso, favorendo cosi lo sviluppo della forza interna nell’esecuzione delle tecniche di pugno o nelle liberazioni di braccia. Inoltre le tecniche di Coltello ripercorrono e ripropongono spesso tecniche similari a quelle studiate nelle forme a vuoto, soltanto che in questo caso la presenza dei Coltelli obbliga il praticante ad un lavoro con dei “carichi” e quindi lo sviluppo e la coscienza di alcune strutture interne in grado di supportare il sovraccarico. Questo condizionamento interno ci torna particolarmente utile durante il Chi Sao o nelle tecniche di combattimento a mano nuda.
Anche i Coltelli propongo delle posizioni particolari, ed in particolar modo gli spostamenti tra una posizione ed un'altra, permettendoci di coprire con degli spostamenti anche delle distanze relativamente lunghe; basti pensare che i Coltelli a Farfalla venivano spesso utilizzati contro i Bastoni Lunghi o le Lance dei soldati, e quindi dopo la tecnica di controllo o parata era necessario avvicinarsi rapidamente ed in modo sicuro al nemico per poterlo colpire. Questi spostamenti ci tornano quindi estremamente utili durante una tecnica di combattimento o difesa personale (soprattutto in caso che l’avversario sia armato di coltello o bastone).

giovedì 1 settembre 2011

[Allenamenti] Si riparte dal 13 Settembre!

Carissimi Fratelli, Amici ed Allievi,
vi comunico che, sentite le palestre che ci ospitano, abbiamo deciso di iniziare i corsi da martedì 13 Settembre (all'Aurelio S.G.) e da martedì 14 (alla New Freestyle). Lunedì 12, però, alle ore 18:00 parteciperemo al rinfresco per l'inaugurazione della palestra New Freestyle, completamente rinnovata. Per l'occasione, ci sarà la possibilità di partecipare a 2 ore di lezione con Jill Cooper, in esclusiva, dalle 18:30.

Giorni, orari, prezzi, modalità di pagamento, etc. sono tutti invariati per entrambe le strutture sportive. Il mese di Settembre sarà esclusivamente utilizzato per il "risveglio muscolare", per ricominciare a muoversi. Non vi aspettate bòtte da orbi o sparring non collaborativi. Preparatevi, però, per allenamenti via via più intensi, che vedranno sin dal mese di novembre un'impennata entusiasmante. Ho in serbo per voi (e per me) un bel programma!
Che dire? Ho ricevuto più di quindici richieste d'adesione per il corso di via Gasperina; la cosa mi fa più che piacere, ma mi preoccupa un poco. Sopra una certa soglia saremo costretti a dividere il corso in principianti e praticanti o tra semplici praticanti amatoriali ed avanzati, vedremo. Per l'Aurelio, invece, ho notato solo due richieste. Ciò significa che lì c'è sicuramente più posto e, altrettanto certamente, si lavorerà più duramente, essendo seguiti passo passo, quasi come in una lezione privata. 

Rimango a disposizione di tutti per qualsiasi informazione, chiarimento o richiesta. I miei contatti sono sempre gli stessi. Un caro saluto a tutti ed a prestissimo!
Vostro
Riccardo